
La consapevolezza
Avere consapevolezza di qualcosa vuol dire essere pienamente cosciente di quella cosa, averne conoscenza piena e completa. Ma non sempre ci si riferisce ad un contenuto, teorico o pratico che sia. In questo articolo, infatti, mi riferisco alla consapevolezza del ruolo che ognuno di noi svolge nella società, qualunque sia l’occasione che la vita ci pone innanzi.
Lo spunto per questo articolo me lo ha dato quanto successo nella caserma dei carabinieri di Piacenza. Questi individui, ben lungi da me chiamarli “carabinieri” o semplicemente “signori”, non hanno dimostrato la benché minima consapevolezza di cosa richiedesse il loro ruolo di tutore dell’ordine pubblico. Avevano, però, chiaro un aspetto ben diverso: la presunta immunità che la divisa poteva rappresentare per loro. Per questi individui, quel pezzo di stoffa sagomato a divisa per loro non rappresentava un simbolo di sacralità intriso di principi, di valori ed anche del sangue di tanti che, con la stessa divisa ed in virtù di tali principi e di tali valori, sono stati capaci di donare le loro vite per il bene della comunità. Al contrario, era un perfetto scudo dietro cui nascondere le loro malefatte. Questo episodio, per quanto circoscritto, rappresenta un vulnus per tutta l’arma, per tutti quei carabinieri che ogni giorno si recano al lavoro senza avere la sicurezza di far ritorno a casa. Bastano poche gocce di caffè per macchiare un’intera tazza di latte.
Quando avevo 6-8 anni mi piaceva, spesso, perdermi guardando le tavole di Walter Molino pubblicate sulla Domenica del Corriere. Un mio zio, fratello di mio padre e morto nel 1956, ne aveva fatto rilegare diverse annate e per me rappresentavano un vero tesoro. Le tavole in prima pagina erano spesso dedicate alle eroiche gesta dei carabinieri, sia in pace che in guerra. Questi militari, ai miei occhi di bambino, assumevano le sembianze di persone speciali, potremmo dire di supereroi, e quando vedevo uno di loro ne ero affascinato e contento. Mi dava garanzia di sicurezza. Per questo mi fa specie vedere, con una certa frequenza, carabinieri che si comportano in modo poco consono al loro ruolo. Si vedono alcune pattuglie con il cappello messo di sghimbescio, il braccio che penzola fuori dal finestrino come un qualunque ragazzotto che deve fare colpo sulla squinzia di turno. Tempo fa c’erano due giovani carabinieri su un’auto di servizio e l’autista era beatamente al cellulare che, presumibilmente, inviava messaggi. Un carabiniere, un qualsiasi rappresentante dello Stato, deve o dovrebbe avere un atteggiamento sempre consono ed adeguato alla divisa che indossa. Egli deve avere la consapevolezza di dover essere un esempio per tutti gli altri.
La stessa cosa deve fare il docente. È vero, il docente non indossa una divisa ma è pur sempre un rappresentante dello Stato, è pur sempre una figura di riferimento tanto per gli alunni quanto per le famiglie. Alcuni comportamenti non possono, quindi, essere ammessi e, se capitano, non possono essere fatti passare sotto silenzio. Il dirigente scolastico dovrebbe essere il primo censore di atteggiamenti e comportamenti che derogano a tale regola. A volte vedevo delle colleghe vestite in modo ben poco consono ad un ambiente scolastico: pantaloni molto attillati, tacchi esageratamente alti, scolature generose, … oppure colleghi trasandati, ben poco curati, con la barba non rasata. Sono abbigliamenti che possono andare bene in luoghi altri, non in un luogo deputato a bel altri fini. Cosa si va poi ad insegnare ai ragazzi l’educazione civica o qualunque altra regola di comportamento se all’educatore manca l’ABC di un’adeguata convivenza civile ed il rispetto per la propria persona, per il proprio ruolo e per coloro che ci stanno davanti.
Avere consapevolezza aiuta a dare valore al proprio ruolo e, di conseguenza, a trarne maggiore gratificazione personale. È in atto, già da tempo, un’operazione di delegittimazione della scuola e del corpo docente. Un’operazione subdola perché condotta sottotraccia e fatta passare per una campagna moralizzatrice, una battaglia per ridurre le risorse impiegate con la “razionalizzazione” della spesa, quando invece si mettono in atto veri e propri tagli lineari, volti solo a contenere il budget della scuola, senza pensare minimamente all’impatto di una tale pseudo-politica sui risultati. Anzi, i risultati non sempre all’altezza vengono proprio utilizzati per ridurre ulteriormente i fondi destinati all’istruzione in un circolo vizioso che ha portato l’Italia negli ultimi posti delle classifiche mondiali relative al livello qualitativo dei sistemi nazionali di istruzione.
Avere consapevolezza del proprio ruolo di docente e di educatore vuol dire dare importanza alle sfumature, alimentare la passione per il dettaglio e per le cose fatte bene. In questo c’è la vera potenzialità del proprio ruolo. Nel caso specifico di un docente tra le sfumature da cogliere al primo posto non può non esserci se non l’attenzione da riservare ad ogni alunno, ricordando sempre che siamo noi che dobbiamo adeguarci alle richieste dello studente e non viceversa. Dobbiamo mettere molta attenzione nel capire le inclinazioni dell’alunno, nel percepire i suoi sogni ed aiutarlo a realizzarli.
Altra sfumatura da curare, per così dire, è quella di proporre gli argomenti di studio in modo coinvolgente, con tono affabulatorio, cercando di rendere l’argomento “appetibile” e credere nella nostra azione. È opportuno togliere dagli argomenti proposti quella patina di stantio, di vecchio, creata da una trattazione puramente teorica o, comunque, lontana dagli interessi dei ragazzi. Gli argomenti e la loro trattazione devono essere vicini al vissuto dei ragazzi, devono essere in grado di catturare la loro attenzione, devono potere essere applicati nella vita di tutti i giorni. Bisogna che il ragazzo veda a quel determinato argomento coma qualcosa di utile nell’immediato. Nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, e forse anche nei primi anni della scuola secondaria di secondo grado, il futuro viene ancora visto dai ragazzi come qualcosa di molto lontano, come qualcosa che non li riguarda, per cui è inutile incitare i ragazzi dicendo “studia per crearti un futuro”.
Altro piccolo consiglio che mi permetto di dare è quello di entrare in classe con la voglia e la passione di fare qualche cosa di grande, sempre e comunque. Quando mettiamo passione nel nostro lavoro, essa traspare ed è in grado di trascinare i ragazzi, motivandoli. Dobbiamo avere sempre ben chiaro il nostro ruolo di artefici co-protagonisti di un processo che porterà dei bimbi indifesi ad essere uomini e donne, cittadini di un mondo che cambia in continuazione con velocità sempre maggiore, per cui ci viene richiesto un impegno non indifferente. Per formare dei cittadini non è certo indispensabile finire il programma o rispondere alle interrogazioni secondo i nostri diktat, al contrario sarebbe molto più proficuo lasciare che i ragazzi si esprimano su tematiche di loro gradimento, seppure negli ampi limiti previsti dalle Indicazioni nazionali 2012 e dal documento successivo di adeguamento (Indicazioni nazionali e nuovi scenari). La scelta potrebbe risultare addirittura difficile dal momento che le ipotesi su ci operare sono molto numerose.
Ma la consapevolezza del proprio ruolo si può, anzi si deve, manifestare anche in attività spesso affrontate in modo superficiale. Prendiamo ad esempio la stesura di uno dei tanti verbali che costellano gli impegni di un docente. Se essa viene fatta per tacitare il dirigente scolastico, sarà un impegno noioso che ci porterà via del tempo senza nessun beneficio per la nostra professionalità. Alla fine manderemo in stampa il nostro documento con un senso di vuoto, con la convinzione di aver perso del tempo che avremmo potuto impiegare più proficuamente in altro modo. Se, invece, ci accingiamo a stilare la relazione iniziale o finale con lo spirito giusto, le cose cambierebbero radicalmente. Stilare una relazione, infatti, dovrebbe voler dire riflettere su quello che si vuole fare e come lo si vuole fare, tenendo conto delle condizioni iniziali e delle risorse disponibili. È un momento di riflessione che, come ogni processo di metacognizione, ci porta a migliorare il nostro modo di fare e la nostra professionalità. Oggi sono molto diffusi software per la gestione di tutte le fasi della funzione docente. Tra le innumerevoli funzioni di tali software non poteva mancare quella relativa alla stesura dei verbali delle riunioni e delle relazioni didattiche. Servirsi esclusivamente di tali strumenti potrebbe sembrare utile perché ci fa guadagnare tempo, in realtà non permette l’adeguata riflessione, il che si traduce in un’opportunità non colta.
Molto utile per coltivare un’adeguata consapevolezza del proprio ruolo è anche quello di curare la forma. Infatti, come diceva Oscar Wilde in un suo aforisma: “Forma e contenuto non possono essere distinti in un’opera d’arte, sono una sola cosa”. Ed aiutare un ragazzo a sbocciare alla vita adulta, a raggiungere il pieno sviluppo della persona umana deve essere un’opera d’arte ed ogni docente deve attivarsi per essere un artista degno del gravoso quanto gratificante compito.
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