Un dovere costituzionale

Un dovere costituzionale

4 Luglio 2020 0 Di giuseppe perpiglia

«La nostra Costituzione è in parte una realtà, in parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere». Questo affermava Piero Calamandrei, uno dei Padri costituenti, nei primi anni cinquanta dello scorso secolo. E questa affermazione è ancora oggi valida ed attuale. Alla scuola, senza dubbio, spetta una parte di quel lavoro ancora da compiere.

La Costituzione Italiana deve essere considerata il nostro vangelo laico, la bussola da consultare per procedere spediti lungo la strada del progresso morale, materiale ed etico della società.

Don Luigi Sturzo affermava: «La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal Governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà».

Molte e diverse sono le avvisaglie che sembrano dare corpo alle preoccupazioni di don Luigi Sturzo. In politica, come in diversi altri settori della società, vige un relativismo che ci porta a giustificare tutto e tutti, in virtù di improbabili diritti e di un ossequioso rispetto del politicamente corretto che conduce ad un livellamento in basso, che a sua volta è causa dell’imbarbarimento delle relazioni umane. La verità è vista come un qualche cosa da cui rifuggire, facendo passare coloro che la ricercano come persone autoritarie ed intransigenti, dando a tale termine un’accezione negativa.

La scuola non può accettare questa pericolosa deriva, anzi la deve combattere con tutte le sue forze. Quando la scuola ha cercato di seguire questa corrente di pseudo pensiero, che ha interessato ed interessa tutta la società, è stata travolta da un’onda lunga che ne ha ulteriormente minato la sua credibilità.

Rivalutare la funzione docente è operazione che spetta di diritto agli insegnanti stessi che devono mettere in campo tutta la loro professionalità e la loro passione. Fino a quando il lavoro del docente sarà considerato solo un ripiego, l’ultima spiaggia per trovare un lavoro che permetta di mettere insieme il pranzo con la cena, la classe docente sarà sempre in balìa di giudizi sommari da parte della politica e della società.  L’apprezzamento sociale dei docenti, invece, si fonda sulla loro capacità di formare giovani entusiasti, capaci di combattere la noia ed accesi di ideali di vita buona e questo è possibile solo quando si mette in campo la passione, la professionalità ed una solida cultura disciplinare.

Ma cerchiamo, ora di inquadrare il lavoro del docente alla luce della Costituzione. Nell’art. 1 si afferma che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…». Ne consegue che la scuola deve essere strumento di democrazia o non è. Inoltre, dovrebbe promuovere il senso del dovere e della responsabilità (il lavoro) come valore universale, valore in grado di dare sostanza all’umanità dell’uomo. Nel successivo art. 2 si riconoscono e si garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo, quindi la scuola deve comportarsi di conseguenza: i docenti devono avere e dimostrare il massimo rispetto per la dignità di ogni singolo alunno in quanto persona. Devono, inoltre, avere atteggiamenti e proporre esempi tali da promuovere la solidarietà tra tutti, a prescindere dal ruolo o, magari, dalle simpatie. Eliminare a monte i pregiudizi in grado di avvelenare le relazioni umane tra i vari soggetti coinvolti nel processo educativo e formativo.

L’art. 3 è l’esaltazione dell’inclusività. La scuola deve essere inclusiva se vuole essere una scuola in grado di formare i cittadini del domani, non può lasciare spazio a ghettizzazioni apparenti o anche solo dissimulate sotto varie forme. Inoltre, sempre seguendo il dettato costituzionale, ogni docente deve attivarsi per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, chiaramente, nel caso in specie, soprattutto quelli sociali, che possano limitare la partecipazione attiva degli studenti alla vita scolastica.

L’art. 4 chiama in ballo ogni persona, ogni cittadino, quindi anche gli studenti, richiedendo loro di impegnarsi per lo sviluppo materiale o spirituale della società. È una richiesta sicuramente impegnativa, ma, se proposta in modo opportuno, renderebbe i ragazzi oltre modo motivati in quanto darebbero un senso alto e gratificante al loro impegno.

L’autonomia scolastica prevede, come sappiamo, anche la ricerca scientifica e tecnica, come previsto dall’art. 9 della Costituzione. Tale articolo richiede anche la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. È un invito ad appropriarsi, o forse a ri-appropriarsi, delle radici della nostra cultura, spesso messe in disparte. È un invito indiretto, ma non troppo, alla scuola ad uscire dalla propria torre d’avorio ed aprirsi al territorio, perché il patrimonio storico e artistico non può essere visto soltanto sui libri di testo, ma devono essere vissuti come esperienza reale.

Il rifiuto della guerra come strumento di offesa deve essere declinato in classe come rifiuto e ripudio della violenza, per quanto edulcorata possa essere, per la risoluzione dei contrasti tra persone. Altro valore universale da curvare nelle nostre aule riguarda la libertà di espressione. Diceva Ernest Abbè: «In una classe l’insegnante si aspetta di essere ascoltato. Lo studente pure» (Dell’educazione, 1996). Nell’espressione verbale e scritta il ragazzo tende a mettere in gioco il suo “io” più profondo, tende a mandare dei messaggi sui suoi bisogni. Pretendere che l’alunno dica e faccia quello che decide il docente vuol dire andare contro i cardini stessi dell’insegnamento, vuol dire fare altro, non certo formazione o educazione.

Gli articoli 33 e 34 ribadiscono, nel caso precipuo della scuola, quanto affermato da articoli precedenti. Infatti, affermano la libertà di insegnamento e la necessità di una scuola inclusiva: «La scuola è aperta a tutti».

La scuola non deve formare persone solo istruite, deve formare cittadini, quindi persona mature, in grado di ragionare con la propria testa, persone in grado di sapersi orientare. Questo non esclude la promozione di saperi, anzi. Infatti, nell’attuale scenario socio-politico, la mancanza dei saperi fondamentali significa pregiudicare fortemente il proprio futuro. Bisogna aggiungere, però, che la mancata traslazione delle conoscenze in competenze diminuisce la capacità di intercettare le richieste e le opportunità offerte dal mondo del lavoro. Quindi, le conoscenze devono svolgere il ruolo di substrato necessario, ma non sufficiente, su cui far attecchire le competenze. A questo punto, però, bisogna portare a sintesi le competenze consolidate e quelle innovative ed essere in grado di capire, e quindi di intercettare, il sistema della domanda e dell’offerta del mercato del lavoro, perché, sempre in base al dettato costituzionale, «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

Ogni insegnante, qualunque sia il grado scolastico in cui è impegnato, deve avere la consapevolezza profonda che la cultura è medicina in grado di curare buona parte delle malattie della nostra società, ma serve una cultura viva, capace di stimolare il gusto e la passione dei propri studenti. Ed in questo senso deve perseguire ed esperire il suo compito e la sua azione didattica.

La formazione, però, altro non è che cura e attenzioni prestate e da prestare al capitale umano e professionale di cui il nostro Paese dispone per i tempi a venire. Bisognerebbe avere più cura della fragilità, della mancanza, dell’incompiutezza perché è grazie alla fragilità, alla mancanza, all’incompiutezza che si generano gli apprendimenti e prendono forma le capacità.

Prendersi cura delle fragilità, piccole o grandi, di un alunno, lo fa sentire “importante”, gli fa capire che non è solo, aumentando così la sua autostima e pungolandolo a fare sempre meglio per non deludere la persona che crede in lui.

In questa sua rincorsa ad una maggiore e più pregnante efficacia, però, la scuola deve confrontarsi con sé stessa, deve riflettere sul proprio operato e sugli esiti registrati. La scuola italiana, però, si porta dietro un pesante deficit di cultura della valutazione, aggravato dall’uso distorto che per tanto tempo è stato fatto di questo termine, ridotto a sinonimo di giudicare. Valutare non deve essere sinonimo di giudicare ma di conoscere e conoscersi. È riflettere sul proprio operato per migliorare il proprio lavoro. In questo senso, la rendicontazione sociale è approdo conclusivo del processo di valutazione, mentre l’autovalutazione è il suo punto di avvio.

In tutta questa attività, ogni soggetto coinvolto, non deve mai dimenticare le finalità che lo spingono ad operare. “Dare consapevolezza dei fini” era, per Adriano Olivetti, una delle cose necessarie al buon funzionamento di una fabbrica, condizione e punto di partenza per fare di un’impresa produttiva una “comunità di persone” e questo, spesso, è il primo gradino per costruire un solido edificio motivazionale. Quando si ha ben chiaro l’obiettivo da raggiungere, diventa più facile trovare delle motivazioni personali che ne giustifichino il raggiungimento. Quando, invece, si propone un obiettivo debole, falso, avulso dal contesto di vita del ragazzo, un obiettivo fumoso, dai contorni indistinti, tutto diventa più difficile. È vero, ogni organizzazione ha bisogno di regole, norme, procedure, ma anche di ascolto e di emozioni.

La scuola dovrebbe essere ripensata come “scuola della comunità locale“, istituzione chiamata a rispondere, nel concreto, alla domanda di formazione anzitutto umana, e poi culturale e relazionale. Per motivare i ragazzi è necessario proporre loro un’educazione autentica, un’educazione, cioè, in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone. Ed ogni vero educatore sa che per educare deve dare qualcosa di sé stesso perché soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore.

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