
Curricolo e UdA
È disponibile un Curricolo ed UdA, anche questo scaricabile gratuitamente, sul curricolo verticale e sulle unità di apprendimento.
La legge Bassanini (Legge 15 marzo 1997, n. 59), concedendo l’autonomia alle scuole, ha innescato un movimento inarrestabile, che è stato ulteriormente alimentato dall’affermarsi delle competenze a scapito delle conoscenze. Il prevalere delle competenze sulle conoscenze è anche frutto della globalizzazione, infatti, ai sistemi scolastici dei vari Paesi veniva richiesta, non già una standardizzazione, bensì una flessibilità tale che l’acquisizione culturale del singolo potesse essere acquisizione culturale non solo della comunità locale e nazionale, ma anche di quella europea e mondiale.
Alcuni, non solo in campo scolastico, fanno tuttora confusione, in buona o in mala fede, tra autonomia e anarchia. Il termine autonomia vuol dire darsi delle regole da sé, mentre il termine anarchia vuol dire governo di nessuno, quindi, non avere l’obbligo, morale ed etico oltre che politico, di dare conto. In genere questo secondo termine viene a sua volta considerato quasi sinonimo di anomia, cioè mancanza di regole.
L’autonomia non permette di fare il bello ed il cattivo tempo a proprio piacimento, ma prevede il rispetto di regole precise e condivise, per quanto, o forse ancor di più, scelte all’interno del gruppo.
Le competenze, per quanto abbiamo bisogno delle conoscenze per essere perseguite e acquisite, sono molto più complesse da proporre, da acquisire e da valutare. La perdita della supremazia da parte delle conoscenze a favore delle competenze ha portato alla conseguente eliminazione del programma, stella polare dei docenti di ieri e, purtroppo, anche di qualche nostalgico di oggi.
Il MIUR ha individuato, per la scuola di oggi, un’altra stella polare nel Profilo dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione, contenuto nel documento Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione. Grazie all’autonomia organizzativa e didattica, ogni istituzione scolastica può seguire un suo proprio percorso educativo e didattico con la sola limitazione che il punto di arrivo sia quello previsto dal profilo dello studente. La meta, quindi, è uguale per tutte le istituzioni scolastiche. Il punto di partenza, invece, è diverso per ogni alunno ed è proprio alla situazione iniziale di ogni singolo alunno che le istituzioni scolastiche e i docenti devono adeguarsi. Essi devono adeguarsi anche al ritmo ed alle modalità di apprendimento individuale degli alunni.
Il riconoscimento dell’autonomia ha comportato un’altra importante modifica nell’organizzazione scolastica. Una modifica che, in genere, è passata quasi sotto silenzio ma che è in grado di incidere profondamente sulla vita scolastica. I presidi ed i direttori didattici hanno lasciato il posto al dirigente scolastico. Prima della Riforma Bassanini, infatti, il capo di istituto era un mero esecutore di ordini e di direttive che venivano dal centro, rappresentato dall’USR o direttamente dal MIUR. Compito del capo di istituto era quello di fare in modo che le direttive e le circolari venissero applicate meglio possibile a livello locale. In caso di dubbio si ricorreva al telefono per avere i chiarimenti necessari.
Con l’autonomia le cose sono cambiate radicalmente. Infatti, ogni dirigente è chiamato a prendere decisioni contingenti senza il paracadute della norma; deve prendersi delle responsabilità a cui è tenuto a rispondere in prima persona e di cui deve rendere conto. Le istituzioni scolastiche sono assimilate, con buona approssimazione, ad aziende con l’ulteriore vincolo di gestire soldi pubblici, per cui devono rendere conto pubblicamente delle loro azioni. Qualcuno ricorderà la Moratti e le tre “I”: inglese, informatica e impresa. Ritornando alle scuole-aziende, le loro azioni devono essere trasparenti, come trasparente deve essere la loro offerta formativa.
Per rendere conto delle loro scelte e delle relative finalizzazioni, il legislatore ha previsto la stesura del bilancio (o rendicontazione) sociale, mentre in campo prettamente didattico bisogna stilare il Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) che può essere adeguato con cadenza annuale. Entrambi i documenti devono essere il frutto del lavoro collaborativo dell’intera istituzione scolastica. Nella pratica, è bene delegare il lavoro di stesura delle bozze a gruppi ristretti di cui facciano parte, possibilmente, tutte le componenti, incluse le famiglie. Una volta ultimate le bozze, queste devono essere condivise con gli organi collegiali, coinvolgendo anche il personale ATA. Solo a questo punto possono essere pubblicati per come previsto dalla norma.
Altro documento che dovrebbe coinvolgere tutta la comunità educante è il curricolo verticale di istituto. Si tratta dell’insieme di una sorta di linee guida per orientare l’attività didattica verso obiettivi congruenti con il profilo dello studente, ma saldamente ancorate alle risorse disponibili ed alle esigenze dei ragazzi. Il curricolo deve essere stilato per i ragazzi, non certo per i docenti o per le famiglie. Il lavoro preliminare, quello sì, è a carico di famiglie e docenti e deve consistere nel prendere coscienza delle precondizioni strutturali e strumentali, ma anche delle risorse professionali disponibili, siano esse interne o esterne.
Tutti i risultati registrati devono passare al vaglio della strumentalità nei confronti della richiesta, tacita o manifesta, degli alunni. Quella degli alunni è una richiesta complessa perché è una richiesta di futuro che passa dalla coerenza degli adulti. Non è facile soddisfare tale richiesta perché preveda una risposta che abbia senso e che sia in grado di porre il giovane nelle migliori condizioni per elaborare un proprio progetto di vita coerente con le proprie abilità e con le proprie potenzialità, ma anche con le proprie esigenze e le proprie aspettative.
Il ragazzo, in special modo in questa società deframmentata e liquida, ha bisogno di ancorare le sue speranze su punti fermi e coerenti, in grado di fornire risposte quanto più esaustive alla sua domanda di senso. Questo comporta che il docente non può limitarsi a proporre contenuti ed attività in modo distaccato, asettico, ma deve mettersi in gioco, come professionista e come uomo, ogni giorno e con ogni alunno. Anche il docente deve trovare un senso in quello che fa. Deve entrare in classe non con la protervia di colui che detiene la conoscenza assoluta, ma con l’umiltà della consapevolezza che ogni relazione può insegnare qualche cosa.
Certamente, la professionalità riveste la sua importanza perché è proprio questa che facilita la creazione ed il mantenimento di relazioni umane solide, proficue e stabili. La professionalità va quindi coltivata ed adeguata con costanza, come strumento ineludibile di lavoro, ma anche come strumento vivo e flessibile.
Ma ritorniamo a quanto previsto dalla normativa.
Per dare una strutturazione tale da rendere il curricolo verticale di istituto più efficace, si fa ricorso alle unità di apprendimento (UdA). Queste rappresentano un segmento del curricolo configurato come una scatola nera in quanto affronta un argomento di largo respiro in modo completo, riferito all’età degli alunni, e da più punti di vista. L’unità di apprendimento deve essere focalizzata su 1-2 competenze, declinata in obiettivi trasversali e specifici e deve elencare chiaramente le attività che si intende mettere in atto. Nell’UdA devono essere anche indicati i metodi e le modalità di valutazione con i relativi criteri.
È vivamente raccomandato UdA che coinvolgano quanto più discipline possibili, evitando forzature che ne inficerebbero la credibilità.
Nel volume Il curricolo verticale e le UdA l’argomento di tale articolo viene trattato in modo più analitico, riservando ampio spazio all’iter normativo che ha portato alla pubblicazione delle Indicazioni nazionali ed a tutti i documenti previsti oggigiorno.
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