
La gonna troppo corta
Nei giorni scorsi un’altra polemica ha invaso i talk show televisivi infiammando le ugole e gli animi dei tuttologi affetti da presenzialismo con tanto di gettoni di presenza per ogni trasmissione.
Ricordiamo il fatto. La vice-preside, oggi si dovrebbe chiamare collaboratrice del dirigente scolastico, di una scuola secondaria di secondo grado, per la precisione un liceo classico della capitale sito nel rione Garbatella, ha richiamato alcune studentesse per l’eccessiva economia nell’uso di stoffa utilizzata per confezionare le gonne indossate. La frase utilizzata dalla vice-preside, sicuramente ben poco felice, è stata «Niente minigonne sennò ai prof cade l’occhio». E qui inizia la bufera mediatica con intervento, udite, udite, della ministra Lucia Azzolina che, senza por tempo in mezzo, ha immediatamente chiesto un approfondimento della questione attraverso l’Ufficio Scolastico Regionale. Quasi aspettasse l’occasione per giustificare il suo ruolo e la sua presenza. Dalle mie parti esiste un’espressione che ben si confà alla situazione: «Hai perso gli occhi e ti preoccupi delle ciglia» anche se, ad onor del vero, in vernacolo rende molto meglio l’idea. Il significato, molto esplicito, è che si mettono da parte le questioni importanti per lasciare spazio alle questioni che tanto importanti non sono. Nel caos creatosi a seguito delle conseguenze del Covid sull’inizio dell’anno scolastico, questo della minigonna striminzita poteva benissimo essere bypassato a livello ministeriale. Ma tant’è! Tutto può essere strumentale alla ricerca, in special modo sotto elezioni, di qualche voto in più.
L’episodio, come ovvio, è stato cannibalizzato dalle televisioni, in particolare da quelle nazionali, beceramente generaliste, che propongono salotti di infimo livello culturale, proprio al limite della decenza ed a volte oltre. Tutti a stigmatizzare l’infelice uscita della vice-preside ed a sostenere la tesi della libertà di espressione delle ragazze. Appena un invitato, forse una signora, non ricordo con precisione, ha osato affermare che, forse, a scuola sarebbe opportuno andarci con un abbigliamento adeguato al contesto è stato messo al rogo, esposto alla gogna mediatica, tacciato di oscurantismo e di essere rimasto al periodo più buio del medioevo.
Anche la televisione ha ceduto, e non certo da oggi, al fascino tranquillizzante, soporifero per le coscienze, del politicamente corretto. In realtà, tali posizioni hanno ben poco di politico ed ancor meno di corretto. Si tratta solo di abbracciare e di seguire in modo competo e totalizzante una visione relativistica della vita che non può, per sua natura, produrre alcuna maturazione morale, nessuna consapevolezza della propria identità. Nessuno è disposto a prendere posizione sugli accadimenti che la vita ci propone, ma tutto diventa lecito per un mal compreso senso di rispetto degli altrui diritti.
Tutta l’attenzione delle persone, dei numerosi enti pubblici e privati, dei mass media, ecc. è focalizzata sui diritti che vanno rispettati a qualsiasi costo, dimenticando che la vita, così come la società, è una medaglia a due facce. Da un lato vi sono i diritti che bisogna riconoscere, ma dall’altra vi sono i doveri a cui bisogna parimenti ottemperare. Non bisogna, poi, dimenticare che i diritti di un individuo possono confliggere con quelli di un altro individuo e ciò comporta la necessità, non potendo far rispettare entrambi i diritti, di trovare un compromesso. Questo compromesso è sancito dalle leggi e dalle regole di comportamento. E queste ultime dovrebbero essere implicite in un consesso sociale che voglia definirsi civile.
Le regole da seguire sono diverse per i diversi contesti e quanto va bene in un contesto potrebbe non andare ben in un altro, per cui bisogna fare molta attenzione ai distinguo. Portare la minigonna è diventato un fatto comune da quando, secondo una convinzione comune, Mary Quant la fece indossare alla modella teen-ager Twiggy negli anni ’60 del secolo scorso. Il vulnus, quindi, non è certo indossare la minigonna, bensì il fatto di averla indossata in un contesto non adeguato. Alla scuola dovrebbe essere riconosciuto uno status ben preciso, quasi una sacralità che ne sconsiglia il ricorso ad eccessi, che tali non sarebbero in altri contesti, o semplici comportamenti non indicati nella situazione contingente.
Il compito primario della scuola si sostanzia nella promozione dello spirito critico e nella proporre i valori universali. Il relativismo è la negazione dell’uno e degli altri. Infatti, ci ha spirito critico è in grado, se non proprio di discernere il bene dal male, compito invero improbo, ma almeno di scegliere in base ad un criterio acquisito. Per cui si porrà in posizione di accettazione per alcuni comportamenti ed in posizione di rifiuto per altri. Allo stesso modo, quando si sono introiettati saldamente dei valori, non si potrà accettane la negazione in virtù di un politicamente corretto che lascia il tempo che trova.
Purtroppo, la vice-preside ha scelto una frase ed una motivazione infausta, anche se, in fondo, molto parzialmente vera. È chiaro che l’occhio può cadere perché è naturalmente portato a inciampare su ciò che ci circonda. Quando si cammina per strada, ad esempio, l’occhio va di qua e di là perché è un organo deputato a questo scopo: a scoprire e ad indagare la realtà che ci circonda. Sicuramente, poi, bisogna vedere il modo come lo si fa, ma questo è tutto un altro discorso.
Le ragazze hanno subito messo la cosa in gazzarra per difendere i loro diritti, per la loro libertà di indossare gonne corte, manifestando al grido di “Non è colpa nostra se gli cade l’occhio”. Ognuno di noi, maschio o femmina che sia, giovane o vecchio, bello o brutto, si veste per fare in modo che il suo aspetto sia gradevole, perché si possa sentire suo agio. Non bisogna, però, dimenticare i diritti e la sensibilità degli altri, di chi ci sta accanto, anche loro, infatti, hanno dei diritti. Io ho il diritto di vestirmi come voglio, ma il mio diritto si infrange sul diritto altrui ad una coerenza con il contesto in cui ci si trova. Non ci si può vestire allo stesso modo a scuola, sulla via dello struscio oppure in discoteca. Allora, per usare un’iperbole, dal momento che al mare ci vado in costume da bagno, più o meno succinto, posso utilizzare questo capo d’abbigliamento in qualsiasi altro contesto. Il progresso dovrebbe portarmi a mostrare in modo coerente il mio animo e le mie capacità mentali, non certo il mio corpo.
Nella querelle è intervenuto anche il collettivo “Ribalta femminista” secondo cui: “Andare a scuola in gonna è stata una risposta spontanea. Non ci interessa l’episodio singolo, questa è l’occasione per mettere al centro il ruolo della scuola e della comunità scolastica. La scuola è e deve essere una forza motrice nello scardinare la cultura che rende le ragazze e le donne oggetti e colpevoli. È nelle aule che si formano i cittadini e le cittadine di domani, ed è da lì che deve partire una nuova consapevolezza per i nostri corpi e i nostri modi di essere. Il liceo Socrate e la sua comunità di studentesse e studenti e professoresse e professori, ci ha sempre insegnato questo, a conoscere noi stessi e noi stesse ed essere liberi e libere di esprimerci”. Mi permetto di essere in disaccordo con i punti elencati dal collettivo. Sicuramente la scuola deve combattere una certa cultura di chiaro stampo maschilista, sedimentatasi nei secoli, che vuole la donna un semplice oggetto, colpevole di essere vittima. Altrettanto sicuramente d’accordo sulla consapevolezza dei propri corpi, dei propri modi di essere, della propria identità e della propria libertà. Quello che mi vede in disaccordo è il pensare che la consapevolezza del proprio corpo voglia dire mostrarlo in contesti inadeguati, e che si voglia far passare per libertà il calpestare la sensibilità altrui, e l’altrui identità fondata su valori che magari non si condividono.
La scuola, dopo la famiglia, deve richiamare ognuno dei soggetti coinvolti, a comportamenti eticamente corretti ed adeguati al contesto in cui ci si trova, senza cedere a tentazioni populiste ed eccessivamente permissive in virtù della filosofia del politicamente corretto, ma ancorando la sua azione educatrice su valori universali in grado di esaltare l’umanità dell’uomo.
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