La formazione in servizio

La formazione in servizio

19 Marzo 2020 0 Di giuseppe perpiglia

La società in cui viviamo cambia ad un ritmo sempre più veloce. Le acquisizioni tecniche e scientifiche in tutti i campi dello scibile umano si susseguono ad un ritmo   sempre più frenetico. Diventa difficile stare dietro a tutto per cui ognuno di noi è chiamato a specializzarsi sempre di più e seguire con costanza l’evolversi della disciplina scelta. Tutto questo al fine di compiere il proprio servizio o di svolgere il proprio ruolo, per quanto settoriali, all’altezza delle aspettative.

Il cambiamento degli strumenti a disposizione provoca cambiamenti di pensiero, di atteggiamenti, di comportamenti e di aspettative sia nei singoli sia nella comunità. E questo ha avuto nette conseguenze nella vita di tutti i giorni, conseguenze che a volte ci sfuggono. Ad esempio, si pensi a come vivevamo solo dieci anni fa e come siamo organizzati oggi.

La società, per il tramite del legislatore, doveva pur prendere in considerazione tale situazione e prendere provvedimenti. In particolare, si pensi agli ordini professionali. Tutti o quasi hanno imposto un aggiornamento continuo ed obbligatorio documentato e certificato dall’acquisizione di crediti formativi, sulla falsariga degli studenti universitari. L’aggiornamento professionale da diritto è diventato anche dovere.

Paradossalmente a restare indietro è stato proprio il mondo della scuola. Infatti, il docente che voleva aggiornarsi lo poteva fare per soddisfare un suo diritto ed una sua necessità etica, ma, ad esempio, non poteva, nella dichiarazione dei redditi, portare in detrazione le spese eventualmente sostenute. La sensazione era quella che lo Stato permettesse con bonomia ‘un vezzo’, la pratica dell’aggiornamento professionale dei docenti, ma non ne era proprio entusiasta. “Se proprio lo vuoi, puoi aggiornarti, ma sappi che è una tua scelta che a me non interessa”. Inoltre, il docente che tentava di essere sempre aggiornato e quello che, invece, preferiva rimanere ancorato a metodologie datate ed obsolete, superate dai tempi, erano e rimanevano comunque sullo stesso piano, da qualsiasi punto di vista si considerasse la questione.

Dall’anno 2000 è partita la stagione delle riforme, senza nessuna coordinazione e senza nessun punto in comune. L’unico punto che le ha accomunate è stato il protagonismo del ministro di turno. Nessuna di esse, comunque, ha mai preso una posizione netta e decisa sul fronte dell’aggiornamento dei docenti, anzi spesso tale problematica non è stata nemmeno presa in considerazione. Men che meno si è trovata una qualche indicazione in tal senso sui contratti collettivi di lavoro nazionali (CCNL), invero molto pochi, che si sono succeduti in questi ultimi decenni.

Il governo Renzi, il 13 luglio 2015, ha emanato la legge n. 107, meglio nota come legge della buona scuola. È una legge costituita da un solo articolo e da ben 212 commi.

Il comma 124 è dedicato all’aggiornamento professionale dei docenti e recita testualmente: «Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche, previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria».

Come vi si legge, la formazione in servizio è definita obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione dei docenti devono essere basate prioritariamente su quanto indicato nel Piano Nazionale di Formazione e sono definiti dalle singole istituzioni scolastiche sulla base del PTOF e delle risultanze del Piano di Miglioramento. È un passo importante perché la professionalità docente, al pari e forse più di altre, ha bisogno di essere continuamente aggiornata, vivificata ed adeguata ad un contesto doppiamente mutevole. Da un lato bisogna tener conto delle acquisizioni in campo psico-pedagogico, dall’altro non si può prescindere dalla mutevolezza dei ragazzi, delle loro potenzialità, delle loro esigenze e delle loro aspettative. Il tutto immerso in un contesto socio-economico che cambia anch’esso in modo altrettanto rapido.

Il docente, molto più di altri professionisti, deve avere la consapevolezza di essere immerso in quel contesto culturale che il filosofo italiano naturalizzato britannico, Luciano Floridi, ha denominato infosfera. Nella filosofia dell’informazione, con il termine infosfera di intende la globalità dello spazio delle informazioni. Pertanto l’infosfera racchiude sia il cyberspazio (internet, telecomunicazioni digitali) sia i mass media classici. Tale spazio è alquanto volatile e discontinuo, ma è lo spazio in cui il docente deve condurre, accompagnandoli fino alla soglia, i suoi studenti, per cui è necessario che in tale spazio egli si sappia muovere ed orientare.

È stato dimostrato in diversi studi che la qualità delle competenze possedute dagli insegnanti è il fattore che incide maggiormente sui risultati raggiunti dagli studenti. Un docente che riesce bene in questo suo improbo lavoro non può non essere una persona che goda considerazione da parte di tutti i membri della comunità.

E questo dovrebbe essere anche una delle finalità principali di un sindacato serio. Al contrario, in questa particolare attività i sindacati si sono comportati in modo ben poco razionale e professionale. Infatti, hanno perso di vista il loro ruolo, cercando soltanto di accaparrarsi la benevolenza e le simpatie dei propri iscritti con mezzi e comportamenti che vanno a dequalificare il loro ruolo e quello della categoria che dovrebbero tutelare.

Le maestranze sindacali, infatti, con un atteggiamento che probabilmente mirava alla captatio benevolentiae dei propri iscritti in questo specifico campo, hanno trovato, grazie al decreto legislativo n. 75/2017, una scappatoia per eludere tale dovere. Hanno, in pratica, bypassato quanto disposto dal comma 124 della Legge 107/2015 relativo alla formazione in servizio obbligatoria, permanente e strutturale. Infatti, nel contratto collettivo nazionale integrativo (CCNI) i rappresentanti sindacali hanno proposto di inserire le seguenti due frasi:

  1. Nelle scuole il personale esercita il diritto alla formazione anche in forma individuale;
  2. Tutto il personale in servizio può accedere alle iniziative formative.

Per quanto all’apparenza potrebbero sembrare due frasi alquanto innocenti, in effetti esse stravolgono il senso e la finalità del comma 124 della legge 107/2015, trasformando il dovere della formazione in servizio in un diritto che, come tale, può essere goduto o meno. Alcuni siti hanno tentato di uccellare delle sciocchezze come tesi a favore di una tale presa di posizione. Infatti è stato scritto che «Definire il Piano di Aggiornamento spetta al Collegio dei Docenti e non al Dirigente scolastico, per cui se il Collegio non decide …» oppure «L’aggiornamento al di fuori delle 40 ore annuali deve essere retribuito». Sono interpretazioni quanto meno capziose. In realtà, solo la CISL-Scuola è intervenuta per affermare che nel contratto non viene mai detto che l’aggiornamento non costituisca un dovere individuale. Poi continua affermando che «È fuori discussione che dal Piano di Formazione di Istituto, che obbligatoriamente deve essere inserito nel PTOF, discendano obblighi precisi ed ineludibili per tutto il personale».

Anche il ministro in carica, onorevole Lucia Azzolina, si è espressa, seppure indirettamente, su tale argomento nel suo decalogo, illustrato al momento del giuramento. Infatti, circa gli interventi urgenti ha inserito anche il seguente obiettivo: «Prioritario sarà il tema della formazione dei Dirigenti, dei docenti e anche del personale ATA».

Ogni docente dovrebbe sentire come dovere etico, prima che come obbligo di legge, il problema dell’aggiornamento. Non è facile interagire con i ragazzi in modo efficace ed efficiente. La differenza di età, sempre più marcata, rende difficile la relazione: troppo diverso il modo di pensare, di vivere e di intendere la vita e la società. C’è bisogno di ricorrere a tecniche sperimentate, tecniche che riescano a motivare i ragazzi verso l’acquisizione di contenuti e di competenze. Oggi più che mai i giovani hanno bisogno di una guida autorevole e credibile che li aiuti a trovare un senso per orientarsi in una società liquida e disgregata che non è in grado di dare punti di riferimento stabili e relazioni umane forti su cui poter contare. Questa esperienza può essere soddisfatta solo da adulti, sì consapevoli, ma anche formati.

Infine, un’ultima considerazione. Il volersi esimere da un simile dovere vuol dire solo innescare e potenziare la delegittimazione dei docenti come professionisti e come persone. È possibile che non si riesca a capire che lavorare bene è la nostra arma più potente ed efficace per riacquistare il posto che compete a tale ruolo nella società e che ha perso nel corso del tempo? E non solo per colpa di altri.

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