Il valore dell’umanesimo

Il valore dell’umanesimo

4 Dicembre 2019 0 Di giuseppe perpiglia

In questo titolo ho usato il termine umanesimo per indicare, e chiedo scusa ai puristi, l’insieme delle discipline umanistiche, in particolare filosofia.

Era il 1960 e mi iscrivevo alla classe prima della scuola media non ancora unificata. Quante novità tutte insieme: l’edificio che incuteva timore, i compagni provenienti da un ambiente socio-economico molto più diversificato, una miriade di libri. In particolare, nuove discipline e fra queste, quella che incuteva più paura e maggior soggezione era senza dubbio il latino. Cercare di capire, sia in lettura che in scrittura, quelle parole nuove ed a volte addirittura di difficile pronuncia era un’impresa che mi risultava molto difficile, a volte addirittura ardua. Poi, finalmente, l’esame di licenza media, l’iscrizione ad un istituto tecnico ed addio al latino. Disciplina che ho, comunque, apprezzato quando gli anni si sono aggiunti agli anni.

Nell’immaginario collettivo, intanto, si andava delineando il mito della tecnica come panacea miracolistica contro tutti i mali sociali ed economici della comunità. Un nuovo illuminismo. Tutti ad interrogarsi sulla necessità o meno di stressare questi poveri ragazzi con le regole di una lingua morta. Tutti a denigrare ed a sconsigliare vivamente un indirizzo di studio di tipo umanistico, considerato poco più di una perdita di tempo e di denaro perché non avrebbe offerto nessuno sbocco lavorativo degno di tale nome.

È di questi giorni la pubblicazione di una ricerca condotta negli Stati Uniti dall’American Academy of arts and sciences che sfata in modo incontrovertibile tali luoghi comuni. Almeno negli States, infatti, la financial satisfacion, cioè la soddisfazione economica, dei laureati in facoltà umanistiche è sovrapponibile a quella degli altri colleghi. Infatti, i laureati in scienze umanistiche percepiscono in media uno stipendio pari a 52.000 dollari per coloro che hanno conseguito la laurea triennale, stipendio che si assesta sui 72.000 dollari per coloro che, invece, sono riusciti a raggiungere un livello che potremmo paragonare alla nostra laurea specialistica. Gli stipendi dei nostri docenti sono nettamente distanziati, ma tant’è!

Paradossalmente un campo lavorativo che richiede un cospicuo numero di laureati in discipline umanistiche è proprio quello dell’informatica, che sembrerebbe richiedere una preparazione in direzione esattamente opposta. Gli umanisti, infatti, sono particolarmente richiesti quando si tratta di “istruire” robot con la tecnica del machine learning, mentre una base etica e morale è ritenuta necessaria per un automation ethicist. Questo termine indica un esperto di intelligenza artificiale che studia l’impatto etico e sociale dei macchinari intelligenti. Forse meglio sarebbe dire sarà, perché al momento non esiste, ma potrebbe diffondersi a ritmo sempre più intenso insieme a profili specializzati nel valutare l’utilità delle tecnologie (Artificial Intelligence usefulness strategist) o “educare” all’empatia gli assistenti virtuali come Siri® di Apple o Alexa® di Amazon (emphaty trainer). In questo caso gli umanisti vengono chiamati per valutare, come già accennato, gli impatti economici e sociali dell’automazione, dando un senso a macchinari concepiti per dialogare con i dipendenti umani. Il machine learning, in italiano traducibile in apprendimento automatico, invece, è una branca dell’intelligenza artificiale e raccoglie un insieme di metodi quali la statistica computazionale, il riconoscimento di pattern, le reti neuronali artificiali, i sistemi dinamici ed altro ancora. Integra, in particolare, gli algoritmi adattivi. L’apprendimento automatico utilizza metodi statistici per migliorare progressivamente le performances di un algoritmo finalizzato ad un qualche obiettivo.

A tutti noi, ne sono sicuro, sarà capitato di notare che, dopo avere effettuato una qualche ricerca in internet, soprattutto se indirizzata a qualche prodotto commerciale, ha cominciato a ricevere e-mail con pubblicità inerente la tipologia di prodotti cui appartiene l’oggetto cercato in rete. Questo è un effetto dell’intelligenza artificiale.

Ma ritorniamo ai nostri studi umanistici…

Fino a relativamente poco tempo fa, laurea in filosofia voleva dire insegnamento, in un’equazione praticamente univoca. Quasi un circuito che si auto-alimentava: si studiava filosofia per insegnare filosofia!

L’informatica, invece, si è andata sempre più sovrapponendo alla tecnologia nel senso che, oggi, parlare di tecnologia vuol dire parlare di informatica. Filosofia e tecnologia, cioè informatica, sembravano due mondi posti agli antipodi, invece, le nuove strade aperte dalle acquisizioni dovute a nuovi algoritmi hanno permesso un incontro a cui mai si sarebbe pensato solo una decina di anni fa. Tali acquisizioni hanno permesso di abbattere i luoghi comuni sulle lauree in scienze umanistiche, anche dal punto di vista economico. Il “sacrificio” richiesto ai laureati in tali discipline è solo quello di un cambio di paradigma culturale, entrando in ambiti per loro nuovi. Ma quale è la chiave che ha permesso di aprire tali nuove, inaspettate ed insperate porte? Le facoltà scientifiche classiche devono il loro successo all’alta specializzazione degli studi portati a termine. Ma questa loro caratteristica è anche un limite, in quanto risulta praticamente impossibile riciclarsi in un ambito culturale diverso.

Coloro che, al contrario, hanno conseguito una laurea in filosofia, per esempio, o in una qualunque altra branca umanistica, hanno una flessibilità di pensiero ed una flessibilità nella scelta dei punti di vista che permettono loro di adeguarsi a richieste culturali che ormai stanno al di fuori della rigida sedimentazione disciplinare in cui abbiamo ingabbiato il sapere e la cultura. Oggi, nel mondo culturale, molti muri e molti steccati sono caduti ma il sistema scolastico, nella sua struttura elefantiaca caratterizzata da un’estrema rigidità burocratica, non ne ha preso atto, per cui continua a sformare specialisti senza però dar loro gli strumenti per adeguarsi ai cambiamenti sempre più veloci che l’evoluzione socio-economica e tecnologica ci propone e ci impone e dai quali non si può assolutamente derogare. Mi viene in mente il libro L’isola di Aldous Huxley che lessi anni addietro.

Ai soggetti interessati viene richiesta la disponibilità a saper cogliere queste opportunità che molto probabilmente continueranno a far registrare un trend sempre più positivo per molto tempo ancora.

Il fattore ineludibile, però, è sempre lo stesso: un’elevata preparazione che non sia mnemonica ma che poggi sul possesso di competenze specifiche, disciplinari e, soprattutto, trasversali. E questo richiede impegno e fatica, oggi come ieri.