La motivazione

La motivazione

29 Marzo 2020 0 Di giuseppe perpiglia

Quante volte abbiamo detto o scritto: «L’alunno studia e si impegna, è motivato»? Ma forse ancora più frequentemente abbiamo affermato il contrario: «L’alunno è demotivato, non ha voglia, non si impegna». Essere motivato o meno, cioè avere o no un motivo per cui studiare ed impegnarsi è il motore necessario e sufficiente per avanzare nel faticoso e lungo percorso di insegnamento – apprendimento. Vale, quindi, la pena di fare una riflessione sul concetto di motivazione.

Molto semplicemente per motivazione bisogna intendere quello stato interiore che attiva, dirige e mantiene il comportamento. La sua origine può essere intrinseca, cioè interna al soggetto, o può trovare scaturigine all’esterno dell’individuo, ed in questo caso essa è definita estrinseca.

La motivazione intrinseca è la naturale tendenza umana a cercare, trovare e superare le sfide quando si perseguono interessi personali e si esercitano le proprie capacità. Essa non ha bisogno di incentivi o punizioni, perché l’attività è considerata soddisfacente e gratificante in sé. La motivazione intrinseca è molto spesso associata a risultati scolastici positivi.

La Motivazione estrinseca è dovuta a fattori esterni, come ricompense e punizioni. Molto semplicemente, ci si applica per il “voto”, per conseguire il diploma, per evitare un brutto voto, …  In genere, la motivazione estrinseca è associata a emozioni negative, scarsi risultati scolastici e strategie di apprendimento non adattative.

Infine, la demotivazione è la completa mancanza di una qualunque intenzione di agire: è del tutto assente qualsiasi sorta di impegno.

La motivazione ha una caratteristica che potremmo definire analogica, in quanto riconosce un gradiente continuo il cui sviluppo nei diversi contesti sociali è stato studiato, tra gli altri, da Deci e Ryan (1985). Nei loro studi, essi hanno individuato cinque tipologie di regolazione della motivazione che si dislocano lungo un continuum che va da un livello di bassa motivazione ad uno di forte auto-motivazione:

  1. A motivazione: Non riesco a capire perché studiare. In fondo non me ne importa nulla.
  2. Motivazione esterna: Studio perché ho bisogno del diploma o della laurea per trovare un lavoro ben pagato.
  3. Motivazione introiettata: Studio perché andare bene a scuola mi fa sentire importante.
  4. Motivazione identificata: Studio perché penso che la scuola superiore mi aiuterà a prepararmi meglio per ciò che mi piace fare.
  5. Motivazione intrinseca: Studio perché provo piacere nell’imparare cose nuove.

I diversi studiosi che negli ultimi trent’anni si sono occupati della motivazione ad apprendere hanno focalizzato i loro sforzi sui seguenti aspetti:

  • Il ruolo attivo dell’individuo. La motivazione non va ricondotta alla sola soddisfazione passiva dei bisogni primari ma sorge quando l’individuo si pone degli obiettivi.
  • La modalità con cui l’individuo si percepisce in relazione ad un compito che dovrà svolgere e al risultato positivo o negativo del compito stesso (rapporto prestazione/senso di competenza)
  • La terza dimensione riguarda gli strumenti che l’individuo mette in atto per raggiungere i suoi obiettivi (con riferimento anche alle strategie).

Lo studio della motivazione è stato condotto partendo da almeno due paradigmi diversi che si sono succeduti nel tempo.

L’approccio comportamentista era basato principalmente sui concetti di bisogno e rinforzo. La motivazione era vista come la necessità di rispondere ad un bisogno fisiologico da soddisfare ed il cui soddisfacimento serviva da rinforzo. Tale paradigma è stato però abbandonato nel momento in cui si è fatto largo il cognitivismo. La concettualizzazione comportamentista ha comunque lasciato numerose tracce sia nel linguaggio della motivazione, sia nelle credenze più o meno implicite di molti insegnanti sulla motivazione degli studenti. Nell’approccio comportamentista, motivazione e apprendimento sono strettamente legati. La motivazione (ad esempio, il bisogno di cibo) spinge l’organismo alla ricerca della sua soddisfazione e al raggiungimento di un equilibrio omeostatico. Questa soddisfazione costituisce il rinforzo che “consolida” la risposta dell’organismo, cioè il comportamento che ha preceduto l’evento rinforzante. Il rinforzo “fissa” la risposta dell’organismo che ha portato alla soddisfazione del bisogno. In questo modo la risposta viene appresa e fatta propria, cioè interiorizzata. L’applicazione della concezione comportamentista della motivazione alla psicologia dell’educazione ha riguardato principalmente il concetto di rinforzo. È attraverso l’uso del rinforzo che si possono modellare nell’allievo comportamenti motivati.

Nella prospettiva di Skinner (1943) l’insegnare implica un uso calibrato di rinforzi. L’allievo motivato è quello a cui un sapiente dosaggio del rinforzo consente di mantenersi sempre pronto ad imparare. Il ruolo dell’insegnante è, quindi, quello di predisporre un ambiente rinforzante. In altre parole, l’insegnante deve essere pronto a gratificare qualsiasi successo, anche minimo, fatto registrare dallo studente.

Questo modello è stato messo in crisi dall’avvento del cognitivismo che ha ipotizzato l’esistenza di bisogni primari non legati all’equilibrio omeostatico.

Negli anni ’80 del secolo scorso, alcuni studiosi americani (Dweck, Ames, Nicholls, Maehr, …) hanno ipotizzato che la motivazione sia da intendersi come un orientamento dell’individuo verso la realizzazione del sé. Questo orientamento si riflette in un complesso coerente di comportamenti e atteggiamenti nelle situazioni in cui un individuo vuole riuscire. Hanno parlato di obiettivi di riuscita. Un obiettivo di riuscita comporta:

  • una credenza dell’individuo circa la propria abilità,
  • la tendenza ad attribuire il successo o l’insuccesso a determinate cause piuttosto che ad altre,
  • un certo grado di perseveranza ed espressione di affettività positiva o negativa in risposta ad un successo o ad un insuccesso.

Gli studenti, posti in condizione di insuccesso in compiti di vario genere, possono reagire secondo due grandi tipologie di comportamento:

  • alcuni tendono a non scoraggiarsi, mostrando persistenza, cercando strategie più efficaci, ed attribuiscono l’insuccesso a scarso impegno e/o a strategie inefficaci (pattern di risposte adattive di “padronanza”);
  • altri tendono a scoraggiarsi, mostrando minor persistenza e manifestando frustrazione e aggressività, le loro strategie diventavano rigide e ripetitive (pattern chiamato di “sconforto”).

Il termine obiettivi di riuscita indica lo scopo (il perché, la ragione) per cui uno studente affronta una situazione di apprendimento e sono stati individuati due tipi di obiettivi:

  • Obiettivi di padronanza,
  • Obiettivi di prestazione.

Gli studenti orientati alla padronanza (o centrati sul compito) perseguono obiettivi relativi al compito:

  • sono soprattutto motivati a capire ciò che fanno e a farlo bene;
  • hanno generalmente fiducia in sé stessi (alto senso di efficacia);
  • persistono nel compito se incontrano difficoltà;
  • esprimono minor affettività negativa quando non riescono;
  • mostrano strategie cognitive più flessibili;
  • si sanno autoregolare meglio;
  • trovano l’attività intrinsecamente motivante.

Gli studenti orientati alla prestazione (o centrati sul dimostrare la propria abilità) perseguono risultati che derivano dalle aspettative sociali associate al compito. La valutazione e l’idea che si fanno gli altri è importante per questi studenti. A questo orientamento segue un pattern che Dweck ha definito “mal adattivo”.  Lo studente mostra maggiore vulnerabilità verso lo sconforto, soprattutto nei casi di una bassa percezione della propria abilità. Dweck ha postulato inoltre l’esistenza del costrutto della “teoria dell’abilità” (o dell’intelligenza) come predittore dell’adozione degli obiettivi di riuscita.

Per chi ha un obiettivo di padronanza riuscire significa migliorare le proprie conoscenze e abilità in un settore o sviluppare la propria competenza:

  • ciò che conta è l’impegno, persistere nelle difficoltà;
  • i criteri di valutazione sono in relazione all’individuo e non sono correlati a fare meglio o peggio degli altri,
  • gli errori sono visti come tappe fondamentali dell’apprendimento;
  • le abilità sono viste come qualcosa da sviluppare e apprendere.

Per chi, invece, ha un obiettivo di prestazione, riuscire significa ottenere bei voti, superiorità sui pari, riconoscimento da parte degli adulti:

  • i criteri di valutazione sono correlati a fare meglio o peggio degli altri;
  • gli errori rappresentano l’insuccesso e la dimostrazione di scarsa capacità;
  • le abilità sono viste come “entità fisse”;
  • l’individuo non pensa di poter superare i propri limiti che riaffiorano invece ad ogni insuccesso.

Per quanto riguarda l’alunno, l’adozione di un obiettivo di riuscita sembra essere particolarmente influenzato dal modo in cui un lavoro viene strutturato in classe. Ciò introduce l’importante distinzione tra gli obiettivi di riuscita e la percezione che lo studente ha degli obiettivi dominanti nella sua classe.

Obiettivi di padronanza Obiettivi di prestazione
Approccio l’individuo è motivato ad agire con lo scopo di sviluppare una maggiore padronanza l’individuo agisce per evitare situazioni che lo facciano sentire poco competente nei confronti di sé stesso
Evitamento l’individuo è motivato ad agire con lo scopo di riuscire bene o meglio degli altri l’individuo agisce per evitare situazioni in cui crede di non riuscire bene.
Schema tratto da Elliot e McGregor (2001)

 

Conclusione

La motivazione ad apprendere può essere definita come il grado di impegno cognitivo investito per il raggiungimento di obiettivi scolastici (Johnson and Johnson, 1989). Essa riveste un ruolo importante sugli aspetti metacognitivi che rendono l’apprendimento più o meno efficace. È un processo multifattoriale che include aspetti legati alle esperienze pregresse, con aspettative sulle proprie prestazioni e sui compiti assegnati, teorie e credenze sull’intelligenza, valori e interessi personali, attribuzioni causali di successo o insuccesso.

La motivazione racchiude diverse componenti non sempre controllabili, alcune di natura più strettamente individuale e soggettiva, altre più influenzate da processi esterni, sociali, culturali. Lo studio della motivazione è stato affrontato dapprima con l’approccio comportamentista che considerava l’apprendimento una forma di risposta a stimoli ambientali. In senso generale, quindi, l’apprendimento è stato considerato una qualche forma di modificazione, più o meno permanente, del comportamento in seguito all’influenza di uno stimolo ambientale. Un ruolo centrale e quasi esclusivo era perciò rivestito dall’ambiente che poteva plasmare l’individuo, considerato una tabula rasa, in base agli stimoli offerti.

Il processo di apprendimento/insegnamento, secondo le più recenti ricerche non coinvolge più solo aspetti cognitivi o sociali, ma anche la sfera emotiva. Lo si potrebbe definire una cognizione calda che ha come nodo teorico centrale proprio la motivazione. Se alla base dell’apprendimento efficace si ha il ruolo attivo dell’individuo e la sua scelta di metodi e stili cognitivi appropriati, le proposte per attivare strategie di miglioramento della motivazione non possono essere prescrittive e predeterminate, ma devono essere curvate sul singolo individuo che apprende. È solo negli ultimi due decenni che lo studio psicologico della motivazione ha avuto un grande sviluppo e la dimensione motivazionale degli allievi ha acquistato centralità nel processo di apprendimento-insegnamento.

La ricerca internazionale ha prodotto un cospicuo numero di dati empirici che possono essere suddivisi in tre grandi temi:

  1. gli obiettivi di apprendimento che l’alunno si pone, a loro volta distinti in obiettivi di avvicinamento e di prestazione e obiettivi di evitamento;
  2. la tendenza dell’individuo a svolgere attività che lo soddisfano, questo riguarda la motivazione intrinseca e l’interesse;
  3. i modi in cui, una volta posti gli obiettivi, gli alunni gestiscono il loro comportamento per raggiungerli; questo afferisce all’auto-regolazione.

La motivazione ad apprendere presenta due dimensioni dalle quali non si può derogare:

  1. il ruolo attivo dell’individuo, infatti è il soggetto a porsi degli obiettivi che vuole raggiungere;
  2. la modalità con cui l’individuo si percepisce.

Le caratteristiche dell’individuo motivato sono:

  1. avere un obiettivo;
  2. compiere uno sforzo di volontà;
  3. persistere nel fine di raggiungerlo.

 

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