È una questione di dignità

È una questione di dignità

1 Novembre 2019 0 Di giuseppe perpiglia

La scuola è il luogo delle relazioni per eccellenza e per essere efficace deve basarsi su relazioni proficue. Ma una relazione per essere proficua deve porre tutti i soggetti coinvolti sullo stesso piano, cercando di prendere il meglio da ognuno di essi. Mettere e mettersi in relazione vuol dire comunicare, cioè parlare ed ascoltare. Ascoltare, però, riconoscendo la dignità del pensiero all’altro, non limitandosi a percepirne le onde sonore, ma decodificandole in un orizzonte di senso. Nel caso della scuola, bisogna dare, e far sentire, dignità a tutti, ad iniziare dai bambini e dai ragazzi. È, quella del riconoscimento autentico della dignità di ognuno, la strada maestra per innescare un processo di apprendimento vero ed in grado di provocare cambiamenti. Infatti, non si può imparare quando si crede, a torto o a ragione, che il proprio pensiero non sia degno di essere ascoltato.

Il punto focale del processo formativo sta proprio qui. Quando i bambini ed i ragazzi che capiscono di avere il diritto di pensare liberamente e di poterne usufruire, allora nasce qualcosa. Allora può scoccare la scintilla dell’interesse.

Ogni docente ed ogni dirigente deve lavorare per una scuola democratica e, come tale, inclusiva. Non bisogna lavorare, come purtroppo accade con una certa frequenza, ammantando il tutto con un velo di ipocrisia pseudo-buonista, su categorie che, dividendo, tendono più ad escludere che ad includere. La scuola inclusiva è quella che accoglie tutti a prescindere dalla categoria nella quale l’alunno è stato collocato. Anche i cosiddetti “ragazzi normali” devono essere accolti in modo sostanziale e non meramente formale. Se la scuola si riduce al solito insopportabile triangolo spiegazione-studio-interrogazione, nell’alunno non potrà non insorgere e prevalere, inevitabilmente, un progressivo distacco dal desiderio di conoscere. Il passaggio appena successivo consta nel subentrare di una sensazione di alienazione per giungere ad un vero e proprio rifiuto della scuola e dell’istruzione, visti quasi come angherie da subire e non come opportunità di crescita e di maturazione. Viene meno, cioè, la motivazione ed aumenta la disaffezione verso la scuola ed il sapere che vengono viste come qualcosa di imposto e di negativo, non già come occasione irripetibile di crescita personale ed umana. È necessario che la scuola si interroghi più a fondo e con maggior rigore riguardo al suo produrre alienazione, perché spesso è proprio la scuola, con il suo atteggiamento presuntuosamente saccente e sostenuto, ad allontanare i ragazzi, favorendo, almeno come concausa, la dispersione scolastica. Un docente che non si sforza giornalmente di creare un rapporto empaticamente comunicativo, quindi basato sul riconoscimento della dignità propria ed altrui, non potrà ottenere quei risultati che la norma e l’etica gli chiedono.

Sul vocabolario Treccani online, alla voce dignità, troviamo la seguente definizione: «La condizione di nobiltà ontologica e morale in cui l’uomo è posto dalla sua natura umana, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a sé stesso. La dignità piena e non graduabile di ogni essere umano (il suum di ciascuno), ossia il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di essere uomo e di esistere, è ciò che qualifica la persona, individuo unico e irripetibile. Il valore dell’esistenza individuale è dunque l’autentico fondamento della dignità umana».

Quando si parla di nobiltà ontologica si tira in ballo la natura ultima dell’uomo, i suoi aspetti essenziali. E proprio per questa ragione è importante che il docente riconosca la dignità dell’alunno e del suo pensiero. In tal modo, infatti, egli (il docente) riconosce l’altro (lo studente) come persona fin nella sua più intima essenza. Il riconoscimento eterodiretto innesca anche un processo di auto-riconoscimento con effetti estremamente positivi sulla crescita personale, ancora più importanti in una fase della vita in cui il ragazzo è alla ricerca di una sua propria identità.

È acquisizione sedimentata, almeno nel mondo della scuola, il concetto che la scuola stessa debba essere incentrata sull’alunno, sulle sue esigenze. Le sue attività devono avere come partenza e come punto di arrivo il ragazzo. La scuola, infatti, dovrebbe prendere spunto per dispiegare tutte le sue plurime attività dalle esperienze vissute del ragazzo. In una parola, deve essere alunno-centrica. Ma come può la scuola essere alunno-centrica se non riconosce la dignità di ogni suo alunno? È proprio la dignità personale, con tutte le sue manifestazioni che chiamiamo vissuto, che fa di ogni alunno un soggetto unico ed irripetibile. È proprio la dignità che connota e caratterizza ogni singolo individuo elevandolo a rango di persona per cui, se vogliamo riconoscere un alunno come persona, non possiamo se non partire dal riconoscimento della sua dignità. Ma riconoscere la dignità di una persona vuol dire ascoltare con attenzione, prendere nella giusta considerazione i suoi pensieri, sia quelli esplicitamente espressi e sia quelli che rimangono in una dimensione criptica, perché, il ragazzo tende a mantenerli segreti. Vuol anche dire, quando è il caso, dissentire da quanto affermato dall’altro, ma adducendo le spiegazioni necessarie a supportare il nostro dissenso. Vuol dire non avere mai atteggiamenti di superiorità e di superficialità, ma neanche di falso buonismo e di eccessivo garantismo. Vuol dire essere sinceri e rifuggire l’ipocrisia ed il pregiudizio.

È, questo, un atteggiamento che fa bene anche al docente perché così riesce a dare un senso alla sua professione ed a trarne la gratificazione necessaria per continuare con sempre nuovo entusiasmo, in un ciclo virtuoso in grado di auto-alimentarsi. In caso contrario si instaura un ciclo vizioso che, partendo dal non riconoscimento vero e profondo dell’alunno, porta, attraverso la sua demotivazione, ad un clima di classe pesante ed opprimente che rende ancora più gravoso il già impegnativo compito dell’insegnante. Il tutto viene, poi, estremizzato dalla mancanza dei risultati sperati.

Come già affermato, il riconoscimento del so pensiero e delle sue considerazioni porta il ragazzo ad acquisire maggiore autostima che rappresenta il necessario fondamento su cui è possibile innestare un proficuo processo di acquisizione delle competenze. Riconoscere la dignità dell’alunno vuol dire anche valorizzare le sue esperienze extrascolastiche, il suo vissuto, le sue necessità, le sue aspettative, i suoi talenti. Vuol dire anche fare in modo che il ragazzo cominci a formulare una prima bozza di progetto di vita. Una tale impostazione dell’attività didattica apre ad una finalizzazione importante ed irrinunciabile: far capire al ragazzo che al di fuori dell’aula e della scuola esiste tutto un mondo che va scoperto e che va vissuto, sapendo coglierne le opportunità e sfuggendone le negatività.

Come chiosa finale possiamo affermare che il punto iniziale, quello in grado di far scoccare la scintilla necessaria per un proficuo processo di crescita personale e culturale è il riconoscimento della dignità di ognuno. Non bisogna, però, dimenticare che far sprigionare una scintilla è facile, bastano due sassi o due pezzetti di ferro, il problema nasce quando, con quella scintilla, si vuole accendere un fuoco.

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