L’attualità di don Milani

L’attualità di don Milani

10 Aprile 2020 0 Di giuseppe perpiglia

Un docente non può non conoscere il nome di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana. Allo stesso modo conoscerà sicuramente il suo lavoro più importante Lettera ad una professoressa. In realtà, ha solo curato e sistematizzato quanto prodotto dai suoi alunni. L’incipit del libro è un pugno nello stomaco: «Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che ‘respingete’. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate. Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva».

Il libro fu pubblicato nel maggio del 1967, giusto un mese prima della morte di don Lorenzo Milani, avvenuta a Firenze, nella casa materna, il 26 giugno 1967, a soli 44 anni.

La sua attività volta all’inclusione degli che restavano indietro è stata ripetuta nel 1992 da don Ezio Palombo, profondamente legato a don Milani. Infatti, in quell’anno don Palombo, insieme ad un gruppo di genitori, fondò l’associazione “don Lorenzo Milani” come reazione alla bocciatura di ben 18 alunni della classe prima dell’allora scuola media. In questa associazione, come nella scuola di Barbiana, i più grandi aiutano i più piccoli e così si fa ancora oggi a Vaiano, in provincia di Prato. Mi viene in mente quanto sta succedendo a Napoli, dove vengono posti dei recipienti con la scritta «Chi ha metta, chi non ha prenda».

Ma ritorniamo a don Lorenzo Milani. Per le sue idee fu mandato in punizione a Barbiana, una piccola frazione di Vaiano. Da questo posto sperduto nel cuore del Mugello, la luce delle sue idee si è irradiata su tutta la scuola italiana, come un vero e proprio atto d’accusa sui tanti difetti che la caratterizzavano e la caratterizzano, in parte, ancora oggi.

La scuola doveva formare, siamo negli anni 60 del secolo scorso, la classe dirigente e chi non ne seguiva i ritmi, non adeguandovisi, veniva respinto. Il termine è indicativo del comportamento della scuola. A questo si opponeva decisamente don Lorenzo, tanto è vero che ebbe a dire «Ma se si perde loro (gli alunni), la scuola non è più la scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Era una situazione che, associata a tante altre, creava non poca tensione, in special modo in una società in veloce cambiamento. Infatti, l’anno successivo, il 1968, esplose in tutta la sua vigoria la rivoluzione studentesca che coinvolse un’intera generazione. Quel ’68 che ha caratterizzato con i suoi strascichi i due decenni successivi. E che ha cambiato il modo di vedere alla scuola ed alla sua funzione.

La scuola, infatti, era ancora intesa come l’indispensabile ascensore sociale che avrebbe portato coloro che ne seguivano i canoni ai piani alti della società. Solo un lustro prima, nel 1962, era stata introdotta la scuola media unificata attuata nell’anno scolastico successivo, il primo di ottobre 1963. Si metteva fine a quel grande azzardo che voleva che i ragazzi scegliessero il loro futuro, liceo o scuole professionali, a soli dieci anni. Permaneva, però, ed in parte permane ancora oggi, nella scuola un atteggiamento classista, più o meno velato. Ancora oggi vige una sorta di razzismo, seppure molto ben dissimulato, che tende a lasciare indietro quegli alunni che non accettano le regole imposte dalla scuola che continua, come già disse don Milani, a fare parti uguali tra diversi. Infatti, ancora oggi non pochi sono i docenti che pretendono traguardi uguali in tempi uguali da tutti i ragazzi, senza tenere conto della situazione iniziale e delle possibilità personali e familiari. Dimenticano che oggi si parla di diritto all’apprendimento e non solo di diritto allo studio. Vige ancora, seppure sotto mentite spoglie, la dittatura del programma.

Bisogna ricordare, per onestà, che la norma ha fatto passi da gigante, basti pensare alla legge 4 agosto 1977, n. 517 dedicata espressamente a cambiare un modo di fare scuola che era ormai superato (Norme sulla valutazione degli alunni e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme di modifica dell’ordinamento scolastico). Bisognò aspettare ben quindici anni perché venissero riconosciuti anche i diritti delle persone-studenti diversamente abili. Infatti, è del 5 febbraio 1992 la legge n. 104. (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili). L’attenzione riservata alle caratteristiche personali è senza dubbio aumentata, come dimostra la didattica speciale riservata ai portatori di DSA e di qualunque altro disagio, raggruppati complessivamente sotto l’acronimo BES. Tutti coloro che non hanno uno stigma normato, però, sono accomunati in un calderone omologante che li tratta come una massa omogenea, che però omogenea non è.

L’attenzione riservata ai ragazzi con una qualche difficoltà certificata (PEI, PDP) fa dimenticare l’unicità di ogni persona che abbiamo davanti. Ad esempio, pensiamo alle differenze acuite dal corona virus. Le famiglie che hanno un computer, più smartphone e magari anche qualche tablet o iPad, possono sfruttare appieno le possibilità offerte dalla didattica a distanza. In una famiglia dove manca magari anche un desktop, o è presente un solo PC per due o tre figli, le cose andranno in modo ben diverso.

Ancora oggi è ben vivo il dualismo fra chi rimpiange la scuola selettiva, più severa, quale garanzia di serietà: chi non si impegna adeguatamente non va avanti. Altri, invece, sono per una scuola più accogliente, donmilaniana come è stata definita da qualcuno. Una scuola più accogliente, più attenta alle peculiarità individuali. Una scuola che si fa carico della storia di ogni ragazzo. Una scuola che vede tutti come BES, bisognosi di un’educazione speciale, perché speciale reputa ogni persona, anche se sta vivendo il ruolo di alunno.

Oggi la posizione dominante sia nella normativa sia nella pratica quotidiana è proprio quella basata sull’inclusione introdotta dal don Lorenzo Milani. Permane, però, una minoranza insoddisfatta, ancora legata alla vecchia concezione di una scuola austera ed autoritaria, seria, per cui critica fermamente la deriva attuale bollandola come lassista ed eccessivamente permissiva. In realtà, si tratta di una contraddizione apparente. Infatti la causa è da ricercare nel fatto che la classe docente è disorientata perché la scuola reale è costretta a muoversi tra molte contraddizioni non risolte, tra principi e norme inclusive che vengono impastoiate da una burocrazia rigida e soffocante e da pratiche didattiche altrettanto rigide e fortemente ancorate al momento valutativo, inteso come resa dei conti e non come fattore di crescita per alunni e docenti. Si pensi alla numerosa serie di rovesciamenti di vision che la scuola ha vissuto a far data dal 2000, cioè dall’onorevole Luigi Berlinguer in poi.

Nel senso di grande indeterminatezza creato dalla mancanza di una vision unica e condivisa, raggiungere gli obiettivi programmati e richiesti dalla Costituzione (il pieno sviluppo della persona umana) e dall’Europa (le 8 competenze chiave per l’apprendimento permanente) si è scelta la strada più breve, ma anche meno razionale: abbassare l’asticella. In tal modo si mandano i ragazzi alla classe successiva con carenze e lacune, a volte anche gravi. Il problema non è bocciare o respingere, il problema vero, nella scia dell’insegnamento di don Lorenzo Milani, è fare in modo che tutti gli alunni acquisiscano, ognuno a modo proprio, il diritto di accedere, per meriti individuali, alla classe successiva.

Il segreto, semplice ed impegnativo ad un tempo, è quello di motivare ogni ragazzo, dargli una speranza di un futuro migliore, di autorealizzazione.

 

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