
L’empatia
È una parola che, al pari di altre, ha perso il suo significato originario perché eccessivamente abusata. È stata inflazionata fino al punto di essere svuotata dal suo contenuto etico, morale e relazionale. Riprenderla e vivificarla, a casa come a scuola, sarebbe la più grande ed efficace riforma in tema di educazione.
Il termine empatia deriva dall’unione di due parole greche “en” e “pateia” e letteralmente indica una compartecipazione reale ed attiva al dolore altrui. Oggi, il termine viene utilizzato per indicare la capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona in modo immediato e, talvolta, senza neanche far ricorso alla comunicazione verbale. In termini ancora più semplici, curvandone il significato sulla vita di tutti i giorni, l’empatia è la capacità di prendersi cura dell’altro. Una tale capacità, come di semplice comprensione, diventa essenziale in tutte le relazioni umane per le importanti conseguenze che può dispiegare in seno alla società, ma anche nella crescita e nella maturazione umana di ognuno.
Il volontariato, quello vero e pro-sociale, fa dell’empatia il sentimento su cui poggiare, il sentimento che guida i suoi passi. Ma il docente deve mettere una gran percentuale di volontariato nel suo lavoro, per cui esso pure deve far riferimento all’empatia nel suo quotidiano impegno con i ragazzi.
L’empatia è la caratteristica che dovrebbe contraddistinguere principalmente il rapporto genitori-figli e docente-alunno, come quello tra alunni e tra persone in quanto tali.
Ma è possibile insegnare l’empatia ed in caso di risposta affermativa, come? È una domanda che non può certo trovare una risposta semplice ed univoca, una risposta, comunque, provo a darla ed a condividerla con voi.
Per comprendere e rispettare le emozioni degli altri, bisogna prima imparare a conoscere e ad identificare le proprie. Un modo per provare a far conoscere le proprie emozioni e la loro intensità, lo possiamo attuare rivolgendoci all’informatica. Si potrebbe, infatti, iniziare, anche con i più piccoli, sfruttando la loro passione per le moderne tecnologie informatiche, in special modo quella che riguarda i social, spesso demonizzati ma che possono avere anche una grande valenza positiva. Nei messaggini, siano essi SMS o post di Whats-app, o dovunque sia possibile, vengono appiccicate quelle faccine note con il nome di emoticon. Il termine è ottenuto dalla fusione delle parole inglesi emotion e icon, rispettivamente emozione ed icona. Già il termine lascia intuire facilmente che possono essere ben utilizzate per descrivere in modo grafico ed intuitivo le varie emozioni servendosi di icone, cioè di immagini stilizzate.
Il primo esercizio da proporre ai ragazzi di tutte le età consiste nel fornire loro un foglio con una serie di faccine ed invitarli a scrivere al di sotto di ognuna di esse l’emozione che vuole veicolare, l’emozione che rappresenta. Molto strumentale al nostro fine è anche l’esercizio opposto. In questo secondo caso si scrivono alla lavagna una serie di parole che indicano varie emozioni e si invita i ragazzi a disegnare delle faccine che le rappresentino. Entrambi le attività è bene siano seguite da un momento di riflessione collettiva per un necessario confronto tra i ragazzi, anche al fine di mettere in evidenza i caratteri salienti che legano le espressioni facciali o posturali e prossemici con le emozioni.
Altra attività da proporre è quella di mettere un voto da 1 a 10 per esprimere l’intensità delle emozioni che si provano o che si sono provate in una qualche occasione. Anche questo esercizio potrebbe essere corredato dall’invito a mettere in forma grafica una stessa emozione con intensità via via crescente. In altri termini, si chiederà ai ragazzi di rappresentare una stessa emozione con intensità via via maggiore.
Tutti gli esercizi proposti, pur nella loro semplicità concettuale ed esecutiva, sono finalizzati all’acquisizione della consapevolezza delle proprie emozioni e, quindi, a saperle riconoscere su sé stessi e sugli altri.
Il passo successivo consiste nell’invitare i ragazzi a riconoscere l’emozione che si prova e, quindi, a descriverla con un breve testo. In tal modo le emozioni e gli stati d’animo cominciano ad uscire dalla nebbia delle sensazioni indistinte ed a prendere forma, a diventare sempre più familiari, qualcosa con cui convivere in modo più costruttivo e, quindi, da gestire in modo più razionale.
Nell’approccio all’empatia è però fondamentale la cooperazione tra persone, qualunque sia la loro età. Un giochino, molto semplice anch’esso, da proporre e da mettere in pratica è quello di sostituire, in un certo senso, le faccine con il compagno di banco. Gli alunni, a coppie, giocano a riconoscere i sentimenti sul volto dell’altro. Un ragazzo simula, cambiando l’espressione del proprio volto, un’emozione che l’altro deve indovinare. Dopo un certo numero di simulazioni, per esempio dieci, si scambiano i ruoli. Eventualmente, il gioco può continuare formando delle coppie casuali ottenute in modo casuale, magari per sorteggio.
Una ulteriore attività interessante potrebbe essere quella di mettere insieme e far collaborare ragazzi con caratteristiche diverse. Ad esempio, si potrebbe formare una coppia con un ragazzo iperattivo ed un ragazzo un po’ pacioccone e calmo perché sicuramente saranno in grado di trarre entrambi benefici dal trascorrere del tempo insieme. Altrettanto valido potrebbe essere il ricorso all’educazione ed allo studio tra pari, cioè alla peer education. La diversità, infatti, quando ben gestita ed incanalata, è motivo di miglioramento per tutti i soggetti coinvolti.
Abituare i ragazzi ad accettare i propri stati d’animo, a conoscere le proprie emozioni e ad accettare con pari rispetto quelle degli altri è presupposto per formare una società più giusta e maggiormente inclusiva. Non farlo significa, invece, incentivare fenomeni drammatici come il bullismo, che non a caso alligna dove il metodo scolastico tende a premiare i migliori, a scapito di tutti gli altri.
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