Per qualche motivo…

Per qualche motivo…

6 Novembre 2019 0 Di giuseppe perpiglia

L’articolato processo che si prefigge di coniugare l’insegnamento con l’apprendimento poggia integralmente su un atto di volontà, anzi due. La volontà del docente di proporre il suo sapere in modo tale da potere essere fruito agevolmente dal discente. Ne consegue che egli deve necessariamente tener conto delle capacità e delle competenze pregresse del discente stesso, cioè del suo vissuto. Ma anche la volontà del ragazzo di apprendere e, quindi, prestare la necessaria attenzione e mettere il necessario impegno, finalizzati al raggiungimento di un obiettivo. In entrambi i casi la forza motrice per portare avanti un processo che sia veramente condiviso deve poggiare, pena il non raggiungimento soddisfacente della meta prefissa, su una solida base che viene identificata nella motivazione di entrambi i soggetti coinvolti. La motivazione è una conditio si qua non dalla quale non si può transigere o derogare perché essa riveste un ruolo importante anche sugli aspetti metacognitivi in grado di rendere l’apprendimento ancora più efficace. Altra positiva e forte influenza esercitata dalla motivazione è quella che si manifesta sull’autostima, incrementandola.

Secondo l’approccio comportamentista, la motivazione, intesa come bisogno personale, spinge il soggetto alla ricerca della soddisfazione di un suo bisogno. Per fare un esempio, si pensi ad un bisogno primario come la fame o la sete. La soddisfazione del bisogno costituisce il rinforzo che consolida la risposta dell’organismo. Secondo Skinner, nelle pratiche di insegnamento il rinforzo, rappresentato da lodi e premi, deve essere utilizzato e calibrato in modi opportuni; anche l’ambiente deve essere strutturato in modo tale da fornire un rinforzo all’alunno.

Il Comportamentismo (o Behaviorismo) considera l’apprendimento una forma di risposta agli stimoli ambientali, quasi un meccanismo deterministico del tipo causa – effetto. In senso generale, quindi, l’apprendimento è stato considerato una qualche forma di modificazione, più o meno permanente, del comportamento in seguito all’influenza di uno stimolo ambientale. Un ruolo centrale e quasi esclusivo era perciò rivestito dall’ambiente che poteva plasmare l’individuo, considerato una tabula rasa, in base agli stimoli offerti.

Chiaramente non è un meccanismo automatico come l’esperienza facilmente insegna. Se così fosse tutti i ragazzi nati e cresciuti in un certo ambiente dovrebbero dimostrare un apprendimento ed una modificazione caratteriale, per così dire, standardizzata, ma così non è. È innegabile che l’ambiente gioca un ruolo importante nell’apprendimento e nella modifica degli atteggiamenti e dei comportamenti, ma è altrettanto vero che la sua influenza viene modulata da innumerevoli altri fattori, in particolare la motivazione.

Il nostro cervello ha bisogno di stimoli gratificanti per poter funzionare al meglio, ha bisogno di produrre sostanze che generino uno stato di soddisfazione. La motivazione ad apprendere può essere definita come il grado di impegno cognitivo investito per il raggiungimento di obiettivi scolastici. (Johnson and Johnson, 1989)

Se alla base dell’apprendimento efficace si ha il ruolo attivo dell’individuo e la sua scelta di metodi e stili cognitivi appropriati, le proposte per strategie di miglioramento della motivazione non possono essere prescrittive e predeterminate.

La motivazione racchiude diverse componenti non sempre controllabili, alcune di natura più strettamente individuale, soggettiva, altre più influenzate da processi esterni, sociali, culturali. Ancora, la motivazione all’apprendimento come processo multifattoriale include aspetti legati alle esperienze pregresse, con aspettative sulle proprie prestazioni e sui compiti assegnati, teorie e credenze sull’intelligenza, valori e interessi personali, attribuzioni causali di successo o insuccesso.

È solo negli ultimi due decenni che lo studio psicologico della motivazione ha avuto un grande sviluppo e la dimensione motivazionale degli allievi ha acquistato centralità nel processo di insegnamento-apprendimento.

La motivazione discende, in ultima analisi, da una gratificazione in un circolo virtuoso o vizioso, a seconda dei casi. Il meccanismo positivo della gratificazione poggia sul fatto che il nostro cervello ha bisogno di stimoli gratificanti per poter funzionare al meglio. I feedback positivi, infatti, inducono la secrezione di sostanze che generano uno stato di soddisfazione e di benessere.

Ma la motivazione è uno stato interiore o una condizione? Possiamo dire, alla luce di quanto finora affermato, che è il motore psicologico che ci rende attivi, che ci spinge e ci mantiene nell’azione. La motivazione è definita come un processo che avvia, guida e mantiene comportamenti mirati.  Essa è ciò che ti induce ad agire, dal bere un bicchiere d’acqua per ridurre la sete, alla lettura di un libro per acquisire conoscenza. In realtà si tratta di un processo, noto come processo motivazionale, locuzione con la quale si intende un fenomeno psicologico che comprende tre momenti: la motivazione, l’azione e l’obiettivo.

Il motivo indica una situazione di mancanza: questa genera nell’individuo una tensione che lo porta a rappresentarsi l’obiettivo da raggiungere e l’azione da compiere per far cessare la predetta tensione. L’analisi delle motivazioni si intreccia con quella delle emozioni perché è la componente emotiva (la tristezza, la paura, la noia, la rabbia) che connota la sensazione di carenza o mancanza da cui scaturisce l’azione.  Se l’emozione è troppo forte diventa paralizzante e blocca l’azione e l’obiettivo non viene raggiunto. Altre volte essa non viene compresa dagli altri determinando una situazione di stallo emotivo che porta alla staticità comportamentale. Oltre a connotare le motivazioni, le emozioni possono fungere da obiettivi a cui tendere, costituendo il momento finale del processo motivazionale: “Faccio questo sforzo per ottenere la meritata soddisfazione”.

La motivazione coinvolge le forze biologiche, emotive, sociali e cognitive per attivare, ed eventualmente modificare, il comportamento.

Gli psicologi hanno proposto una serie di diverse teorie sulle spinte motivazionali: la teoria delle pulsioni, la teoria degli istinti e la teoria umanistica.

La teoria delle pulsioni di Sigmund Freud individua nelle pulsioni di vita e di morte, del tutto inconsce, la spinta motivazionale dell’uomo che può agire in maniera condizionata se tali pulsioni sono in forte conflitto con le istanze della realtà.

La teoria degli istinti è legata alla soddisfazione dei bisogni fisiologici di tipo omeostatico che spingono l’individuo ad agire in modo riflesso per ripristinare una situazione di equilibrio. Nel modello a piramide, invece, Abraham Maslow ha individuato diversi livelli di complessità a cui può giungere una motivazione o bisogno. Si va pertanto da un livello più semplice di soddisfazione di bisogni fisiologici fino ad un livello più complesso dove viene soddisfatto il bisogno di auto-realizzazione. Il bisogno segnala anche la nostra dipendenza da qualcuno o da qualcosa.

La teoria umanistica        Il desiderio, invece è associato a un’aspirazione, a un obiettivo da raggiungere, a un progetto da realizzare. Il desiderio, oltre a garantire il bisogno di sopravvivenza, conferisce alla vita una qualità più elevata e contribuisce a darle un senso di soddisfazione e pienezza. Infatti, più le motivazioni sono elevate, più si arricchiscono di componenti cognitive ed affettive. Le energie mentali individuali non

possono essere libere se la persona non ha raggiunto un livello di fiducia e di autostima sufficienti per potersi proiettare verso esperienze di accrescimento di sé.

La motivazione può anche essere descritta come estrinseca o intrinseca. Le motivazioni estrinseche sono quelle che nascono al di fuori dell’individuo. Queste spesso comportano premi come trofei, denaro, riconoscimento sociale o elogi. Quelle intrinseche, invece, nascono da un’esigenza interna all’individuo. Per esempio fare un complicato puzzle esclusivamente per la gratificazione personale di risolvere un problema.

Mentre le motivazioni estrinseche funzionano come condizionamenti, e sono indispensabili per attivare un nostro comportamento, quelle intrinseche sono considerate come strettamente personali, connesse alla libertà di realizzare i nostri desideri più che alla necessità di soddisfare un bisogno.

In conclusione le persone motivate sono coloro che hanno fiducia in sé stesse e si pongono degli obiettivi sempre più complessi che mirano alla realizzazione dei propri sogni. La motivazione è la molla della vita che, intrecciata alle emozioni, le dà la giusta dose di colore e di vivacità.

Dal punto di vista teorico c’è da aggiungere che la ricerca internazionale ha prodotto un cospicuo numero di dati empirici che possono essere suddivisi in tre grandi temi:

  1. gli obiettivi di apprendimento che l’alunno si pone, a loro volta distinti in obiettivi di avvicinamento e di prestazione e obiettivi di evitamento[1];
  2. la tendenza dell’individuo a svolgere attività che lo soddisfano, questo riguarda la motivazione intrinseca e l’interesse;
  3. i modi in cui, una volta posti gli obiettivi, gli alunni gestiscono il loro comportamento per raggiungerli; questo afferisce all’auto-regolazione.

Le caratteristiche dell’individuo motivato sono:

  • avere un obiettivo;
  • compiere uno sforzo di volontà;
  • persistere nel fine di raggiungerlo.

Quando si parla di orientamento motivazionale, bisogna considerare:

  • gli antecedenti;
  • i correlati;
  • le conseguenze cognitive sul comportamento motivato.

La motivazione ad apprendere, come emerso dagli studi condotti negli ultimi trentanni, presenta tre dimensioni dalle quali non si può derogare:

  • Il ruolo attivo dell’individuo. La motivazione non va ricondotta alla sola soddisfazione passiva dei bisogni primari ma sorge quando l’individuo si pone degli obiettivi;
  • La modalità con cui l’individuo si percepisce in relazione ad un compito che dovrà svolgere e al risultato positivo o negativo del compito stesso (rapporto prestazione – senso di competenza);
  • La terza dimensione riguarda gli strumenti che l’individuo mette in atto per raggiungere i suoi obiettivi (con riferimento anche alle strategie messe in atto)

Il processo di insegnamento-apprendimento, secondo le più recenti ricerche, non coinvolge più solo aspetti cognitivi o sociali ma una sfera emotiva, si potrebbe dire una cognizione calda che ha come nodo teorico centrale proprio la motivazione.

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[1]  In psicoanalisi, meccanismo di difesa simile al diniego, per cui un individuo si rifiuta di fronteggiare situazioni, oggetti o persone che generano angoscia in quanto simboleggiano impulsi sessuali o aggressivi inconsci