Formazione o addestramento?

Formazione o addestramento?

24 Ottobre 2019 0 Di giuseppe perpiglia

Sulla situazione alquanto problematica del nostro sistema di istruzione abbiamo detto in altro articolo. Adesso si vuole porre l’attenzione su un altro punto critico, su un’altra falla del nostro sistema educativo: la dispersione scolastica.

Anche in questo campo l’Italia è lontana dagli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Per il 2020, infatti, era stato fissato l’obiettivo di non superare il 10% di dispersione scolastica.

Quando parliamo di dispersione scolastica a tutti viene subito in mente lo studente che abbandona la scuola prima del raggiungimento del traguardo del diploma. Questa è nota come dispersione esplicita. Accanto a questa, però, esiste anche una dispersione implicita. In questo caso lo studente arriva a conseguire il diploma, ma solo formalmente. Infatti, manca degli strumenti culturali per sostanziarlo. Non ha raggiunto, cioè, i traguardi minimi di competenza previsti dal relativo percorso di studio.

Secondo l’Invalsi, in Italia nel 2019, questi studenti sono stati il 7% di tutti i diplomati. Il tasso dispersione esplicita, invece, si attesta, sempre secondo l’Invalsi e sempre nel 2019, al 14% che, sommato al dato precedente, porta l’indice totale di dispersione a superare la ragguardevole cifra del 20%, 1 studente su 5!

Anche sotto questo particolare punto di vista l’Italia si presenta molto divisa. Infatti, mentre in Veneto e nella provincia autonoma di Trento riescono a contenere tale indice totale al di sotto o molto vicino al 10%, il Centro-Nord fa registrare un valore che oscilla tra il 15% ed il 20%, mentre nel Mezzogiorno tale indice tocca punte del 37%! Il record negativo spetta alla Sardegna con il 37,4%, seguita a ruota dalla Sicilia con il 37%, mentre la Calabria e la Campania si attestano, rispettivamente, al 33,1% ed al 31,9%.

I dati riportati stanno a significare che nel Mezzogiorno 1 studente su 3 non possiede le competenze di base che gli permetterebbero di comprendere un testo o di effettuare semplici calcoli. Questa situazione, già di per sé molto grave, diventa ancora più difficile in quanto, con una tale situazione culturale, il giovane non riesce a godere dell’esercizio del diritto di cittadinanza come viene modernamente inteso. Il che significa che la scuola viene meno ad un preciso dettato costituzionale.

La scaturigine del problema appena esposto è molto semplice. Essa è da ricercare, infatti, nell’immobilismo di una larga parte della classe docente pervicacemente ostinata nel rimanere ancorata al “si è sempre fatto così”. Il mondo cambia sempre più in fretta, per cui bisogna essere allenati per adeguarsi a tali cambiamenti e, magari, prevenirli. Bisogna aggiornarsi altrimenti si viene lasciati indietro dalla storia. In un mondo caratterizzato dalla velocità, e spesso anche dalla volubilità, non si possono martirizzare gli alunni con cinque ore di lezione frontale. Quanti di noi si sono sentiti quanto meno annoiati nel seguire un corso di aggiornamento o in una qualche altra riunione già dopo meno di un’ora. E con un grado di attenzione vicino allo zero.

Bisogna avere il coraggio di cercare e percorrere nuove strade. Bisogna che il docente prenda consapevolezza dei suoi limiti e cominci a vedere ed a percepire cosa interessa ai ragazzi, e con quali tempi essi vivono e si aspettano di agire. Nelle scuole si attua una miriade di progetti. Alcuni, però, sono fatti dai docenti per i docenti e sono da evitare nel modo più assoluto. Ma quei progetti pensati, programmati e realizzati per e con i ragazzi quante soddisfazioni hanno dato? Ognuno di voi che mi sta leggendo provi a fare mente locale e converrà che questa è la strada da seguire. In una classe motivata e coinvolta con professionale intelligenza il pierino di turno non troverà spazio per le sue birichinate, ma si adeguerà al ritmo del resto della classe per non rimanere indietro, isolato e perché si divertirà, sarà gratificato dal fatto che le sue qualità ed i suoi talenti vengono apprezzati.

In una classe così attivamente intesa nessuno vorrà rimanere indietro, al contrario ognuno si impegnerà sempre più perché avrà un riscontro positivo al suo impegno il che rappresenta l’innesco di un circolo virtuoso. Si tratta, in ultima analisi di una ricerca di senso. Ed in questa ricerca un grande aiuto è rappresentato dai compiti di realtà. La loro valenza è molteplice. Essi, infatti, quando correttamente proposti e progettati, vanno incontro all’esigenza dei ragazzi di dare un senso al loro fare. Altro dato positivo da non trascurare è che possono rappresentare un’apertura efficace della scuola al territorio innescando, magari, una contaminazione reciproca utile ad entrambi.

È ben difficile che un ragazzo della scuola primaria o secondaria di primo grado sia già così maturo da cogliere a fondo l’importanza dello studio nella sua formazione e nel suo processo di crescita personale. Qualcuno, molto raro, studia per il solo piacere di acquisire nuove conoscenze. La massa studia, quando lo fa, per un fine molto più terra terra. C’è chi, infatti, si applica per far contenti i genitori, chi per primeggiare, chi, ancora, perché non ha la forza di dissentire da quanto gli viene richiesto. Tutti, in genere, studiano per il voto o per l’obiettivo altrettanto immediato del conseguimento dell’accesso alla classe successiva o del tanto fantasticato diploma. Se i docenti accondiscendono a tali comportamenti, se i docenti con il loro fare non contrastano tali atteggiamenti, continueremo a ritrovarci alunni esplicitamente ed implicitamente dispersi in numero non accettabile. Il docente, sia dai primissimi anni di scuola, deve focalizzare la sua attenzione ed i suoi sforzi, non certo sulle conoscenze, bensì sulle competenze. E lo deve fare non in modo formale, tanto per mettere a posto le carte, ma in modo sostanziale.


I dati sulla dispersione scolastica implicita ci danno due conferme e una smentita. Ci confermano che la buona didattica non può e non deve essere orientata al raggiungimento di un obiettivo esterno, come un esame, un compito o uno specifico colloquio. La didattica deve essere intesa, usando le parole di Italo Fiorin, «come scienza e arte della relazione tra insegnamento e apprendimento all’interno di un contesto, deve orientare gli alunni verso il proprio successo formativo, tenendo conto delle particolarità, passioni e inclinazioni di tutti gli alunni». Evidentemente questo obiettivo è irraggiungibile con la lezione frontale. I dati presentati sono anche la conferma che è possibile promuovere un apprendimento significativo e di qualità, ma bisogna avere il coraggio di innovare, cambiare e crescere: la prova sono i dati del Trentino e del Veneto e in generale del nord Italia, che mostrano risultati positivi e che confermano che una scuola migliore è veramente possibile.

I dati, al contrario, smentiscono l’idea che una scuola normativa, trasmissiva e contenutistica sia la strada migliore per il successo formativo. Imparare a memoria forse aiuterà i nostri studenti a superare l’esame, ma poi questo risultato, sarà di qualche utilità per i nostri ragazzi?

Oggi la scuola non può più limitarsi a dare solo conoscenze, deve soltanto limitarsi a proporre quelle conoscenze che sono ritenute strumentali all’acquisizione delle competenze programmate. E, vista la dinamicità che caratterizza questo nostro mondo, la competenza più importante, irrinunciabile, diventa imparare ad imparare, cioè l’acquisizione di un metodo di studio efficace che lo studente, prima, ed il lavoratore, dopo, possa utilizzare in ogni campo.

Bisogna abbandonare, una volta per tutte, la tendenza all’ammaestramento!  Si ammaestrano i ragazzi per le prove Invalsi, per l’esame di licenza media, per l’esame di Stato con il solo risultato che, dopo poco tempo, dimenticano tutto e non hanno neanche le competenze per acquisire cultura in modo autonomo.

Ed ancora una volta il nostro sistema scolastico, non potendolo definire di istruzione, rimarrà in fondo alle classifiche europee per inefficienza. Ed ancora una volta ci ritroveremo ad avere una classe docente sempre più demotivata il cui impegno maggiore sarà quello di combattere bulli e cyber bulli.

In questo auspicato risveglio diventa necessaria ed imprescindibile la vicinanza della famiglia e della politica perché quella attuale è una società sempre più connessa, e non solo nel senso informatico; una società in cui acquistano valore preminente le relazioni inter-personali ed inter-istituzionali. In loro assenza diventa tutto oltremodo difficile e, probabilmente, destinato all’insuccesso. E questo non ce lo possiamo più permettere.

 

 

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