Affettività & C

Affettività & C

27 Settembre 2019 0 Di giuseppe perpiglia

Le tecnologie moderne, con le loro stupefacenti realizzazioni e prospettive, favoriscono nell’uomo contemporaneo un sentimento di hubris, cioè di tracotante insolenza, di onnipotenza che in realtà è, però, mal riposto.

«Non si comanda alla natura se non obbedendole» affermava sir Francis Bacon, ma l’uomo moderno vorrebbe assoggettare la natura i suoi scopi, riconducibili al solo profitto. E stiamo cominciando a vederne i tragici frutti.

La saggezza, infatti, imporrebbe di accettare i limiti della condizione umana anche nella società tecnologica di oggi, e questo sia in termini personali che di possibilità consentite complessivamente ad una umanità che ha superato livelli demografici impensabili soltanto un secolo fa e che con i suoi comportamenti rischia di compromettere gli equilibri dell’ambiente e dei fenomeni naturali. È in gioco qui il problema generale che consiste nel “porsi dei limiti” in funzione dei valori in cui si crede, vale a dire dei limiti di carattere etico.

L’uomo moderno dovrebbe dare compimento contingente alla virtù della speranza, assumendosi responsabilmente questo compito. Una speranza con piedi ben saldi nella realtà contingente e alimentata da comportamenti virtuosi messi in atto quotidianamente. Non serve, infatti, il buonismo del gesto, ma la bontà della pratica esperita ogni giorno, con costanza e fiducia nell’altro.

La società moderna deve riscoprire il valore della coesione sociale. E la coesione di un sistema sociale si fonda sulla ricchezza e sulla qualità delle relazioni dirette fra gli individui, relazioni che a loro volta poggiano sulla logica del dono e dell’onore, ovvero sul triplo obbligo antichissimo del dare, del ricevere e del ricambiare.

Nel tempo in cui le macchine fanno tutto il ‘possibile’ all’uomo non resta che fare l’impossibile: costruire alleanze e percorsi virtuosi inediti, chiedere, cercare, approfondire, confrontarsi, sbagliare, studiare. Ma questo costa fatica, costa il metterci la faccia, costa applicazione continua. Si tratta di effettuare una scelta coraggiosa, ma ricca di conseguenze positive. Ed ogni scelta è come un salto: ti spaventa, lo rimandi, ma se ti butti è libertà.

Oggi, invece, assistiamo allo smontaggio delle vite, all’estirpazione delle radici, al disfacimento delle tradizioni. E questo favorisce l’instaurarsi dell’intolleranza, cavallo di battaglia di politici dal fiato corto.

L’adolescenza è molto incline al gesto di sfida ed alla trasgressione. Tale propensione va colta per far sì che i giovani possano andare oltre il presente e muoversi verso il futuro con idee nuove, idee che siano per loro gratificanti e in grado di dare senso di pienezza della vita. È sicuramente un atteggiamento intriso di profonda ipocrisia il mettere avanti i giovani dicendo che essi rappresentano il nostro futuro: i giovani devono rappresentare e costruire il loro di futuro. Se continuiamo a pensare che un giovane sia educato solo se ci rassomiglia, allora vuol dire che vogliamo dei giovani che siano la nostra fotocopia, che vogliamo una società fossilizzata sui nostri valori. Non abbiamo abbastanza apertura mentale per pensare a valori altri, comunque positivi ed in grado di portare all’affermazione positiva della persona.

L’importante è che, come i bambini, occorre ‘diventare’ non ‘rimanere’, occorre, cioè, trovare la fiducia complessiva nella vita, tipica dell’infanzia, all’interno della criticità adulta e con gli strumenti della criticità adulta.

Diventa invero difficoltoso modificare atteggiamenti e comportamenti sedimentati in una vita intera. La nostra attenzione deve basarsi, invece, primariamente sulle nuove generazioni per far nascere in loro il rispetto dei limiti ed il rispetto della natura, anche quella umana. Ma bisogna fare molta attenzione perché l’adolescenza è una stagione contraddittoria, infatti, si coltivano i sogni più belli ed insieme ci si sveglia alla dura realtà della vita.

Compito molto importante è quello del docente. Ricordando la frase di sir Francis Bacon prima citata, se il docente vuole “comandare” sulla natura dell’alunno-persona, piegandolo sulla propria concezione della vita, farebbe solo un grave danno allo studente, a sé stesso ed alla comunità. Egli, invece, non deve fare altro se non assecondare e fare emergere le inclinazioni del ragazzo, aiutando lo studente a portarle a compimento sviluppandole a pieno.

Per fare ciò, il docente dovrebbe guardare l’alunno con due modalità opposte che si completano a vicenda. In modo analitico per coglierne tutte le caratteristiche peculiari ed in modo olistico per coglierne l’originalità dell’insieme, che ne fa un individuo unico ed irripetibile. Troppo facile parlare di bullismo e stigmatizzare le condotte devianti di questi ragazzi senza interrogarci su quanto facciamo noi per prevenire queste situazioni e, soprattutto, quanto siamo in grado di intercettare le invocazioni di aiuto che arrivano da questi giovani. Per sconfiggere la cosiddetta cultura del bullismo dobbiamo dare opportunità autentiche ai ragazzi in difficoltà. Non serve puntare il dito e alimentare tensioni e paura, ma mettersi al loro fianco. Un ragazzo che non avverte questa fiducia, fa molta fatica ad avere uno sguardo positivo su sé stesso.

E quindi? «Quindi rivediamo il mondo della scuola, ma anche la politica e l’economia, che dovrebbe dare opportunità autentiche di lavoro, con un impegno serio nella formazione. Servono percorsi innovativi, coraggiosi, su un piano di reciproco rispetto. Loro per la nostra cultura. E noi per la loro.

Una piccola attenzione fa molto di più di tante belle parole.

La condivisione non è la semplice giustapposizione di singole azioni, ma piuttosto la capacità di costruire interconnessioni creative ed innovative in tutte le fasi previste, dalla progettazione alla programmazione ed all’attività operativa.

La nostra società porta ad avere molte esigenze, è una società che crea bisogni fittizi, ma possiede di più chi ha meno esigenze, per cui aiutiamo i ragazzi a crearsi meno esigenze possibili, fornendo loro uno spirito critico ed in grado di discernere il grano dalla pula.

Ma avere spirito critico vuol dire anche porsi delle domande e solo chi si fa domande trova risposte. Quelle che dava la scuola nozionistica erano risposte non richieste a domande non poste. Continuare in un simile, inefficace, atteggiamento vuol dire non iniziare nessun percorso di insegnamento-apprendimento ma solo riempire le giornate scolastiche con attività che non hanno nessuno slancio verso il futuro e che non sono certo strumentali alla crescita culturale e personale di ragazzi e docenti.