
Chi ha paura dell’INVALSI?
Come accade spesso, la nostra politica mette in campo provvedimenti incongruenti. Questa volta è toccato ai test dell’INVALSI da svolgersi in previsione dell’esame finale al termine del quinto anno della scuola secondaria di secondo grado, il cosiddetto esame di Stato.
L’incongruenza si ravvisa nel fatto che i test sono obbligatori per l’accesso alla sessione di esame, però i risultati registrati non devono essere presi in considerazione! Delle due l’una, se non servono che non si facciano, se si pensa, invece, di sottoporre i maturandi a tale prova, allora è necessario ed eticamente corretto dare ai ragazzi la soddisfazione di aver fatto qualche cosa di senso compiuto.
In Italia, in ambito scolastico e non solo la cultura della valutazione, come quella correlata dell’autovalutazione, stentano ad attecchire. È solo da una corretta, precisa e frequente valutazione, da una sincera e puntuale autovalutazione, che può avere inizio e può prendere forma un processo di miglioramento. Il momento della valutazione serve anche a promuovere la responsabilità. Ognuno deve essere messo davanti alle responsabilità derivanti dai propri atti e comportamenti.
Che i giovani maturandi abbiano preferito per il 96%, come riportato dagli organi di stampa, di sottoporsi ai test INVALSI può essere letto in due modi diversi ed antitetici. Da una parte la serietà etica nello scegliere di partecipare ad un’attività proposta dalla scuola; dall’altra, però, si potrebbe pensare ad una semplice strategia per evitare qualunque “scontro” con il corpo docente, evitare di essere additato come quello che non ha partecipato all’INVALSI. Tanto per quello che costa!
Un atteggiamento di sospetto e di ripulsa verso la valutazione è presente anche nel corpo docente. Il male che affligge da sempre la scuola è l’autoreferenzialità. Il mondo della scuola ha preferito rimanere rinchiuso nei suoi riti e nelle sue cerimonie che si ripetono sempre uguali, senza permettere o sopportare intrusioni esterne. Molta resistenza ci fu quando, nel 1974, furono introdotti i decreti delegati che hanno permesso alle famiglie di entrare nel sancta sanctorum della scuola, sia nel Consiglio di Istituto, sia nei Consigli di Classe.
Che qualcuno potesse interferire in un qualche modo nelle proprie attività era ed è una cosa che proprio non va giù alla classe docente. D’altro canto le famiglie hanno spesso pretese assurde senza avanzare alcuna proposta migliorativa. Molto spesso, anzi, il rappresentante di classe si preoccupa solo di sapere come va il proprio pargolo.
Ma ritorniamo alla cultura della valutazione e dell’autovalutazione. Nella nostra società sta prendendo sempre più piede, in tutti i campi ed a tutti i livelli, la dis-cultura della deresponsabilizzazione. Ad iniziare dalle alte sfere della politica. A quanti disastri -economici, sociali, ambientali- abbiamo assistito, direttamente o indirettamente, e quanti, invece, sono stati i colpevoli che hanno pagato in base alle loro colpe ed alle sanzioni previste dallo Stato e dalla Giustizia?
Il farla franca è lo sport nazionale. Non rispondere delle proprie azioni ormai passa per furbizia e per intelligenza, ma è solo disonestà. Addirittura assistiamo alla presenza in Senato di individui condannati per reati contro lo Stato. Altri individui che, per quanto indagati e condannati, si ripresentano alle elezioni e vengono pure rieletti! Capipopolo senza scrupoli, pardon, capi di partito, che devono rispondere di reati molto gravi che, senza vergogna e senza il benché minimo rimorso, continuano nella loro attività politica pro domo sua e non certo per il miglioramento materiale e spirituale del Paese come richiesto dall’art. 4 della nostra Costituzione.
Il processo di deresponsabilizzazione ha investito anche la scuola. Con la legge 517 del 4 agosto 1977 furono aboliti gli esami di riparazione a settembre per cui gli alunni non si sono più preoccupati di recuperare qualche carenza perché sarebbero comunque passati alla classe successiva. In seguito, le materie da portare all’esame di Stato, l’esame di diploma, scesero, oltre agli scritti, a due, di cui una a scelta del discente. Nella scuola dell’obbligo, l’esame venne ridotto ad un colloquio pluridisciplinare, una farsa che si ripete ogni anno sempre uguale a sé stessa. Tanto ormai il ragazzo è arrivato in terza media, che vogliamo fare, lasciarlo proprio adesso? È stata la volta di un’altra ‘conquista’, la tesina. Spesso un patchwork di articoli scopiazzati (sia sempre benedetto Bill Gates ed il suo copia-incolla!) dalla rete e giustapposti alla bell’e meglio fino a raggiungere un congruo numero di pagine, ovviamente con un carattere … molto leggibile. Il tutto a formare un prodotto spesso esteticamente molto curato, magari con una rilegatura ad effetto, un prodotto esemplificativo della differenza che può sussistere tra forma e contenuto. Nella mia quasi quarantennale esperienza di insegnamento nella scuola secondaria di primo grado mi sono imbattuto solo una volta in una tesina degna di tale nome. Aveva per argomento le due guerre del golfo: gran bel lavoro!
È solo sul senso di responsabilità che si può costruire e reggere l’edificio di una personalità matura. Nelle Indicazioni Nazionali 2012, nel testo della lettera di presentazione, si fa esplicito riferimento al principio dell’autonomia responsabile. E la responsabilità è richiesta anche alle scuole che devono mettere in pratica le varie norme nazionali. Non si tratta più di una pedissequa “applicazione”, come veniva richiesto ai Presidi ed ai Direttori Scolastici, bensì di un adeguamento, di una curvatura, della norma nazionale alla situazione contingente presente in quel dato contesto in quel determinato periodo. E questo è un compito impegnativo che spetta al Dirigente Scolastico, collaborato dal suo corpo insegnante. È un’attività che va ben al di là di una semplice “esecuzione di ordini”, ma bisogna metterci del proprio.
Nel senso di responsabilità deve trovare posto anche la tensione ad un miglioramento continuo, inteso come diritto-dovere individuale. Ogni aggiornamento ed ogni miglioramento, però, come ogni acquisizione culturale e professionale, traggono la loro forza dalla motivazione, intrinseca o estrinseca, a farlo ed il senso di responsabilità deve proprio alimentare la motivazione.
L’atteggiamento finora stigmatizzato porta ad ottenere i risultati pubblicati in questi giorni dagli organi di stampa riguardo tanto ai test INVALSI quanto ai test OCSE-PISA. I risultati registrati pongono gli studenti italiani agli ultimi posti delle classifiche europee in proposito.
Forse il tutto prende l’abbrivio da un’errata comprensione dei diritti universalmente riconosciuti agli individui. Infatti, nei vari documenti internazionali e nazionali si parla di diritto allo studio e di pari opportunità per tutti. Non si parla di diritto alla promozione. La nostra Costituzione va oltre, però, perché richiede anche il dovere di partecipare al miglioramento spirituale o materiale del Paese, cosa possibile solo con un adeguato livello di istruzione, qualunque sia la scienza, l’arte o l’attività scelta autonomamente dal singolo individuo. Sarebbe opportuno comprendere, una volta per tutte, che, se, come docenti e come genitori, vogliamo essere presi sul serio, dobbiamo comportarci seriamente e prendere sul serio il nostro lavoro o la nostra funzione. Il lavoro del docente è un lavoro delicato, sempre diverso e mai uguale a sé stesso, un lavoro basato sulle relazioni che deve tenere in massima considerazione i mutamenti socio-economici della comunità, sia quella di riferimento sia la più grande comunità nazionale, europea e mondiale. Mutamento che la scuola deve promuovere, innescare e guidare.
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