Genitori e scuola

Genitori e scuola

24 Dicembre 2019 0 Di giuseppe perpiglia

Leggo un intervento del professore Umberto Galimberti che si scaglia in modo netto e deciso contro la presenza dei genitori nella scuola a causa dell’atteggiamento dimostrato dalle famiglie nei confronti dei docenti e della scuola in generale.

Umberto Galimberti è filosofo, sociologo, psicoanalista ed accademico italiano. Come se non bastasse è anche giornalista per La Repubblica. Non sono certo io a dover elogiare una così autorevole figura per il semplice fatto di non possedere le competenze adatte. Mi arrogo, però, il diritto di criticare, nel senso di dire il mio pensiero, su una sua presa di posizione che propongo così come riportata dal sito Tuttoscuola: “Espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge.
E alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a scuola senza protezioni, lo scenario è diverso, devono imparare a vedere che cosa sanno fare senza protezione. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell’indolenza che vediamo in età adulta.

E la si finisca con l’alternanza scuola lavoro, a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? È folle.

Guardiamo sui treni: mentre in altri Paesi i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole? Non si pensa o si pensa poco se non si hanno le parole”.

L’illustre professore Galimberti, a mio modesto parere, compie un percorso inadeguato e velato da un certo grado di pessimismo a cui si associa anche la tendenza ad un’ammissione aprioristica di sconfitta e di impotenza.

I genitori si comportano male, togliamo i genitori dalla scuola. E no! non deve funzionare così!

La corresponsabilità tra scuola e famiglia è un caposaldo che non si tocca, è un fattore dirimente per far sì che il percorso didattico-educativo possa attraccare con calma e sicurezza nel porto rappresentato dagli obiettivi a suo tempo programmati e condivisi. Il porto, non già di una preparazione formale ancorata solo sulle conoscenze, ma quello di una crescita globale, in grado di indurre comportamenti ed atteggiamenti adeguati ad un contesto sociale in cui regni la pace, il rispetto e la solidarietà tra tutti gli individui.

Il professore Galimberti, invece di fare proposte per migliorare e rendere pro-attivo il rapporto scuola-famiglia, taglia la testa al toro e, abbassando il livello dell’impegno, chiede di allontanare le famiglie dalla scuola. Cos’ facendola scuola verrebbe di nuovo relegata nel suo limbico stato di autoreferenzialità che ha già fatto tanti danni. Inoltre, è un modo un po’ vile di porsi davanti ad un problema, infatti, invece di affrontarlo, non lo si considera, lo si scansa con un artefatto. Il nodo centrale, il vero focus del problema, sta nel dare una risposta alla domanda: «è un bene o no che la scuola dialoghi con le famiglie?». In base alla risposta data si prenderanno decisioni congruenti e conseguenti.

Personalmente condivido l’idea che l’alleanza scuola-famiglia sia l’unica strada, senz’altro quella più efficace, da seguire fino in fondo per formare cittadini e persone in grado di condividere, di apprezzare e di mettere in pratica i valori della solidarietà, dell’inclusione e del rispetto reciproco verso tutti.

L’univocità della comunicazione e la condivisione degli intenti è passo ineluttabile per promuovere un’educazione efficace ed una valida formazione della persona nella sua totalità ed interezza. Il soggetto in formazione è, in generale, un soggetto disorientato tanto dai cambiamenti somatici e fisiologici, quanto da quelli psicologici. A questo disorientamento va aggiunto, cosa che vale anche per l’adulto, anche il disorientamento provocato dal rapido mutare dell’ambiente socio-economico e tecnologico che caratterizza la nostra società.

C’è, quindi, bisogno di punti fissi a cui aggrapparsi per riflettere, per riprendere fiato prima di rimettersi in cammino. Il ragazzo deve trovare questi punti fermi negli adulti significativi che, in prima istanza, devono essere rappresentati dai docenti e dai familiari. L’adulto ancorerà il suo cammino sulla cultura e sui valori forti ed universali, così come sullo spirito critico da cui non si può derogare, seppure con la necessaria curvatura, a nessune età della vita.

Il ragazzo ha bisogno, inoltre, di un muro solido contro cui, eventualmente, sbattere la testa ed il corpo per acquisire il concetto di limite. Il muro non può non essere rappresentato dai paletti messi dalla famiglia e dalla scuola, in armonia tra loro. Meglio ancora sarebbe se la società partecipasse a far rispettare tali paletti in accordo con le due primarie agenzie educative. Se il muro costituito dalla famiglia e dalla scuola presenta delle crepe o dei tratti di vera e propria discontinuità, non serve praticamente a nulla, i ragazzi sono specialisti nel trovare punti di discontinuità, sono ferratissimi nell’approfittare dei punti di vacatio tra quanto affermato ed imposto dalla famiglia e quanto imposto ed affermato dalla scuola. Sono abituati a fare surfing e zapping.

Allora, esimio professore Galimberti, la sua grande ed indiscussa cultura dovrebbe essere messa al servizio del miglioramento del necessario rapporto collaborativo tra scuola e famiglia, non al superamento tout court con i gravi danni che vengono lamentati. Sicuramente la letteratura, al pari di tutte le altre discipline, è importante nella formazione dei ragazzi, ma ciò non serve, ipso facto, a migliorare ed a rendere più proficua e produttiva la maturazione del ragazzo verso l’età adulta. Anzi è vero proprio il contrario. La mancata collaborazione tra scuola e famiglia non permette un’adeguata sedimentazione della cultura disciplinare che è e rimane strumentale, anch’essa, alla crescita della persona nella sua interezza.

In questo contesto non possiamo non ricordare il Patto di corresponsabilità che obbliga scuola, famiglia e studente a firmare un vero e proprio patto con cui ognuno dei tre soggetti acquisisce diritti e si impegna a ottemperare a ben precisi doveri. Non è un mero atto burocratico, ma una precisa presa di responsabilità di ognuno nei confronti degli altri. Rappresenta, inoltre, un buon viatico per approntare un percorso didattico ed educativo funzionale al pieno sviluppo della persona umana.

Ho dato per scontato che fossimo tutti d’accordo che non tutte le famiglie ricorrono al TAR per una mancata, quanto immeritata, promozione alla classe successiva, addirittura si ricorre a tale importante e necessaria istituzione anche per un voto inferiore alle attese o ai desiderata della famiglia.

D’altro canto non è una mera coincidenza che, nella gran maggioranza dei casi, i ragazzi che fanno registrare risultati più positivi sono proprio quelli che hanno una famiglia alle spalle, una famiglia che opera in stretta sintonia con la scuola, che si interessa, che ha voluto, riuscendoci, creare e mantenere un confronto serio e fattivo con la scuola.

Per chiudere, la collaborazione tra scuola e famiglia è un fattore dal quale non si può derogare se si vogliono ottenere risultati positivi circa la crescita morale, etica e culturale. Bisogna lavorare per fare in modo che il rapporto scuola-famiglia sia sempre più stretto e funzionale all’unico vero traguardo che scuola, famiglia e Costituzione devono necessariamente condividere.

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