Siamo alle solite

Siamo alle solite

9 Giugno 2020 0 Di giuseppe perpiglia

Leggo, ormai in modo molto disincantato, l’articolo sui docenti di tale Sallusti Alessandro da Como, auto-definitosi giornalista. La figura professionale del docente viene declassata a “vigliacco, felice di prendere lo stipendio senza lavorare”. Non sto qui a ribattere parlando dei tanti pennivendoli, gruppo di cui potrebbe far parte anche il nostro, sempre pronti a leccare e ad incensare il potente di turno, salvo cambiare bandiera ad ogni elezione. Non sto qui a ricordare che i giornali vengono foraggiati con denaro pubblico perché non sono in grado di sorreggersi con la forza delle proprie professionalità. Cercherò solo di esprimere le mie idee, i miei pensieri e le mie considerazioni per smentire le malevolenze vomitate da tale Sallusti Alessandro da Como.

In effetti chiedo che mi concediate qualche minuto per concentrarmi al fine di fare ordine tra le tante amenità ed i tanti luoghi comuni sui docenti e sulla scuola. Luoghi comuni causa ed effetto, ad un tempo, di una delegittimazione iniziata decenni or sono, sostenuta e fomentata da una classe politica tanto miope da non riuscire a capire l’importanza di mettere la scuola in grado di dare risposte adeguate alle pressanti richieste della società attuale. Ricordiamo tutti, presumo, le affermazioni del signor Brunetta Renato, già ministro della semplificazione (con i risultati che stiamo ancora aspettando) secondo cui i docenti sarebbero solo dei fannulloni che possono godere di tre mesi di ferie.  Qualche tempo fa tale Bussetti Marco da Gallarate, nella sua funzione di ministro della Pubblica Istruzione, affermò che la scuola del sud non funzionerebbe a dovere perché i docenti del sud non avrebbero voglia di lavorare. Entrambi i signori ministri hanno dato, con tali loro affermazioni, un ferale colpo alla credibilità ed alla legittimazione della scuola e dei docenti. Dimenticano, i signori ministri, che sono stati alunni anche loro e che, proprio grazie alla scuola, hanno potuto riscaldare sì importanti scranni.

Non è certo mia intenzione andare a spigolare sulle tante amenità che hanno visto protagonisti i giornalisti, della carta stampata o dei vari talk show che ammorbano l’etere, perché si tratterebbe di un lavoro improbo per tempo richiesto e per vastità del materiale da vagliare. Ma ancor di più perché sarebbe lavoro sprecato e riconducibile ad una semplice ripicca, atteggiamento che non è nelle corde degli insegnanti.

Ebbene, caro signor Sallusti da Como, lei non ha mai avuto contezza di cosa voglia dire veder crescere sotto i propri occhi, giorno per giorno, respirando la stessa aria, un gruppo di bambini, di ragazzi o di adolescenti che ti vedono come una figura di riferimento ed a cui devi dare delle risposte di senso. Giovani vite che stanno faticosamente cercando di dare un senso, appunto, alla loro vita e che stanno, altrettanto faticosamente, cercando di costruire un proprio progetto di vita. È, per il docente, una responsabilità enorme, che viene ingigantita dall’essere lasciato solo ad operare in condizioni che definire inadeguate è un pio eufemismo.

Gli adolescenti sono alla continua ricerca di guide credibili e carismatiche e di punti di riferimento stabili e sicuri che, se non riescono a trovare a scuola o in altri ambiti educativi, li vanno, purtroppo, a cercare il più delle volte tra i loro idoli: cantanti, attori, calciatori. Altre volte, invece, cercano conferme, fatue, in sostanze alle quali si vogliono riconoscere effetti miracolistici.

Questa grande responsabilità andrebbe compresa dalla classe politica e condivisa anche con coloro che dovrebbero rappresentare il soggetto deputato ad educare la comunità.

Si, signor Sallusti, ha capito bene! Mi riferisco proprio ai giornalisti, categoria alla quale lei dice di appartenere, che, qualora svolgessero bene il loro compito, avrebbero una funzione molto simile a quella del docente. Il giornalista, infatti, come il docente, dovrebbe essere in grado di leggere criticamente la realtà e renderla più facilmente fruibile alla comunità per promuoverne la crescita morale e personale. Quella del giornalista vero, come quella del docente, è una professione profondamente intrisa di partecipazione emotiva e personale, tanto da farne una vera e propria missione.

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È strano il fatto che si consideri la scuola quasi come un pozzo di san Patrizio, un’istituzione, cioè, che spreca i fondi ad essa destinati e che non bastano mai. Questo ha fatto sì che la scuola sia stata fatta oggetto dai vari governi, di qualunque colore e di qualunque collocazione politica, di tagli lineari, ipocritamente fatti passare per razionalizzazioni delle spese. Salvo, poi, farla facile bersaglio di critiche e di accuse per tutti i mali che affliggono la nostra società.

Caro signor Sallusti, caro signor Brunetta, caro signor Bussetti se manca circa il 10% dei presidenti necessari per svolgere regolarmente gli esami di maturità, la colpa è in buona parte anche vostra, cioè di una politica miope e disonesta e di una certa stampa sempre pronta ad incensare il potente di turno. Con il vostro comportamento nei confronti della scuola avete eroso, giorno dopo giorno, l’autostima e l’orgoglio di tanti onesti professionisti fino a farne dei burocrati, quali quelli che siete soliti bazzicare. Il venire meno dell’orgoglio di far parte di una categoria agevola il riaffiorare di spinte al ribasso, mette in risalto, per differenza, le caratteristiche peggiori di ognuno di noi. Quando un individuo entra in politica lo fa per gestire il potere, lo fa per decidere sulla vita di altri al fine di ricavarne benefici personali o per i suoi parenti ed amici. Quando una persona decide di dirigere un giornale lo fa per motivi molto simili. Anche un direttore di giornale è animato dall’ossessione del potere e della manipolazione della realtà. Basti pensare al film Quarto potere, capolavoro indiscusso di Orson Welles uscito nel 1941 ma ancora attualissimo. Entrambi, politici e direttori, ben sanno, inoltre, quale stipendio li aspetti a prescindere dai risultati che otterranno.

Quando, invece, un laureato, perché tale deve essere un docente, al contrario di un politico, entra nella scuola è animato da ben altro spirito e, solo per questo, dovrebbe essergli riconosciuta ben altra considerazione. Hanno fatto in modo, invece, di rendere la scuola un refugium peccatorum, a causa della scarsa considerazione sociale ed economica.

Pensando alla scuola mi viene in mente il film l’attimo fuggente, del regista Peter Weir ed usciti nel 1989. Nel film viene pronunciata una frase che caratterizza primariamente la professione docente: «Carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita». E compito del docente è proprio quello di rendere quanto più possibile straordinaria la vita di ogni ragazzo. Come compito primario della politica dovrebbe essere quello di rendere la vita di ogni cittadino degna di essere vissuta. Il giornalismo, invece, dovrebbe illustrare i fatti corredandoli delle proprie opinioni, avendo cura di separare gli uni dalle altre con assoluta chiarezza, per fare in modo che ogni lettore si possa fare un’idea propria, basata su dati di realtà.

Spero tanto che quanto scritto fino ad ora non abbia indotto alcuno in errore. Non è assolutamente mia intenzione fomentare una guerra santa contro politici e giornalisti. Vorrei solo che la scuola, per meriti propri e per sua costituzione, venisse adeguatamente considerata per l’alto compito che ad essa è stato affidato. Ad iniziare dalla selezione del personale che non può essere affidata soltanto ad un elaborato scritto e ad un colloquio, ma dovrebbe essere corredata da un funzionale percorso di studi e da un periodo di tirocinio che porti ad un posto di lavoro sicuro e adeguatamente retribuito.

Vorrei una classe politica che faccia dell’etica il suo punto di riferimento, una politica che stia in mezzo alla gente per conoscerne i bisogni e le esigenze effettivi, una politica in grado di innalzare il livello morale della nazione.

Vorrei giornalisti liberi nel loro lavoro, giornalisti che riportino i fatti per come si sono svolti e solo dopo cerchino di inquadrarli, chiaramente dalla loro ottica, in un contesto più ampio, indicando la direzione verso cui tendono.

Nella mia fantasia ipotizzo l’instaurazione di un circolo virtuoso ove ogni categoria professionale, e non, sia da stimolo e da supporto alle altre per un miglioramento continuo per fare in modo che ogni cittadino possa adempiere al dettato costituzionale di «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4).

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