Contro la cultura dello spreco

Contro la cultura dello spreco

6 Gennaio 2020 0 Di giuseppe perpiglia

L’AssiPan -Associazione italiana panificatori ed affini- denuncia uno spreco tanto grave quanto vergognoso che non fa onore a nessuno. Ogni giorno, infatti, finiscono in pattumiera ben 120.000 euro di baguette, panini, pani, filoni e simili; vale a dire circa 43 milioni di euro ogni anno (Libero del 21/11/2019).

La maggior parte di questo spreco è a carico della grande distribuzione. Infatti, i supermercati, per dare alla propria clientela un servizio sempre al top, richiedono pane caldo fino ad un secondo prima della chiusura. L’invenduto viene restituito ai panificatori a cui non viene neanche pagato. In base alle leggi vigenti, questi ultimi, vero e proprio anello debole della filiera, non possono riciclare il pane restituito, magari trasformandolo in pangrattato e, quel che è ancora peggio, non possono neanche cederlo alle varie associazioni di volontariato che si occupano dei senza tetto e degli indigenti, oppure donarlo alle varie mense della carità presenti in sempre più città italiane.

È stato calcolato che ben oltre il 20% degli alimenti finisce nelle nostre pattumiere, mentre tante persone sono sotto alimentate o, addirittura, muoiono letteralmente di fame. E non bisogna andar molto lontano per trovare di queste tristi situazioni. In Italia, nella nostra bella e civile Italia, circa un bambino su 10 vive in condizioni di povertà assoluta.

Nella mia carriera di docente ho visto di tutto. Quando esisteva il tempo prolungato e si faceva mensa a scuola, ho notato un ragazzo di seconda media che mangiava spesso anche quello che i suoi amichetti, per motivazioni diverse, lasciavano nel piatto. Quando veniva servito il secondo piatto arrivava a mangiare fino a quattro fette di pane. Ad una mia battuta, con il senno di poi ben poco felice, mi rispose: «Professo’, non so se questa sera trovo qualche cosa in tavola!».

Altro spreco, molto più insidioso perché meno visibile, almeno in Italia, è quello inerente il consumo di acqua. Lo stato pietoso in cui versa la nostra rete idrica fa sì che venga perso, durante il percorso dal centro di distribuzione al rubinetto di casa, fino al 40-50% dell’acqua destinata all’uso potabile e domestico.

Questi comportamenti sicuramente poco responsabili ben si sposano con la cultura dello scarto, con la cultura dell’usa e getta e con la cultura del tutto e subito. Tutte e tre queste deleterie culture poggiano la loro esistenza su una mancanza di consapevolezza delle nostre azioni quotidiane e sulle loro conseguenze immediate e future. Abbiamo abbracciato molto strettamente la cultura del contingente dimenticando l’insegnamento del passato e non considerando che il futuro si costruisce oggi avendo una visione, inseguendo un sogno o un’utopia che possano guidare il nostro presente. Sorin Kierkegaard, infatti, affermava: «La vita si può capire all’indietro, ma si vive in avanti».

Cambiare comportamenti consolidati non è cosa semplice ma le persone di buona volontà ci dovrebbero almeno provare per non diventare corresponsabili di questa folle corsa verso il baratro.

La linea del fronte di questa battaglia irrinunciabile ed improcrastinabile è rappresentata dalla famiglia, dalla scuola e dal volontariato. Ho volutamente omesso la politica perché sembra essere, ogni giorno di più, avulsa dalla situazione socio-economica del Paese, preferendo rimanere in un perenne stato di campagna elettorale in cui alle promesse non seguono mai fatti concreti.

Famiglia, scuola e volontariato sono tutte e tre agenzie formative, anche se di tipo diverso. In famiglia si dovrebbero dare ed impostare le linee-guida per acquisire comportamenti responsabili e rispettosi di sé e degli altri. La scuola dovrebbe, quindi, riorganizzarle e riproporle in forma strutturata, dando loro una solida base teorica ed etica. Infine, il volontariato deve essere coinvolto come soggetto che mette in pratica ed in grado di vivere compiutamente i valori portati avanti dalla famiglia e dalla scuola.

Per quanto riguarda i docenti, non si tratta di fare qualche cosa in più, ma solo di mettere in pratica il vigente dettato legislativo in modo compiuto. Dal prossimo anno, infatti, entrerà in vigore, fatti salvi eventuali capricci dei politici, l’educazione civica che rappresenta l’insegnamento d’elezione per veicolare comportamenti corretti e responsabili. Insegnamenti che siano in sintonia, tanto con l’Agenda ONU 2030, quanto con le otto competenze chiave emanate dal Consiglio d’Europa nel 2018.

L’Agenda ONU 2030 punta molto, quasi tutto, sullo sviluppo sostenibile. Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità ed il diritto delle generazioni future di soddisfare i propri. Per rendere effettivo un tale tipo di sviluppo bisogna armonizzare tre elementi fondamentali:

  • La crescita economica;
  • L’inclusione sociale e
  • La tutela dell’ambiente.

L’Agenda 2030 viene declinata in 17 obiettivi (in inglese SDG’s, acronimo che sta per sustainable development goals). Tali obiettivi sono a loro volta suddivisi in 169 traguardi. Il primo obiettivo è quello di porre fine ad ogni forma di povertà, mentre il secondo si prefigge di sconfiggere la fame, raggiungere la sicurezza alimentare a livello mondiale e promuovere un’agricoltura sostenibile. L’equa distribuzione delle risorse economiche ed alimentari occupa, quindi, il primo posto nel piano di acquisizione di uno sviluppo sostenibile, anche perché proprio dal mancato soddisfacimento delle primarie esigenze economiche e alimentari deriva, in modo diretto e/o indiretto, il soddisfacimento degli altri 15 obiettivi.

I docenti devono essere bravi a fare acquisire ai ragazzi la consapevolezza delle problematiche della società attuale facendoli portandoli ed aiutandoli a riflettere sulla situazione contingente. Bisogna, infatti, che sia l’alunno a maturare autonomamente comportamenti ed atteggiamenti adeguati, perché solo così entreranno a far parte del suo bagaglio culturale. In caso contrario l’eventuale acquisizione sarà sicuramente poco più o poco meno che superficiale e di facciata con un orizzonte temporale molto limitato.

Il problema dello spreco alimentare e di stili di vita non corretti ha come effetto, tra gli altri, anche quello di un’errata alimentazione, errata sia per qualità sia per quantità. E questo è sì un fatto culturale, ma presenta un conto molto alto in termini sociali, economici e sanitari. Infatti, secondo il Rapporto OCSE The heavy Burden of obesity – The economics of prevention oltre la metà della popolazione di 34 dei Paesi membri (su 36) è in sovrappeso ed una persona su quattro è obesa. Il tasso medio di obesità è passato dal 21% al 24% dal 2010 al 2016. Con questi dati, il futuro che ci attende non è certo roseo. Infatti, si prevede che, nei Paesi OCSE, entro i prossimi 30 anni si conteranno 90 milioni di vittime per malattie legate all’obesità. Tale situazione, inoltre, inciderà sul PIL provocandone una riduzione valutata intorno al 3,3%.

Il carico maggiore di una tale situazione lo sopporteranno i bambini. Infatti, i bambini obesi vanno meno bene a scuola ed hanno, per tale motivo, maggiori probabilità di abbandonare precocemente gli studi. In aggiunta, sono anche più frequentemente oggetto delle ‘attenzioni’ dei bulli.

In Italia le malattie legate all’obesità assorbono il 9% della spesa sanitaria. Per finire, nel nostro Paese le persone obese hanno un’aspettative di vita inferiore di 2,7 anni rispetto alla media. Complessivamente, in Italia le problematiche legate all’obesità riducono il PIL del 2,8%.

L’unica risposta possibile ed efficace è la promozione di stili di vita sani e di un corretto regime alimentare. A tal fine, bisogna mettere in atto politiche sociali, sanitarie ed educative che conducano ad un futuro migliore. Per quanto le politiche educative, è innegabile che la scuola, a tutti i livelli, viene chiamata in causa e non può certo tirarsi indietro. Non bisogna, ovviamente, limitarsi alla lezioncina frontale sui principi alimentari e sulle classi di alimenti, ma bisogna proporre “sani e corretti stili di vita” in tutti i campi, bisogna indurre modifiche comportamentali che a volte potrebbero essere drastiche e sicuramente impopolari. Proporre un frutto al posto delle merendine edulcorate artificialmente o di snack fritti in chissà quale olio, ricchi di sale e di insaporitori chimici rappresenterebbe già una grande rivoluzione, anche per molte mamme. Spingere verso rapporti e relazioni inter-umane basati sul rispetto e sull’empatia è un’altra strada da percorrere fino in fondo e con molta convinzione.

Qualsiasi persona non può essere vista e giudicata in base ad una sola caratteristica, ma bisogna sempre vederla con uno sguardo olistico per abbracciarne tutte le sfaccettature, enfatizzando i punti di forza e aiutandola a smussare le sue criticità.

Non dobbiamo mai dimenticare, sia come genitori sia come docenti, che siamo stati chiamati ed abbiamo accettato il ruolo e la funzione di educatori.

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