Creare il futuro

Creare il futuro

9 Febbraio 2020 0 Di giuseppe perpiglia

Il primo passaggio che siamo chiamati a compiere, ragionando sul futuro, è comprendere come lo abbiamo fin qui immaginato. Dobbiamo, cioè, prendere consapevolezza della direzione che abbiamo, più o meno inconsciamente, dato alla nostra vita, verso quale traguardo l’abbiamo finalizzata. In tal modo possiamo proseguire sulla strada scelta con maggiore determinazione ed efficacia, il che porterebbe ad una maggiore gratificazione.

Il pericolo più grande, infatti, è che la mancanza di consapevolezza della strada che si sta percorrendo e la successiva mancanza di determinazione ci facciano cadere, in modo subdolo, in un passivizzante stato di rinuncia motivato dalla paura o, peggio ancora, dell’inettitudine. Un simile atteggiamento non può che portare ad una riduzione delle prospettive e ad aprire la porta a contraddizioni e ad inadeguatezze che, in un circolo vizioso, andrebbero ad incrementare le cause che le hanno provocate.

Un’altra minaccia, che non sempre riusciamo a percepire, è rappresentata da tutti quei desideri non ancorati alla realtà. Per quanto siano desideri, o forse proprio per questo, devono avere una qualche attinenza con la realtà, altrimenti sono solo sogni utopistici che non potranno mai essere realizzati, neanche parzialmente. La consapevolezza della finalizzazione che abbiamo, in un modo o in un altro scelto, è il primo gradino di una lunga scala che porta alla pienezza di senso della nostra vita. La scala che rende la vita feconda nel presente ed illuminata dalla speranza di un futuro possibile che creiamo giorno dopo giorno. Sono quei desideri non ancorati alla realtà, che rifuggono i riscontri, che si nutrono solo di vuote illusioni e che, a causa di ciò, non potranno mai essere esauditi creando demotivazione e, quindi, aspettative ancora maggiori ed ancora meno realizzabili.

Per questo diventa necessario riflettere sulle nostre aspettative, per questo dobbiamo sentire forte la responsabilità di testimoniare a noi stessi cosa sia possibile qui ed ora, con le risorse a disposizione, in particolare quelle culturali, un presente che sappiamo essere rivolto al futuro che vogliamo e che immaginiamo.

È necessario avere ben chiara la consapevolezza della nostra identità. Tale consapevolezza rappresenta il primo ineludibile passo, ma anche un vero e proprio punto di repere, per iniziare a percorre quella strada, a volte impervia, in grado di condurci verso una vita serena, efficacemente inserita nel presente ed in grado di guardare al futuro con altrettanta serenità.

L’identità, però, non è certo una caratteristica statica ed immutabile, iscritta nella nostra vita alla nascita e che si mantiene inalterata per tutta la vita. Al contrario, l’identità si determina e si modifica con i comportamenti messi in atto giorno per giorno, ma anche con la coerenza e la determinazione nel difenderli e nel motivarli.

Far capire ai ragazzi questi concetti farebbe acquisire loro il senso della vita. Dare un senso alla vita ed al proprio futuro travalica conoscenze e competenze, va al di là di progetti, di metodologie e di curricoli. Ed il perseguirli è impresa impegnativa.

Quando un ragazzo, anzi una persona, riesce a dare un senso alla quello che fa, quando ha la consapevolezza che ogni suo atto è finalizzato alla costruzione di quel futuro che ha scelto e che vorrebbe veder realizzato non può non essere motivato e gratificato. La motivazione che riesce a raggiungere porta a comportamenti positivi che vanno ad impattare positivamente tanto sulla vita e sull’atmosfera di classe quanto sul rendimento personale. L’acquisizione della competenza in materia di cittadinanza e della competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare a questo punto diventa quasi una semplice conseguenza. I comportamenti messi in atto rappresentano, inoltre, indicatori efficaci nel momento valutativo delle stesse competenze.

Nella società odierna i giovani hanno perso la fiducia nel futuro per molteplici ragioni, allora vanno alla ricerca di emozioni forti che siano in grado di riempire il vuoto che gli adulti hanno creato fuori e dentro di loro.

La scuola, e quindi ogni singolo docente, dovrebbe farsi carico di aiutare i ragazzi a vivere pienamente il presente, il che comprende anche avere una visione di futuro chiara, seppure adeguata all’età. Questo concetto è stato espresso anche facendo uso della locuzione “progetto di vita”. Ed infatti di progetto si tratta. Quando ci si accinge a stilare un progetto bisogna avere contezza delle risorse, ma bisogna anche avere ben chiaro il fine che ci si prefigge in modo da creare, man mano che il progetto evolve e si dipana, le condizioni migliori affinché l’obiettivo finale possa essere raggiunto presto e bene, con efficacia ed efficienza.

Un progetto di vita non è certo cosa da prendere alla leggera, ma richiede attenzione continua ed un’adeguata preparazione. Il ragazzo non può essere lasciato solo in questa impresa. Ha, al contrario, bisogno dell’aiuto di tutti. In primo luogo della famiglia. Navigando sulla rete mi sono imbattuto in un sito che riportava l’intervista al duca don Diego de Vargas Machuca, presidente della Real Commissione italiana del Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio. Al duca è stato chiesto come agire sull’entusiasmo dei ragazzi per evitare che a scuola si annoino con tutte quelle conseguenze eclatanti che leggiamo spesso sui giornali. Lui ha risposto che c’è bisogno di un serio lavoro di squadra a carico degli insegnanti e soprattutto delle famiglie. Poi ha concluso con questa frase con la quale non si può non essere d’accordo: «La scuola sarà una seconda famiglia quando la famiglia tornerà ad essere la prima scuola».

Non voglio certo buttare la croce addosso alla famiglia, ma è un dato di fatto che la scuola viene vista spesso come un ostacolo sulla strada dello sviluppo del ragazzo. Molte iniziative scolastiche vengono boicottate o vista non di buon occhio perché impediscono o si sovrappongono ad altri impegni: calcetto, basket, pallavolo, nuoto, danza, …

Alla radice di questa semplice costatazione c’è la mancanza di comunicazione e di collaborazione tra famiglia e scuola. A questo si aggiunga che i genitori, per scelta o più spesso per necessità, si lasciano prendere troppo dal lavoro e, a volte, delegano tutto alla scola. D’altro canto la delegittimazione della scuola e degli insegnanti è un altro dato di fatto che crea disamoramento e demotivazione nel corpo docente che, a fronte di impegni sempre più pressanti e diversificati, vedono scemare il loro ruolo sociale e professionale.

Dice una massima africana «Per crescere un bambino ci vuole un villaggio» e di questa massima dovremmo farne tesoro perché non può certo essere il singolo genitore o il singolo docente a fare di un ragazzo una persona matura, bene inserita nella società e con un adeguato progetto di vita. Bisogna che tutti gli attori sociali collaborino creando quella comunità educanda tanto necessaria quanto difficile da ottenere.

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