
Un Paese povero
In questi giorni sono stati pubblicati i risultati delle indagini statistiche sulla situazione culturale del nostro Paese. In particolare ho letto i dati pubblicati dalla CGIA di Mestre e dall’ISTAT. La situazione che emerge dalle diverse tabelle comparative è molto preoccupante, sia per il sistema di istruzione e formazione, sia per il sistema produttivo, ma anche per la Nazione tutta e, ancor di più, per coloro che abbandonano. Altro dato ben poco edificante è quello relativo alla cosiddetta fuga di cervelli. I dati ci dicono che circa 60.000 diplomati e laureati hanno lasciato l’Italia per andare a trovare fortuna al di fuori dei confini nazionali.
I giovani che hanno abbandonato anzitempo il rispettivo percorso di studi ammontano, invece, a circa 600.000, ben 10 volte tanto!
Il fenomeno della fuga di cervelli rappresenta un grave vulnus per il paese dal punto di vista sia sociale che economico, un fenomeno che dovrebbe essere debitamente sottoposto a maggiore attenzione. In parole molto semplici, l’Italia semina e coltiva ed altre nazioni ne raccolgono i frutti il che appesantisce, e non poco, il nostro bilancio pubblico ed incide significativamente sul nostro PIL. Sarebbe opportuno che anche in questo caso valesse il cavallo di battaglia di qualche politico tutto incentrato sul sovranismo, facendo sì che i diplomati ed i laureati in Italia possano trovare posto in Italia.
L’abbandono scolastico o dispersione scolastica, molto gotica la definizione di mortalità scolastica, è un’altra piaga che, dopo un periodo di contrazione sta di nuovo incrementando su tutto il territorio italiano con punte maggiori nel Sud e nelle grandi isole. È un problema che viene sottostimato dalle scuole, dalle famiglie ed anche, cosa ben più grave, da una classe politica distratta da altri problemi molto meno seri. La dovuta attenzione alla scuola non compare nelle agende dei vari politici di tutto lo schieramento e men che meno nei vari contratti di governo.
L’abbandono scolastico si configura come una sconfitta per tutto il sistema di istruzione e formazione, per ogni singola istituzione scolastica e per ogni singolo docente. È il segnale inconfutabile che qualche cosa non funziona, che la scuola non riesce a motivare adeguatamente i ragazzi, non riesce a farli affezionare allo studio, non riesce a far capire loro la bellezza della cultura. E su questo bisognerebbe riflettere adeguatamente, mettendo le risultanze della riflessione nero su bianco nel rapporto di autovalutazione e, quindi, nel piano di miglioramento.
La dispersione scolastica, insieme alla fuga di cervelli ed al concomitante decremento delle nascite, rappresenta un danno non da poco anche per il sistema produttivo perché, andando di questo passo, fra pochi anni l’industria non troverà le maestranze, preparate e flessibili, di cui ha bisogno.
È chiaro che di una tale situazione ne subisce gli effetti negativi tutta la Nazione perché i vari comparti sono strettamente connessi ed il malfunzionamento di uno si ripercuote su tutti gli altri.
Per il ragazzo che si arrende ed abbandona, invece, tale decisione potrebbe tramutarsi in un vero e proprio dramma, uno stigma che lo segnerà e lo accompagnerà per tutta la vita. In genere, chi esce dal percorso educativo proviene da un ambiente svantaggiato e da una famiglia con un livello di istruzione molto basso che quindi non potrà sostenerlo più di tanto. La povertà educativa e la povertà economica, in genere, viaggiano affiancate.
Il ragazzo che abbandona la scuola senza conseguire un titolo di studio corre il rischio di andare incontro a disoccupazione giovanile, povertà ed esclusione sociale. È destinato, nel migliore dei casi, ad inseguire per tutta la vita lavori precari, dequalificati e con un livello di retribuzione molto basso.
Dai dati ISTAT emerge che in Italia quasi un giovane su quattro, per la precisione il 24,1%, è da includere nei NEET, acronimo inglese (Not in Education, Employed or Training) che indica quei giovani compresi tra i 15 ed i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione professionale o aggiornamento.
La situazione nella scuola e della scuola non è certo esaltante e di questo ne dobbiamo prendere consapevolezza tutti: dai dirigenti scolastici, ai docenti, alle famiglie per finire alla classe politica. Bisogna dare una svolta decisa ad un andazzo che sta portando la scuola ad essere una struttura elefantiaca che non sa dove andare e cosa fare. La classe docente è una categoria di lavoratori sempre più demotivati dai comportamenti e dai trattamenti loro riservati dal sistema. Non mi riferisco soltanto al trattamento economico, il più basso in Europa. Parlo soprattutto della legittimazione sociale a loro negata e definitivamente tolta da alcune dichiarazioni di politici che gettano discredito su una categoria a cui pure affidiamo i nostri figli.
La scuola dovrebbe essere il fiore all’occhiello di una Nazione, così come avviene, guarda caso, nelle nazioni più evolute, che sono all’avanguardia della tecnologia applicata ai vari campi dell’orizzonte produttivo. Anche in questo modo si spiega la fuga di cervelli e la dispersione. Un giovane che ha idee innovative invece di essere accolto a braccia aperte ed avviato alla ricerca, deve pietire un qualche dottorato di ricerca che non gli permette neanche di essere autonomo economicamente, ma deve continuare a dipendere dai genitori: è deprimente!
Per questo l’Italia è un Paese povero. Perché non riesce a sfruttare la ricchezza delle giovani generazioni, non si adopera per far sì che crescano anche culturalmente. Non riserva loro le attenzioni che meritano e che la Costituzione loro riconosce, ma lascia che vengano trattenuti in scuole quasi mai a norma, in ambienti spesso poco curati, fino a rasentare la degradazione. Quante volte abbiamo sentiamo di tragedie sfiorate o, purtroppo, accadute per colpa di qualche pezzo di soffitto crollato durante le lezioni. Anche l’ambiente in cui si svolge l’apprendimento ha influenza su di esso, per cui investire sugli edifici vuol dire, indirettamente, investire sui nostri figli e sul loro futuro.
Ancora. Avere una classe docente motivata è altro elemento dirimente la questione di un insegnamento di qualità con risultati efficaci. Allora, un’efficace selezione a monte e che abbia un senso, per esempio prevedendo un percorso di studi, successivo alla laurea, in cui poter apprendere materie indispensabili: psicologia, pedagogia, … potrebbe risolvere molti dei problemi che si incontrano parlando di istruzione.
Un trattamento economico adeguato, in linea con la retribuzione riservata ai docenti nelle altre nazioni europee, porterebbe ad un innalzamento deciso ella motivazione. Ripresa del tempo prolungato in cui si possa fare qualche cosa d’altro che sia più gradito agli alunni, ad esempio la riscoperta della manualità grande assente nella scuola italiana. Retribuire adeguatamente la classe docente e pretendere un servizio adeguato e chi non è in grado deve essere allontanato. Per fare questo, però, un posto in cattedra deve essere una condizione lavorativa in grado di attrarre le persone più qualificate. Oggi, invece, l’insegnamento è spesso considerato il refugium peccatorum di chi non riesce a trovare di meglio.
Ecco perché l’Italia è un Paese povero, è povero culturalmente a tutti i livelli, anche al livello di coloro che dovrebbero amministrare la cosa pubblica. Un laureato per entrare a far parte della classe docente ha dovuto superare un concorso e deve possedere e dimostrare determinati requisiti, così come un ingegnere, un medico, un geometra, un … Ai politici, invece, non è richiesto neanche un titolo di studio e non deve superare nessun concorso o esame per dimostrare che sa di cosa si dovrà occupare. Non parliamo, cortesemente, del voto popolare perché sappiamo bene come a volte viene ottenuto.
A questo punto non ci resta che dire «Ed io speriamo che me la cavo», perché oltre la speranza ci resta ben poco.
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