
Didattica: un’attività complessa
Il vocabolario on line della Treccani afferma che la didattica è “parte della teoria e dell’attività educativa che concerne i metodi dell’insegnamento”. L’etimologia del termine deriva da alcune parole greche che significano “insegnamento”, “che può essere insegnato”, ”lezione”. Tutti i termini proposti riconoscono la stessa radice da, dak che ha il significato di mostrare.
Ai profani quella dell’insegnamento potrebbe sembrare un’attività concettualmente semplice, quasi banale. Tale convincimento viene avallato da una classe politica che preferisce occuparsi di raccattare voti con atteggiamenti a dir poco discutibili, disinteressandosi delle problematiche pregnanti dell’oggi e del domani.
La realtà che affronta quotidianamente in classe, però, è ben più complessa ed articolata, perché il fine di ogni attività didattica è quella dell’insegnamento che, a sua volta, si deve sostanziare in un corrispondente apprendimento.
Il passaggio dalla teoria (didattica) alla pratica (insegnamento) non consiste in una semplice traslazione o traduzione dei principi pedagogici e delle varie metodologie apprese, ma richiede una curvatura sul soggetto che deve acquisire quanto proposto, evento che costituisce il punto iniziale dell’apprendimento.
Insegnamento ed apprendimento sono due attività inscindibili che acquistano maggiore difficoltà per il numero di soggetti coinvolti e per le numerose variabili in grado di incidere su tutto il processo. Ad ogni docente, infatti, corrispondono almeno venti alunni, venti persone diverse, ognuna con un suo vissuto, un suo background culturale, con proprie aspettative, con proprie aspirazioni, con propri stili di apprendimento di cui il docente deve tenere conto.
Ma bisogna tenere conto anche di un altro soggetto che, per quanto non sia presente in aula, è molto esigente. Mi riferisco alla comunità sociale di cui bisogna conoscere le richieste, i bisogni, le esigenze così come le dinamiche evolutive che la modificano di giorno in giorno. Proprio per rendere conto del proprio operato alla società, le scuole sono chiamate a stilare il documento di rendicontazione sociale e renderlo pubblico mettendolo sull’apposita piattaforma predisposta all’interno del portale del Sistema nazionale di valutazione (SNV).
Ulteriore fattore di complessità risiede nel corpus degli utenti primari, gli studenti. Come già detto, non sono tutti uguali, ma ognuno di loro va trattato in un modo specifico. In particolare, poi, ve ne sono alcuni che richiedono un’attenzione ancora maggiore. Avrete già capito che mi sto riferendo a quegli alunni che vengono indicati complessivamente con l’acronimo BES perché portatori di Bisogni Educativi Speciali. Non è una categoria nemmeno lontanamente omogenea, al contrario racchiude soggetti molto diversi tra loro. Penso ai ragazzi che presentano disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), a loro volta suddivisibili in ulteriori specificità, a coloro che presentano, invece, un disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività (ADHD). Ancora, possiamo continuare pensando a coloro che presentano disturbi dell’attività non verbale o deficit della coordinazione motoria.
L’attività didattica, quindi, non si esaurisce nel proporre, in modo più o meno coinvolgente, una serie di nozioni, ma deve andare oltre: deve essere finalizzata all’acquisizione di competenze, siano esse trasversali, disciplinari o specifiche. In questo ultimo ambito si può far ricadere la valorizzazione del pensiero computazionale come quella del pensiero divergente, ma anche la corretta gestione e l’altrettanto corretta fruizione della realtà virtuale e della realtà aumentata. Per realtà aumentata o realtà mediata dall’elaboratore si intende quella realtà susseguente all’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili dai cinque sensi. Nel tentativo di raggiungere una parvenza di standardizzazione tra i Paesi europei ed all’interno del territorio nazionale sono state emanate elenchi di macro-competenze dal Parlamento europeo (le 8 competenze chiave del 22 maggio 2018 –link-). Analoga operazione ha interessato anche le qualifiche professionali con il Quadro europeo delle qualifiche (spesso indicato con l’acronimo EQF dalla locuzione inglese European Qualifications Framework). L’acquisizione delle competenze è cosa ben diversa della proposizione di un concetto o di una nozione. Essa, infatti, ha bisogno di efficaci compiti di realtà, cioè di progetti che prevedano la risoluzione di problemi che siano reali o realistici e che abbiano un senso per gli alunni. Ed anche questa è un’attività che richiede attenzione, preparazione e dedizione da parte del docente. Un buon approccio per affrontare tale incombenza è quello del service learning a cui si fa riferimento.
Tenere conto della comunità che bussa alle porte dell’aula ed in cui la scuola è immersa, vuol dire anche essere aggiornati sulle novità che riguardano le nuove acquisizioni della didattica, in particolare le nuove tendenze pedagogiche, quali il post-costruttivismo, la flipped classroom o i nuovi modelli di apprendimento proposti dalle neuroscienze. Ed a proposito di comunità non possiamo e non dobbiamo certo dimenticare le comunità virtuali che presentano luci vivide ed ombre nere. La scuola deve, quindi, farsi carico di guidare gli alunni verso un corretto utilizzo dei vari social, nonché delle connessioni e delle relazioni in rete.
Altro ambito che non può essere trascurato è la presenza di culture altre e della loro indubbia influenza sulle relazioni umane che si instaurano in una classe ed in una piccola comunità come può essere un‘istituzione scolastica. In tutte le scuole, infatti, ora in misura maggiore ora in misura minore, sono presenti ragazzi che provengono da altri Paesi e che presentano problemi di inserimento. Il docente deve, quindi, trovare il modo migliore per promuovere un’inclusione efficace e duratura. Ed in questi tempi di sovranismi e di populismi beceri che vanno controcorrente portati avanti da persone che si ostinano a negare l’evidenza, il tutto diventa molto più difficile. Bisogna, quindi, avere una preparazione adeguata ed una forte motivazione personale per gestire e promuovere una didattica veramente multiculturale. Possono venirci incontro e darci una mano le nuove tecnologie didattiche che comunque bisogna prima apprendere e poi governare con competenza.
In tutto questo bailamme, né il docente né gli alunni devono farsi travolgere dal diluvio informazionale, come ebbe a definirlo Pierrre Lévy, riferendosi all’enorme massa di informazioni che ci scivola addosso giornalmente.
Una grande conquista sarebbe saper accedere alle informazioni che ci interessano tralasciando tutto il resto. Ma anche questo ha bisogno di didattica, di insegnamento e di apprendimento.
Un autore di cui non ricordo il nome ha affermato che fino a qualche anno fa avevamo molte domande e poche risposte, oggi, invece, abbiamo molte risposte per le quali non sappiamo trovare le domande adeguate. Ebbene, compito primario dell’istruzione dovrebbe essere proprio quello di insegnare i ragazzi a porsi ed a porre domande.
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