
La valutazione nel D.Lgs 62/17
Uno dei momenti più delicati dell’attività didattica è senza dubbio quello della valutazione nei suoi tre momenti: ex-ante o diagnostica, in itinere o formativa ed ex-post o sommativa. La valutazione è stata fatta oggetto di diversi atti normativi, tra cui il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62.
Nella prima frase il decreto afferma chiaramente quali siano l’oggetto e le finalità della valutazione come espressamente esplicitato nell’art. 1, c. 1 che si ritiene opportuno riportare integralmente.
«1. La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze».
La valutazione scolastica si occupa, quindi, del processo di apprendimento, del comportamento scolastico e del rendimento degli alunni. È un’operazione che riguarda sia le singole prove sia la conclusione dell’intero percorso formativo, e che si traduce in un voto o in un giudizio riportato su un apposito documento (scheda, pagella, attestato, ecc.).
Il Decreto in questione conferma il principio che la valutazione formativa serva per documentare lo sviluppo dell’identità personale di ogni studente e per promuovere l’autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze: ogni istituzione scolastica deve saper certificare l’acquisizione delle competenze progressivamente acquisite da ciascun alunno, anche al fine di favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi.
Non fa certo onore alla categoria la costatazione che nel corpo docente permane ancora qualche sparuta sacca che pensa alla valutazione come una mera verifica, ed a volte utilizzandola quasi con finalità ritorsive: «Vi state comportando male. Allora domani si interroga».
La valutazione e l’autovalutazione, come precedentemente affermato, hanno per oggetto le acquisizioni delle conoscenze, delle abilità e delle competenze. Il processo valutativo non può, quindi, essere avulso dal contesto scolastico, non deve ricadere nella cultura del mero adempimento di norme e di regole in modo passivo impersonale. Al contrario, esso deve essere vissuto come dovere etico per il miglioramento professionale e parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento. La valutazione, quindi, deve essere coerente con l’offerta formativa, ma anche con la personalizzazione dei percorsi e con le Indicazioni Nazionali, nonché con le linee guida di cui ai DD.PP.RR. 15 marzo 2010, n. 87, n. 88 e n. 89 che riguardano, rispettivamente, il riordino degli istituti professionali, degli istituti tecnici e dei licei.
Per quanto la valutazione ricada nell’autonomia professionale del docente, deve essere basata sui criteri e sulle modalità stabiliti dal Collegio dei docenti ed inseriti nel PTOF.
Nel D.Lgs. che stiamo esaminando il comma 3 dell’art. 1 specifica che «la valutazione del comportamento si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza». Come punto di riferimento devono essere considerati lo Statuto delle studentesse e degli Studenti, il Patto di corresponsabilità ed i Regolamenti delle singole istituzioni scolastiche.
Il comma 5, invece, si occupa di un altro punto importante: quello dei rapporti scuola-famiglia che, come sappiamo, non sempre sono idilliaci e diventano molto più tesi proprio in corrispondenza del momento valutativo. La famiglia va edotta sulle modalità e sui criteri che portano all’assegnazione di quel numerino che essa vede sulla pagella. Proprio a tal fine le istituzioni scolastiche sono tenute ad adottare modalità di comunicazione efficaci e trasparenti. Deve essere chiaro il messaggio che la valutazione è un atto quanto più possibile oggettivo, in quanto si basa su criteri e su documenti stilati a monte e quindi l’atto valutativo ed i suoi esiti non sono dovuti allo spirito ed all’estro momentaneo del docente.
Non basta, però, valutare gli studenti e comunicarne efficacemente l’esito alle famiglie. Bisogna comunicarlo anche alla società. Le istituzioni scolastiche, infatti, sono tenute a certificare le competenze acquisite dagli studenti anche al fine di favorire l’orientamento per la prosecuzione degli studi.
Come già in essere, la valutazione del livello raggiunto in ogni singola disciplina va indicata in decimi. Inoltre, all’istituzione scolastica viene chiesto di attivare strategie per rendere migliore l’apprendimento, specialmente quanto esso è parzialmente raggiunto o in fase di acquisizione.
Viene ribadito lo stretto legame che ci deve essere tra valutazione e formazione. La valutazione deve essere un atto collegiale, proprio al fine di evitare pericolosi personalismi e soggettività, quasi sempre negative. Nella valutazione, relativamente agli alunni che se ne avvalgano, devono essere coinvolti anche i docenti di religione cattolica e delle attività alternative.
Una sfilza di numeri da 0 a 10 non può certo dare indicazioni dettagliate sul percorso educativo e formativo seguito dallo studente, per cui la valutazione va integrata dalla descrizione del percorso seguito e dal livello di apprendimento globale.
Passiamo ora a mettere in evidenza le novità introdotte dal D.Lgv in esame.
Sia nella scuola primaria che nella scuola secondaria di primo grado, gli alunni sono ammessi alla classe successiva anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione. In ogni caso le scuole hanno l’obbligo di attivare percorsi di recupero e consolidamento per il miglioramento dei livelli di apprendimento.
L’esame ora comprende solo le tre prove scritte ed il colloquio pluridisciplinare, valutati sempre con votazioni in decimi. La prova nazionale INVALSI è stata tolta dall’esame e collocata ad aprile. La votazione finale non è più la media aritmetica degli esiti delle prove e del giudizio d’ammissione, ma la media tra il voto di ammissione e la media di tutte le prove sostenute in sede di esame. Tale modifica dà più valore al giudizio d’ammissione rispetto alle prove d’esame e, nello stesso tempo, tende ad attenuare l’effetto, in positivo o più spesso in negativo, delle prove d’esame. Le norme generali sulla valutazione riguardano anche gli alunni con disabilità e con DSA, come specificato, rispettivamente, negli artt. 11 e 20 in questione.
Per lo svolgimento dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo degli alunni certificati dalla legge 104/92 la sottocommissione, sulla base del PEI, deve predisporre prove differenziate idonee a valutare il progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali. Le prove differenziate hanno valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma finale.
Nei casi particolarmente gravi di DSA risultanti dal certificato diagnostico (legge 170/2010), l’alunno, su richiesta della famiglia, della sanità e conseguente approvazione del Consiglio di classe, è esonerato dall’insegnamento delle lingue straniere e segue un percorso didattico personalizzato. In questo caso la Commissione di esame predisporrà prove differenziate con valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma. Quest’ultima disposizione è una novità introdotta dalla norma. Gli alunni con DSA partecipano alle prove standardizzate nazionali INVALSI, avendo a disposizione adeguati strumenti compensativi coerenti con il piano didattico personalizzato. Gli alunni con DSA dispensati dalla prova scritta di lingua straniera o esonerati dall’insegnamento della lingua straniera non sostengono la prova nazionale di lingua inglese.
Altra novità importante del decreto riguarda il superamento dell’esame di Stato al termine del primo ciclo. Secondo quanto riportato nel decreto, infatti, le prove differenziate sulla base del PEI o del PDP hanno valore equivalente alle prove ordinarie. È una novità che stabilisce il diritto all’ottenimento di un diploma di scuola secondaria di primo grado da parte di tutti gli alunni, anche in presenza di percorsi molto differenziati. E per il primo ciclo tali cambiamenti sono confermati dal DM 3 ottobre 2017, n. 741 (Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione), in cui l’art. 14 è proprio dedicato ai Candidati con disabilità e disturbi specifici di apprendimento.
Nulla è cambiato, invece per il secondo ciclo, dove le prove differenziate non consentono l’ottenimento del diploma, ma solo del certificato di credito. Ugualmente non consente l’ottenimento del diploma di secondo ciclo la dispensa totale, tanto dalle prove scritte quanto da quelle orali di lingua straniera. Tali novità sono entrate in vigore dall’anno scolastico 2018/19.
Rimanendo nella scuola secondaria di secondo grado, il relativo esame di stato comprenderà due prove a carattere nazionale e un colloquio. La definizione dei quadri di riferimento per la redazione e lo svolgimento delle due prove scritte e le griglie di valutazione per l’attribuzione dei punteggi è demandata ad altro decreto.
A differenza della scuola secondaria di primo grado, il candidato con DSA esonerato completamente dallo studio delle lingue straniere non otterrà il diploma, ma solo un attestato.
In relazione al PECUP specifico di ogni indirizzo di studi, l’esame di stato terrà conto anche della partecipazione alle attività di alternanza scuola-lavoro, dello sviluppo delle competenze digitali, del percorso dello studente (legge 107/2015 “La buona scuola”) e delle attività svolte nell’ambito della cittadinanza attiva, rimodulato in base all’introduzione dell’educazione civica.
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