Il sistema istruzione in Italia oggi

Il sistema istruzione in Italia oggi

14 Ottobre 2019 0 Di giuseppe perpiglia

L’OCSE –Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico– è un’organizzazione che si è dato il compito di effettuare studi economici per i Paesi membri. La sua missione è la promozione, a livello globale, di politiche che migliorino il benessere economico e sociale dei cittadini.

I membri dell’OCSE sono 35 Paesi sviluppati che condividono un’economia di mercato. L’organizzazione ha sede a Parigi.

Nel suo ultimo rapporto “Uno sguardo sull’istruzione 2019”, l’OCSE disegna un’Italia in chiaroscuro, infatti, il rapporto mette in evidenza luci ed ombre del nostro sistema di istruzione illustrandone la situazione attuale.

L’OCSE è l’organizzazione promotrice, tra le tante altre cose, dell’indagine P.I.S.A. (Programme for International Student Assessment) che è un’indagine internazionale svolta con periodicità triennale per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati.

Ma ritorniamo al rapporto già citato.

Il dato che colpisce maggiormente non è tanto l’aumento dei giovani laureati, quanto l’aumento dei cosiddetti neet, acronimo inglese (not in education, employment or training). Tale sigla sta ad indicare quei giovani tra i 19 ed i 24 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in attività di formazione o di tirocinio.

Tale sigla è stata usata per la prima volta nel luglio 1999 in un report della Social Exclusion Unit del governo del Regno Unito, come termine di classificazione per una particolare fascia di popolazione. In seguito, l’utilizzo del termine si è diffuso in altri contesti nazionali, a volte con lievi modifiche della fascia di riferimento: in Italia, ad esempio, l’utilizzo di né-né (i neet sono stati cosi ribattezzati in Italia) come indicatore statistico si riferisce, in particolare, a una fascia anagrafica più ampia, la cui età è compresa tra i 15 e i 29 anni, anche se in alcuni usi viene ampliato per i giovani fino a 35 anni, se ancora coabitanti con i genitori.

Altro dato su cui riflettere è il livello di istruzione più elevato delle donne rispetto ai maschi, con il 34% di laureate rispetto al 28% di maschi. Le donne, però, percepiscono, in media, uno stipendio inferiore del 30% rispetto ai colleghi a parità di titolo di studio.

L’incremento dei giovani laureati, per quanto sia un dato oggettivamente positivo, non basta a togliere l’Italia dalle ultime posizioni per quanto riguarda l’istruzione terziaria. Infatti, la nostra nazione vanta, si fa per dire, una percentuale di laureati nella fascia di età dai 25 ai 64 anni pari al 19% contro una media dei Paesi OCSE del 37%, praticamene la metà.

Anche sul fronte del lavoro, le cose non sono certo positive se il tasso di occupazione tra i laureati di età compresa tra i 25 ed i 34 anni è solo del 67%. Fra questi i più fortunati sono i laureati in discipline tecnico-scientifiche.

L’ultimo dato, che probabilmente spiega, almeno in parte, tutti gli altri, riguarda gli investimenti nell’istruzione pubblica. In questa particolare classifica l’Italia occupa l’ultimo posto, tra i Paesi membri dell’OCSE, con una spesa pari al 3,6% del PIL, inferiore di ben 5 punti rispetto alla media degli altri membri dell’organizzazione. Come se non bastasse, le risorse dedicate all’istruzione dei nostri ragazzi, nel periodo compreso tra il 2010 ed il 2016, ha fatto registrare un decremento del 9%.

Dalla semplice lettura dei dati appena esposti è facile capire come mai siamo costretti ad importare know how dall’estero. Per inciso, per know how si intende il complesso delle conoscenze e delle esperienze per un corretto ed efficace impiego della tecnologia disponibile.

Il nostro sistema di istruzione è poco efficace nel fornire ai giovani gli strumenti necessari, le competenze adeguate per inserirsi a pieno titolo nel mondo del lavoro e per far sì che l’Italia possa occupare adeguatamente il posto che le spetta nello scenario mondiale. E sì che le capacità non ci mancano, basti pensare a quante belle intelligenze sono costrette ad emigrare per inseguire i loro sogni nel campo della ricerca e delle nuove acquisizioni.

E ritorniamo, lo si voglia o meno, a dover parlare di una classe politica sempre più lontana dai cittadini, sempre più lontana dalla realtà perché sempre più impegnata nei suoi beceri giochini di potere. Le loro (finte) battaglie di principio in realtà tendono a coprire un vuoto di idee imbarazzante perché non poggiano su visioni, quanto si vuole, diverse per una società che sia diversamente migliore, ma sono finalizzate soltanto all’acquisizione di una manciata di voti in più che ha il solo effetto, effimero e passeggero, di assegnare una maggioranza relativa ad un partito piuttosto che ad un altro. Per la nazione, visti i risultati di questi ultimi anni, cambia ben poco.

L’unica via di uscita è una rivoluzione, un cambiamento di comportamenti e di atteggiamenti che nasca dal basso. Una rivoluzione che sia finalizzata, ad esempio, a lasciare che i vecchi elefanti della politica si avviino mestamente verso il cimitero della dimenticanza e del loro disimpegno politico per il bene di tutti. Nel contempo, però, bisogna che la comunità, ogni singolo cittadino, abbia un adeguato spirito critico e discernimento per dare la propria fiducia e la propria preferenza elettorale a coloro che dimostrano di avere idee razionali e lungimiranti, a quelle persone che hanno una visione ben precisa, come risultato di una riflessione profonda e vissuta, a quelle persone che sono in grado di mettere in gioco le loro convinzioni ed eventualmente a cambiarle in seguito ad un confronto collaborativo con l’altro.

Ed in questo sommovimento la scuola deve essere soggetto trainante, avvalendosi nella sua opera rivoluzionaria di altri soggetti credibili, in primis il volontariato, quello vero.

Dalla collaborazione tra realtà serie e motivate non può se non nascere una nuova era di pace, di inclusione vera e di prosperità per tutti. Un’epoca in cui la politica sia effettivamente al servizio della comunità e non di sé stessa.