
A proposito di informazione
È da tempo che sentiamo dire e ripetere da tutte le parti che quella che stiamo vivendo è la società dell’informazione. Sempre, però, abbiamo considerato l’informazione stessa soltanto come un insieme, grande quanto lo si voglia, di notizie e di comunicazioni, vere o false, interessanti o pressoché inutili. Da qualche tempo diversi studiosi si stanno occupando di filosofia dell’informazione. Uno dei maggiori esperti in materia è il professore Luciano Floridi. In un momento dove è forte l’urgenza di rivedere le dinamiche dell’informazione, il suo pensiero ha avuto notevoli ricadute anche a livello pratico.
Il professore Floridi ha portato in auge il termine “infosfera” la cui definizione ci viene data direttamente da lui. «Il neologismo nasce sulla falsariga di “biosfera”, lo spazio in cui è possibile la vita sul nostro pianeta. In senso stretto, l’infosfera è la globalità dello spazio delle informazioni, perciò include sia il cyberspazio (Internet, telefonia, comunicazione digitale, ecc.) sia i mass media classici (biblioteche, archivi, emeroteche, ecc.)». Il termine infosfera tende ad assumere un significato sempre più ampio man mano che rivediamo la nostra concezione di informazione. A titolo di esempio si pensi al DNA ed alle biotecnologie. Oggi, si può interpretare anche la biosfera e il mondo della fisica come regioni dell’infosfera. Ne siamo parte anche noi, in quanto “organismi informazionali” (inforgs).
La filosofia dell’informazione è un modo nuovo di considerare il mondo dell’informazione ed ha un duplice scopo:
- affrontare le questioni aperte e cruciali della società dell’informazione, svolgendo, però, il suo ruolo su un piano di realtà vissuta;
- rivisitare le questioni classiche del pensiero occidentale attraverso metodologie nuove e idee contemporanee. Un buon esempio è il tema della natura ultima della realtà, oggi analizzabile in termini informazionali.
A prima vista, l’informazione potrebbe sembrare un concetto che sfugga alla morale essendo solo la trasmissione, apparentemente neutra, di dati veri e carichi di significato. Ma così non è in quanto essa ci permette di tentare di tenere il passo dello sviluppo tecnologico e tentare di adeguarci ad esso.
Uno dei rischi che l’infosfera si trova ad affrontare è quello dell’entropia informazionale, cioè la distruzione, corruzione o riduzione dell’infosfera stessa. Il problema non è tanto la perdita di pezzi di informazione, bensì la scelta di tali pezzi, che deve essere finalizzata ad un’ecologia informazionale.
In un simile orizzonte la scuola può giocare un ruolo primario aiutando i ragazzi a sviluppare il necessario spirito critico nei confronti dell’immensa mole di informazioni con cui entrano in contatto.
La rivoluzione informatica è in grado di produrre artefatti che vanno ad incidere sulla loro stessa produzione, gestione e lettura. Così, riprendendo le parole del professore Floridi, possiamo affermare che «forme di collaborazione e comunicazione un tempo inconcepibili, ci permettono di far fronte, in modo efficace, alla nostra esistenza sempre più “online”. In parte, si tratta di aggiornare la nostra cultura e il nostro sistema educativo, e questo richiederà tempo e risorse. Infine, sarà un percorso generazionale. Noi apparteniamo alla generazione degli e-migrati, le generazioni future saranno nate nell’infosfera e vi si troveranno molto più a loro agio».
Fino alla rivoluzione informatica, il problema era rappresentato dalla scarsa disponibilità e accessibilità all’informazione, oggi il problema effettivo è quello della sua gestione e della sua comprensione critica.
Il sapere e la comprensione critica sono necessariamente frutto dello studio che, però, richiede tempo, impegno, fatica, e soprattutto intelligenza, tutte risorse scarse e non equamente distribuite tra gli esseri umani.
Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
Sicuramente il potenziamento della componente partecipativa contro la classica informazione unidirezionale. A questo si andranno ad aggiungere altri tre fattori:
- l’autorevolezza della fonte,
- la qualità e la profondità di analisi dell’informazione,
- lo stile editoriale.
In un domani molto vicino, i lettori non saranno più disposti a pagare per delle semplici notizie e si affermerà la tendenza verso l’ottimizzazione resa possibile dalla “informazione su misura”.
Parlando di informazione non si può certamente non citare il web, il mondo della rete che farebbe ipotizzare una democrazia dell’informazione. Il rovescio della medaglia è la disinformazione, si pensi alle fake news. L’unica risposta non può essere se non quella di fidarsi solo di fonti autorevoli e quella di far ricorso al proprio spirito critico, che diventa fattore dirimente. In effetti, l’umanità non è mai stata tanto ricca di informazioni. Sta agli individui farne un uso intelligente e oculato. È questo il vero problema.
Il concetto di infosfera va ad abbracciare e ad includere anche i concetti di noosfera e di semiosfera. La noosfera è un termine che sta ad indicare la “sfera del pensiero umano” e deriva dall’unione delle parole greche νοῦς, nous, che significa “mente”, e σφαῖρα, sphâira, che significa sfera. Il termine semiosfera, invece, indica lo spazio nel quale i diversi sistemi di segni in una cultura (la lingua, l’arte, le scienze, ecc.) possono sussistere e generare nuove informazioni. Questi due concetti possono essere considerati quali precursori del concetto di infosfera, dove quest’ultimo pone maggiormente l’accento sull’organizzazione e sulla distribuzione delle informazioni nei sistemi elettronici, informatici e telematici.
Il concetto di infosfera, però, richiama anche un altro concetto: quello di intelligenza collettiva. L’intelligenza collettiva è un concetto diffuso dallo studioso francese Pierre Lévy, anche se è stato definito per la prima volta da Douglas C. Engelbart nel 1962. Pierre Levy è colui che maggiormente ha approfondito e studiato le potenzialità di questa capacità umana, contribuendo alla sua divulgazione in ambito sociologico.
Secondo il filosofo francese, la diffusione delle tecniche di comunicazione su supporto digitale ha permesso la nascita di nuove modalità di legame sociale, non più fondate su appartenenze territoriali, relazioni istituzionali, o rapporti di potere, ma sul radunarsi intorno a centri d’interesse comuni, sul gioco, sulla condivisione del sapere, sull’apprendimento cooperativo, su processi aperti di collaborazione. Questo fenomeno dà vita all’idea di “intelligenza collettiva”, ossia una forma di intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta ad una mobilitazione effettiva delle competenze. Piuttosto che appiattire l’individuo all’interno di una collettività massificata e uniformante, questo sapere distribuito determina un vero e proprio processo di emancipazione e civilizzazione, poiché pone ogni persona al servizio della comunità, da una parte permettendogli di esprimersi continuamente e liberamente, dall’altra dandogli la possibilità di fare appello alle risorse intellettuali e all’insieme delle qualità umane della comunità stessa.
L’intelligenza collettiva, dunque, espande la capacità produttiva della comunità perché libera i singoli aderenti dalle limitazioni della propria memoria e consente al gruppo di affidarsi a una gamma più vasta di competenze. Gli assiomi di partenza dell’argomentazione di Lévy sono che il sapere è sempre diffuso – “nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa” – e che “la totalità del sapere risiede nell’umanità”. Tutta l’esperienza del mondo, quindi, coincide con ciò che le persone condividono e non esiste alcuna riserva di conoscenza trascendente.
In questo contesto il ruolo della scuola diventa sempre più importante e sempre più impegnativo. Mentre prima ci si poteva limitare a mettere a disposizione degli alunni una serie di contenuti sequenzialmente ordinati in un libro di testo, oggi le cose sono molto cambiate e questo ci deve inorgoglire, ma ci costringe anche a prendere consapevolezza di cosa ci venga veramente richiesto dalla società. Le famiglie tendono, in buona percentuale, a considerare la scuola poco più o poco meno di un parcheggio, di una tappa obbligata alla quale riconoscono un’importanza solo parziale e sicuramente non in linea con la realtà. Sta a noi sostanziare il nostro ruolo e non farci massificare, e quindi dequalificare, da un pensiero di così bassa levatura. Dobbiamo essere in grado di trovare in noi la forza necessaria per andare controcorrente. È difficile farlo da soli, per cui bisogna organizzarsi per una attività basata sulla collaborazione che sia veramente tale e che, quindi, possa portare tutti verso l’obiettivo condiviso di una piena legittimazione del ruolo e della funzione del docente. Ci vorrà tempo, ma anche le famiglie e la politica non potranno più far finta di niente.
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