
La competenza dell’ascolto
La scuola dell’insegnamento, che oggi dovrebbe essere un lontano ricordo, è la scuola del parlare, del proporre verbalmente contenuti e nozioni che i ragazzi sono tenuti a ripetere in modo più o meno fedele all’input originale.
La scuola dell’’apprendimento, invece, è la scuola dell’ascolto. Già nel XVIII secolo, Jean-Jacques Rousseau, nel suo lavoro Emilio o dell’educazione, ebbe ad affermare: «Per insegnare il latino a Giovannino non basta conoscere il latino, bisogna soprattutto conoscere Giovannino». Ma per conoscere Giovannino, bisogna ascoltare quanto ha da dirci, bisogna ascoltare le sue richieste, sia che vengano espresse con le parole, sia che vengano espresse con i comportamenti e gli atteggiamenti. Bisogna che il docente entri in relazione empatica con ogni Giovannino che ha davanti, ben sapendo che non sono disponibili scorciatoie di sorta perché ogni Giovannino è diverso da ogni altro, per quanto simili essi possano essere. Ogni Giovannino è un individuo con caratteristiche distinte e distintive che lo differenziano da ogni altro. E non si tratta di fare gerarchie e classifiche, ma solo di essere consapevoli, come docenti, come educatori e come adulto, che ogni individuo richiede una relazione diversa.
Parlare di relazione vuol dire parlare di dialogo e nel dialogo a fini didattici il docente deve focalizzare tutta la sua attenzione all’ascolto. Un ragazzo, infatti, quando si sente ascoltato, acquista maggiore autostima il che gli consente, in un ciclo virtuoso, di partecipare più attivamente alla relazione educativa, aprendo il suo cuore ed il suo animo alla relazione stessa che, in tal modo e per tale motivo, diventa una relazione sempre più efficace.
Il docente deve armarsi di molta pazienza, non deve, quando parla con uno studente, avere fretta di giungere subito alle conclusioni perché queste rappresentano soltanto la parte più effimera della relazione. La parte più importante, infatti, è la relazione stessa. In altri termini, la parte importante non è il prodotto, bensì il processo. Nel caso della relazione educativa, il tempo non deve essere considerato la variabile principale, ma solo una tra le altre.
L’intelligenza e la professionalità del docente devono fargli prendere consapevolezza che ognuno di noi non vede la realtà per quella che è, ma la interpreta in base alla propria cultura, alla propria sensibilità ed alle proprie convinzioni. Un ascolto efficace prevede e richiede la consapevolezza che il nostro è solo “un” punto di vista e per rendersene conto, ma anche per valutarlo appieno ed in maniera oggettiva, bisogna cambiare prospettiva. Per mettere in pratica tale attività, molto importante si rivela essere il role playing, metodo ben conosciuto e abbastanza utilizzato nella normale pratica didattica. Porsi da un’altra angolazione rispetto alla stessa esperienza permette, tanto al docente quanto allo studente, di ampliare il proprio orizzonte, di maturare un’apertura mentale che serve non solo all’interno dell’aula, ma anche, ed in misura senza dubbio maggiore, nella vita di tutti i giorni. È una di quelle competenze trasversali, le cosiddette soft skills, molto apprezzate nel mondo del lavoro.
Non basta, però, portare il ragazzo ad aprirsi, bisogna anche comprenderlo fino in fondo. E se si vuole comprendere quello che l’altro ci dice o ci vorrebbe dire, dobbiamo partire dal presupposto che l’altro possa avere ragione. Non si può, infatti, essere prevenuti nel pensare o, peggio, nell’affermare che abbia torto perché in tal caso non ci sarebbe incontro, non ci sarebbe vicinanza di sentire e men che meno empatia, al massimo si tratterebbe di una vicinanza geografica. Per creare un vero rapporto improntato sull’empatia ed una comunicazione efficace è necessario chiedere all’altro di aiutarci a vedere le cose e gli eventi dal suo punto di vista e dalla sua prospettiva. Questa richiesta, se esaudita, presenta diversi vantaggi per entrambi gli interlocutori. Per l’alunno tale richiesta rappresenta l’occasione per spiegare meglio e con dovizia di particolari il suo pensiero e le sue sensazioni, ma, così facendo, riesce a fare maggiore chiarezza anche a sé stesso. Viene attivata, più o meno volontariamente, un’attività che chiama in ballo il meccanismo della metacognizione.
Il vantaggio per il docente risiede nel capire meglio lo studente ed il suo punto di vista e, quindi, nell’opportunità di migliorare il dialogo educativo e di cura nei confronti dello studente stesso.
Nella relazione di ascolto, ancora più delle parole, però, valgono le emozioni che diventano strumenti conoscitivi fondamentali per comprendere fino in fondo una persona. Non è un’attività semplice e tanto meno banale, perché bisogna conoscere il linguaggio delle emozioni e per raggiungere questo obiettivo ci vuole molta dedizione ed umiltà. Bisogna avere il coraggio di porsi di fronte all’altro nudo, senza maschere e senza sovrastrutture mentali precostituite. Bisogna essere disposti ad accogliere il messaggio dell’altro come una manifestazione del suo essere come persona. Porre attenzione alle emozioni è importante non solo perché ti danno una chiave interpretativa di quello che vedi ma perché ti fanno capire come guardi. Non si tratta di un codice analogico, diretto, bensì di un codice relazionale che è in grado di raccordare due animi e due sensibilità sulla stessa lunghezza d’onda.
Non c’è bisogno di ricorrere ai numerosi studi sulla comunicazione per accettare che è moto facile mentire con le parole, mentre molto meno facile è mentire con il linguaggio non verbale con cui si esprimono le emozioni. Se andiamo a ben vedere, il lavoro del docente è principalmente basato sulle emozioni e sulla sfera affettiva (cfr. il testo Oltre la conoscenza: l’essere), basti pensare alla motivazione.
Il primo interesse per il docente dovrebbe essere quello di creare un rapporto empatico con ogni singolo studente e la riprova della creazione o meno di questo legame relazionale viene solo dalle emozioni che il docente riesce ad indurre. Vedere e comprendere le emozioni e le loro manifestazioni è, quindi, attività da privilegiare se il docente vuole giovarsi dei vantaggi di un ascolto che sia veramente efficace. Le emozioni costituiscono una vera e propria finestra sull’animo del ragazzo, su tutto il suo mondo interiore di cui spesso non è neanche consapevole. Il docente che vuole avvalersi di un ascolto attivo deve quindi mettersi alla scoperta di questi mondi possibili, deve porsi come un esploratore, o come un investigatore, che ha la determinazione di andare oltre il conosciuto e l’apparenza per affrontare l’incognito che, ne è sicuro, è degno di essere scoperto e portato alla luce. Ed in tal modo rende conto anche della sua funzione di maieuta.
Non deve lasciarsi distrarre o distogliere, ma neanche trascurarli, da tutti quei segnali marginali, fastidiosi o, addirittura, irritanti perché spesso sono proprio questi ad essere quelli capaci di portare alle scoperte più sorprendenti. Il motivo di questo effetto negativo è da ricercare, quasi sempre, nel fatto che tali segnali risultano essere in contrasto con la propria cultura, sedimentata nel corso degli anni.
Un buon ascoltatore, invece, deve accogliere adeguatamente, valutandoli in modo critico ed oggettivo, i paradossi del pensiero ed i paradossi della comunicazione. Deve affrontare tali dissensi in modo positivo e proattivo, prendendoli e considerandoli come occasioni per esercitarsi in un campo che dovrebbe essere familiare ad ogni docente e ad ogni adulto: la gestione dei conflitti. In ambito scolastico, poi, è bene che quella dei conflitti sia una gestione creativa, volta alla proposizione di nuovi punti di vista e di nuove acquisizioni culturali e di pensiero. Non ci si dovrebbe, infatti, accontentare di ristabilire un equilibrio nella discussione ed a riportare nella classe un clima di serenità. Il docente dovrebbe fare in modo di trasformare anche il dissenso o il contrasto conclamato in occasione di crescita e di nuove acquisizioni.
Per favorire l’apertura da parte del ragazzo e per far sì che abbassi le sue difese e faccia sparire le sue paure e le sue ritrosie, è bene colorare il rapporto con dell’umorismo che non deve, però, scadere mai nell’offesa, non deve mai basarsi sul prendere di mira, seppure in senso bonario, qualcosa o qualcuno da deridere. Creare un ambiente formalmente leggero e frizzante ma sostanzialmente pregnante è, probabilmente, il modo migliore per entrare nel mondo e nell’animo del ragazzo.
È solo da un ascolto efficace che si possono acquisire i dati essenziali per impostare un dialogo educativo strumentale ad una crescita completa dell’alunno, non solo come studente, ma come persona, ottemperando, così, al dettato costituzionale quando richiede di perseguire il pieno sviluppo della persona umana.
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