La scuola: diritto e dovere

La scuola: diritto e dovere

4 Maggio 2020 0 Di giuseppe perpiglia

A volte non ci rendiamo conto di cosa abbiamo e ci manca la consapevolezza del loro reale valore. La scuola è una di queste. Diamo per scontato che ci debba essere, senza curarci d’altro.

Cerchiamo, allora, di fare una piccola riflessione, senza pretese, sul valore della scuola, sia come diritto, ma anche come dovere, partendo dalla nostra bella Costituzione.

Ogni nazione mette tra i primi impegni dello Stato la formazione dei giovani dal punto di vista umano e culturale. Anche la nostra Costituzione sancisce il diritto all’istruzione. Basta leggere, infatti, l’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
”. E chi meglio della scuola può “rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana”? Altri articoli in cui l’istruzione e l’educazione sono protagonisti sono il 30, il 33 ed il 34. Il primo (art. 30) si occupa del diritto-dovere dei genitori di “mantenere, istruire ed educare i figli”. Per garantire ai figli l’effettivo godimento di tali diritti, in caso di incapacità dei genitori, è la legge che deve provvedere alla bisogna. Gli articoli 33 e 34 si occupano, invece, dell’istruzione istituzionalizzata nella scuola. L’art. 33 segna i confini entro cui muoversi: la libertà di insegnamento e le norme generali sull’istruzione, che sono fissati a livello nazionale. Il successivo art. 34 sancisce, invece, che la scuola deve essere un’opportunità per tutti. Non si tratta solo di garantire l’entrata libera, bensì di garantire una piena ed efficace formazione, come chiaramente specificato dall’art. 3 quando richiede di rimuovere gli ostacoli che potrebbero impedire il pieno sviluppo della persona umana.

Parlando di scuola e di Costituzione spesso si sorvola sull’art. 4, dimenticandoselo. Dopo aver sancito, all’art. 3, il diritto al lavoro ed all’eliminazione degli ostacoli frapposti allo sviluppo personale, la Costituzione all’art. 4 sancisce anche il dovere di “svolgere, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. La Costituzione richiede, inoltre, all’art. 2, i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Di tutti gli obblighi richiesti dalla Costituzione prima elencati e di tanti altri se ne dovrebbe far carico l’educazione civica, che dovrebbe essere insegnata a partire dall’anno scolastico 2020/2021.

Questo continuo ricorso alla Carta costituzionale è fermamente e scientemente da me voluto perché essa è il fondamento su cui poggia la nostra Repubblica. Se dovesse essere dimenticata dal popolo e disattesa dalla politica, e vi sono diversi segnali in tal senso, verrà meno il terreno su cui ancorare la nostra libertà (don Luigi Sturzo). Sembra che da molti sia accolta la tesi secondo cui la Costituzione sia un documento da porre in un cassetto e lasciarlo riposare in santa pace. Quasi un punto di arrivo storicizzato e cristallizzato nella metà del secolo scorso. La Costituzione, al contrario, è ben più di un documento vivo, è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere (Piero Calamandrei).

Perché richiamare la Costituzione in un simile contesto? Perché, come si evince dai pochi articoli citati, è proprio la Costituzione che affida alla scuola l’importante ed impegnativo compito di istruire i giovani e di educarli ad essere cittadini consapevoli di essere titolari di diritti, ma anche di doveri verso la famiglia e la comunità. E la scuola deve, ogni giorno, vivificare questo compito diventando sempre più strumento di uguaglianza, di inclusività, di cittadinanza attiva di cui tutti gli allievi debbono usufruire. Permettetemi di citare nuovamente Piero Calamandrei (Contro il privilegio dell’istruzione, 1946): «I meccanismi della costruzione democratica sono costruiti per essere adoprati non dal gregge dei sudditi inerti, ma dal popolo dei cittadini responsabili: e trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere».

È bene che ogni docente, qualunque sia l’ordine scolastico in cui è impegnato, prenda consapevolezza dell’importanza del ruolo che ha deciso di abbracciare. L’impegno di cui ha deciso di farsi carico deve essere sempre in cima ai suoi pensieri e deve guidare ogni sua attività, professionale ed umana.

Qualche mente “illuminata” continua a credere sulla subalternità della cultura rispetto al dio denaro. Già Aristotele, però, metteva in guardia contro questa deriva, miope quanto falsa, infatti affermava che «La cultura è un ornamento nella buona sorte, un rifugio nell’avversità».

Di sicuro coloro che hanno una buona sorte, magari perché vivono di rendita, potrebbero anche fare a meno della cultura, ma il popolo che non gode di tale privilegio, può e deve appoggiare il suo presente ed il suo futuro su un solido bagaglio culturale. Oggi più che mai, infatti, viene richiesta la flessibilità in tutti i campi. Ancora una citazione: «La cultura è il nostro passaporto per il futuro, il domani appartiene alle persone che si preparano oggi» (Malcom X). In questa nostra società post-moderna, però, il processo di crescita delle nuove generazioni è a rischio perché la frammentazione del vissuto, anche degli adulti, non lascia intravedere un orizzonte di approdo.

Un insegnamento vero ed efficace è sempre e solo un insegnamento che predilige e promuove la verità, ma il dogma del nostro tempo è il relativismo e parlare di verità viene considerato autoritarismo.

La missione dell’insegnamento non consiste più, come un tempo ormai ontano, nel trasmettere delle conoscenze, ma una cultura che permetta di comprendere la condizione attuale e, quindi, di aiutarci ad essere inseriti efficacemente nel contesto sociale. Una cultura che sia capace di farci pensare in modo aperto e libero. Il sapere di per sé stesso non ci rende migliori, ma può, senza dubbio, aiutarci a diventarlo.

Resta inteso che il primo educatore è e deve essere la famiglia e la scuola deve porsi come un aiuto, come un’agenzia formativa in grado di integrarne i compiti, che struttura tali compiti in un sistema, li riordina e li completa grazie all’apporto di professionisti dell’educazione quali sono i docenti.

La scuola, però, oltre a quello di educare e di formare, compiti già molto impegnativi, ha anche il compito di aiutare i giovani ad inserirsi nel tessuto produttivo del Paese. Per orientarsi nell’attuale scenario socio-politico c’è, infatti, bisogno dei saperi fondamentali e la loro mancanza pregiudica fortemente il futuro dei giovani. In questo ambito può essere di aiuto l’uso dei laboratori e le forme di alternanza scuola-lavoro. Tali due opportunità devono essere proposte in modo tale da favorire la convinzione della pari dignità tra mestieri e professioni. Non è facile assolvere a tale compito, ma bisogna pur provarci. Diventa necessario rendere i ragazzi capaci, con l’aiuto del docente, di utilizzare le conoscenze per pervenire all’acquisizione delle competenze. Inoltre, bisogna che anche la politica faccia la sua parte investendo sulla ricerca, sull’innovazione e, più in generale, sul capitale umano.

La mancata acquisizione delle competenze diminuisce la capacità di intercettare le richieste e le opportunità offerte dal mondo del lavoro. È necessaria, però, anche un’opportuna apertura di pensiero ed un continuo aggiornamento. È dimostrato, infatti, che i professionisti usano meno della metà di quanto hanno studiato tra i banchi di scuola. Bisogna essere in grado di portare a sintesi le competenze consolidate e quelle innovative.

I docenti, a livello sociale, non sono certo apprezzati per come e quanto si dovrebbe. Non dimentichiamo, però, che sono proprio i docenti che devono innescare il processo della loro rivalutazione. L’apprezzamento sociale dei docenti si fonda sulla loro capacità di formare giovani preparati, ma ancor di più entusiasti, capaci di combattere la noia e che credano in ideali forti.

Ogni organizzazione, specie se complessa, e la scuola lo è, ha bisogno di regole, di norme, di procedure, ma anche di ascolto e di relazioni.

A volte ce ne dimentichiamo, ma la formazione altro non è che cura e attenzioni prestate e da prestare al capitale umano e professionale di un domani sempre più prossimo. A volte basta un gesto d’accoglienza, un incoraggiamento, una carezza, un sorriso per innescare processi di grande portata.

Nella relazione di insegnamento è molto importante l’empatia. Insegnare vuol dire, ad esempio, avere più cura della fragilità, della mancanza, dell’incompiutezza perché proprio grazie ad esse si generano apprendimenti e nascono capacità. Inoltre, prendersi cura delle fragilità, piccole e grandi, di un alunno lo fa sentire “importante”, gli fa capire che non è solo, aumentando così la sua autostima e pungolandolo a fare sempre meglio. E questo deve essere vero per qualsiasi alunno perché la scuola deve essere strumento di democrazia altrimenti non è.

A scuola l’allievo deve imparare ciò che il maestro propone e porta a scoprire. Deve, però, imparare anche il maestro. Deve imparare, infatti, a leggere gli occhi e l’animo degli alunni che gli sono stati affidati. Di ogni singolo alunno nella sua specificità.

Un bravo docente dovrebbe essere in grado di far brillare gli occhi dei ragazzi trasmettendo, non certo aride nozioni, ma la curiosità e la ricerca di senso e di valore. Il docente deve essere un professionista in grado di aiutare la crescita educativa, culturale e sociale dei ragazzi incoraggiando le capacità, che sono loro proprie, di emozionarsi, appassionarsi e lasciarsi coinvolgere. Per motivare i ragazzi, però, è necessari proporre un’educazione autentica, che sia in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone. per questo ogni docente deve essere in grado di guardare all’alunno come persona, unico e portatore di bisogni e di esigenze, ma anche di aspettative.

Ogni educatore che sia veramente tale sa che per educare deve dare qualche cosa di sé stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi ed a diventare a loro volta capaci di autentico amore.

Una scuola efficace è veramente tale quando riesce ad insegnare il senso critico e quando, più che dare risposte, insegna a porsi le giuste domande. Nella relazione educativa quello che veramente ‘passa’ non è quello che il docente sa, ma quello che il docente è, cioè i suoi ideali ed i suoi ideali, la sua visione della vita. Come diceva Einstein «Imparare è un’esperienza, tutto il resto è informazione». E questo devono fare la scuola e di docenti: far vivere ai ragazzi ogni giorno un’esperienza di vita che li coinvolga. Scuola e docenti devono attivarsi affinché il ragazzo possa, quanto prima, fare a meno di loro perché è diventato autonomo.

E proprio questa dovrebbe essere la più grande finalità della scuola.

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