La mission della scuola

La mission della scuola

28 Maggio 2020 0 Di giuseppe perpiglia

Tante sono le norme che indicano alla scuola ed ai docenti cosa devono fare e come devono farlo. Una serie di documenti via via più strutturata per aiutare i docenti e le scuole a svolgere sempre meglio il loro ruolo. In questa tendenza, per altro opportuna, all’analiticità si corre il rischio di perdere di vista il fine ultimo dell’istruzione. Tale fine è contenuto nella Costituzione ed è scritto in modo chiaro, in un modo che non lascia spazio a fraintendimenti. Sto pensando al passo che dice è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli economici e sociali in grado di limitare la libertà dell’individuo ed impedire il pieno sviluppo della persona umana, sto pensando ai doveri inderogabili della solidarietà economica e sociale. Ma sto pensando anche alla frase detta di Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti, secondo cui trasformare dei sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può fare.

Allora, compito precipuo della scuola deve essere quello di mettere gli studenti nelle migliori condizioni per leggere correttamente e criticamente il presente ed indirizzarlo verso un futuro migliore. Nella società attuale vige la cultura dell’apparire, regna l’ipocrisia e la mancanza quasi assoluta di coerenza. Non è, infatti, un caso se il filosofo Zygmunt Bauman ha introdotto il concetto di “società liquida”. Oggi la società sembra affascinata da parole che tendono a rassicurare il nostro ego, parole che ci fanno sentire più efficaci, parole come performance, concorrenza e competizione, risultato e premialità. Sembra che, finalmente, si voglia mettere l’uomo al centro di tutto, il famoso uomo solo al comando mutuato dalle cronache delle grandi corse ciclistiche. Ma, nella voglia di mettere l’individuo al centro di tutto, ci si dimentica della persona. Infatti, si fa dipendere l’efficienza dall’idea di comando e di controllo sugli altri. Si porta la società sulla strada di un auto-inganno che fa considerare valore solo ciò che ha un prezzo, e con tale variabile il valore viene misurato. Qualunque cosa che non possa essere monetizzata è giudicata priva di valore.

Ma le competenze a più alto valore sociale sono proprio quelle a forte valenza spirituale, quelle a cui è molto difficile dare un prezzo. Si pensi alla capacità di dialogo, di ascolto, all’empatia, alla capacità di collaborazione, a quella di affrontare i problemi in modo razionale e flessibile, ma anche con sensibilità e creatività. Si pensi, inoltre, alla capacità di esprimersi con libertà e con rispetto per gli altri, alla competenza di assertività ed a quella di creare e di mantenere amicizie vere e sincere. Ricordiamo, a scaso i equivoci, che il significato di assertività viene dal latino ‘asserere‘ che significa ‘asserire‘. Ovvero esprimere se stessi. L’assertività è, infatti, la capacità di affermare i propri diritti e il proprio punto di vista, comunicando in maniera diretta e calma. Facendo rispettare i propri diritti, esponendo i propri desideri. Si basa una buona stima di sé e sul rispetto degli altri in un clima di uguaglianza. La competenza dell’assertività prevede un comportamento che affronta le discussioni invece di evitarle in maniera passiva. Ma le gestisce in maniera costruttiva esponendo le proprie ragioni, senza essere aggressivi. In equilibrio con i diritti ‘assertivi’ degli altri.

Tutte le caratteristiche comportamentali prima elencate si possono sviluppare solo in un clima di vera comunità.

Le competenze sociali sono quelle che più di altre servono e vengono utilizzate nella vita di tutti, tutti i giorni. Gli incontri e le relazioni sono le basi su cui poggia il nostro benessere sociale, per cui la qualità degli incontri e delle relazioni è direttamene e strettamente legata alla qualità del nostro benessere sociale, in un reciproco rapporto di rinforzo. La scuola è un ambiente particolare caratterizzato proprio da un intreccio continuo di relazioni, da un flusso ininterrotto di incontri, da un gioco complesso di legami che tengono insieme docenti ed alunni, senza escludere il restante personale che opera nelle scuole e, ovviamente, le famiglie. La scuola mette di fronte le diverse professionalità finalizzate ed organizzate affinché esplichino un’ampia ed articolata valenza educativa da una parte, gli allievi, le famiglie, la comunità ed il mondo del lavoro dall’altra.

Ma la scuola deve essere anche consapevole di un’altra sua importante funzione. Essa, infatti, rappresenta un luogo di incontro e di inquinamento reciproco tra generazioni diverse. È nella scuola che si progetta, o si dovrebbe progettare, il futuro. È sempre la scuola che dovrebbe rappresentare il motore per lo sviluppo della comunità circostante.

Per molto tempo, la scuola e la società guardavano nella stessa direzione. La società selezionava i cittadini e li inquadrava in categorie più o meno definite. La scuola si occupava di preparare la futura classe dirigente. Le categorie più abbienti guardavano alla scuola come a quella istituzione in grado di perpetuare il loro predominio ed i loro privilegi, mentre la classe costituita da operari, contadini e piccoli artigiani, sudditi più che cittadini esclusi a priori dalla società che conta, guardava alla scuola come all’ascensore sociale che poteva permettere ai loro figli quella vita che a loro era preclusa. Era l’istituzione che poteva aiutare tali individui a creare un futuro di speranza per i loro discendenti.  I ragazzi, dal canto loro, erano motivati perché sapevano che un impegno serio e costante avrebbe portato i frutti desiderati da loro e dai loro genitori.

Oggi la situazione è completamente diversa, anzi addirittura capovolta. La società, infatti, sembra piuttosto prediligere ai valori i disvalori, quali l’arrivismo e la contrapposizione, la sopraffazione verbale che non raramente trascende in quella fisica. Si pensi ai numerosi talk show: scontri che travalicano i canoni della buona educazione e del rispetto ed a volte rischiano di scadere in veri e propri scontri fisici. Il tutto per supportare tesi inconsistenti, che non hanno nessun fondamento ideologico. Tutti parlano di tutto senza avere la benché minima preparazione in materia. Sono nate nuove professioni fatte di vento: l’opinionista, il tuttologo a buon mercato, l’influencer, … Quest’ultimo è un termine utilizzato in ambito pubblicitario per indicare quelle persone che, essendo determinanti nell’influenzare l’opinione pubblica, costituiscono un target importante cui indirizzare messaggi pubblicitari, al fine di accelerarne l’accettazione presso un pubblico più vasto. Oggi, con l’avvento dei social, serve ad indicare quei leoni da tastiera che riescono ad avere un numero elevato di follower, cioè di persone che seguono con interesse i loro post, i loro messaggi messi sui social, appunto.

La professionalità, l’etica, la coerenza non sono più delle virtù da promuovere e da perseguire, ma stanno rischiando di essere considerate veri e propri ostacoli all’affermazione sui social media. Un’affermazione tanto virale, come si preferisce dire oggi, quanto effimera. I sociologi parlano da tempo di società dell’apparire, profondamente immersa in una matrice edonistica.

La scuola, invece, deve focalizzare tutte le sue attenzioni e le sue energie nel coltivare l’essere. Deve occuparsi di far crescere la persona e di promuoverne la maturazione nel campo dell’etica, della solidarietà, del rispetto delle regole e delle persone, nell’accoglienza dell’altro con le sue diversità. Deve lavorare per promuovere quella cittadinanza attiva che oggi sembra latitare. Questo suo compito è reso ancora più difficile dalla costatazione che la società non è un corpo monolitico e rigido, immutabile nel tempo e nello spazio. Al contrario, la società è un organismo vivo che, non solo cambia ed evolve nel tempo e nello spazio, ma nel suo interno è differenziata per funzioni, compiti, responsabilità, impegni e investimenti personali diversi e mutabili anch’essi. Si tratta, nel complesso, di una ricchezza da conoscere e riconoscere per armonizzarla e renderla funzionale sia ad un equilibrio interno all’individuo, sia in funzione della missione generale della scuola.

Il compito del docente non è più quello, se mai lo è stato, di riempire otri vuoti, ma, oggi più che mai, quello di accendere in ogni alunno la scintilla dell’interesse e della curiosità per renderlo autonomo, per fare in modo che, quanto prima possibile, possa fare a meno della scuola perché si è reso autonomo nella ricerca delle informazioni di suo interesse e nella loro valutazione critica, oltre che del suo inutilizzo strumentale rispetto agli obiettivi che si propone. Ma la scuola deve anche proporre e promuovere i valori universali e sempiterni della solidarietà, dell’accoglienza e del rispetto, valori che il docente deve possedere in prima persona per poterli promuovere e condividere con i suoi alunni.

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