
Effetto Dunning-Kruger
Qualche giorno addietro, mentre ero in farmacia ed aspettavo il mio turno per essere servito, mi è capitato di sentire una signora che ha tenuto, con tono saccente ed arrogantemente sicuro, una filippica per non so bene quale, presunto, problema. Era chiaro, comunque, che discettava su argomenti che non conosceva a fondo data la palese superficialità delle sue affermazioni.
Quando è arrivato il mio turno, abbiamo commentato l’accaduto con il giovane farmacista. Un ragazzo arguto e preparato nel suo campo, rispettoso dei ruoli, incline alle relazioni umane ed educato nei modi. Insomma, un bravo ragazzo ed un bravo professionista.
Tra le altre cose, mi ha accennato all’effetto Dunning-Kruger. È stata la prima volta che ho sentito tale termine e la cosa mi ha incuriosito per cui, appena tornato a casa, sono corso al computer ed ho fatto una ricerca sull’argomento. Ed oggi sono con voi a condividere le mie riflessioni e le mie, poche, acquisizioni. Tale scelta è dettata dalla costatazione che l’effetto Dunning-Kruger assume una rilevante importanza anche nel processo educativo.
Questo effetto è, oggi, particolarmente in auge anche grazie a quella cassa di risonanza molto efficace e pervasiva che è la rete con tutti i social da essa supportati.
Da che mondo è mondo è sempre esistita la categoria del ciuccio e presuntuoso, scusate il vernacolo. Si tratta di quella categoria di persone che, pur non essendo esperte in una qualche materia, o forse proprio per questo, si atteggiano a sapienti. È una categoria che oggi sta vivendo il suo periodo di massima gloria. Dagli schermi televisivi, infatti, siamo sommersi da una falange di tuttologi che pontificano su tutto e su tutti. Fanno affermazioni banali tentando di farle passare per verità inconfutabili ed indiscutibili. Nel caso in cui qualcuno ha l’ardire di confutare le loro affermazioni, mai suffragate da fatti o da dati, gli si scagliano contro mettendone in discussione la credibilità e l’autorevolezza, relegandolo, in tal modo, in una posizione scomoda e sgradevole.
A volte, ancora peggio, sostengono tesi che non stanno né in cielo né in terra e che hanno l’unica finalità di farli sentire vivi perché sono sui mass media o sui social. Ah, benedetta società dell’apparire!
Rappresentano l’antitesi dell’aforisma socratico so di non sapere. Questa pericolosa categoria è oggi presente, e con numerosi adepti, anche nella politica.
Il politico ha sempre avuto la necessità di vendersi, e di vendersi bene, in tutti i sensi, per cui ha dovuto comportarsi da efficace imbonitore delle folle, dimostrando sapienze e sicurezza, caratteristiche di cui non sempre è fornito.
E spesso ha finito per crede alle sue stesse bugie, autoconvincendosi di essere esperto in cose che non conosce.
Esiste, inoltre, un’altra categoria di persone, esperte e preparate nel rispettivo campo, che presenta anch’essa una percezione erronea delle proprie competenze avendo scarsa fiducia in sé stessa e nel proprio valore.
La consapevolezza dell’esistenza di questo fenomeno ha, da sempre, accompagnato la storia dell’uomo. Shakespeare nel suo lavoro Come vi pare scrive: «Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio». Charles Darwin, il padre della teoria dell’evoluzione, affermava: «L’ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza». Bertrand Russel, filosofo inglese, scrisse: «La causa fondamentale dei problemi è che nel mondo moderno gli stupidi sono sicuri di sé mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi”. Tutte queste grandi menti avevano la consapevolezza dei loro limiti, la una consapevolezza di non sapere abbastanza. Avevano, cioè, la consapevolezza di una conoscenza non definitiva e questa limitatezza era, per loro e per tutti, la molla che alimentava il desiderio di conoscere sempre più e sempre meglio. Secondo costoro, più ci si addentra nello studio e nella conoscenza, più ci si rende conto delle infinite ramificazioni del sapere. La conoscenza è un fenomeno in divenire che non può mai dirsi compiuto.
La descrizione scientifica di questo effetto di errata valutazione delle proprie capacità e competenze fu proposta solo nel 1999 e prese il nome dai due studiosi che la proposero, David Dunning e Justin Kruger. Oggi, infatti, tale effetto è noto in tutto il mondo come effetto Dunning-Kruger. Basandosi su esperimenti e su ricerche condotti sugli studenti della Cornell University, Dunning e Kruger ipotizzarono che, per una data competenza, le persone poco esperte:
- Tendono a sovrastimare il proprio livello di abilità;
- Non si rendono conto dell’effettiva capacità degli altri;
- Non si rendono conto delle proprie inadeguatezze;
- Sono in grado di prendere consapevolezza delle proprie mancanze solo nel caso in cui venissero adeguatamente formate su quella determinata attività.
Esistono, di converso, persone sicuramente più esperte e preparate di altre, che tendono a sottovalutare le proprie competenze. Queste persone, trovando facili le domande ed i problemi che vengono loro sottoposti, sono propensi a credere che tali domande e tali problemi siano facili anche per gli altri.
L’effetto Dunning-Kruger è dovuto ad un corto circuito mentale che condanna l’incompetente a non accorgersi della propria incompetenza. Già il faraone Akhenaton, nel XIV secolo avanti Cristo, affermava: «Il folle è ostinato e non ha dubbi. Conosce tutto tranne la propria ignoranza». In effetti, all’ignoranza spesso si accompagna la supponenza e gli incompetenti nutrono una fiducia incondizionata nelle proprie capacità, ignorandone i limiti. Tale effetto tende a sparire con un’adeguata preparazione.
Per illustrare graficamente l’affermazione appena fatta e l’evoluzione nel tempo dell’effetto di Dunning-Kruger, è stato stilato un grafico che porta in ascisse le competenze e nelle ordinate la fiducia nelle proprie capacità.
Il nodo della questione è che i meno esperti, sicuri dei loro mezzi, non sentono affatto il bisogno di approfondire le rispettive conoscenze.
Nel caso in cui si trovino a dialogare, l’esperto ed il meno esperto lo faranno su due livelli ben distinti. Infatti, mentre gli esperti entrano nel merito, quelli meno esperti, forti delle loro (illusorie) certezze, attaccano e tentano di minare la loro attendibilità e la loro rispettabilità.
Il rovescio della medaglia rispetto alla sicurezza dovuta e bassata sull’ignoranza, a cui per altro ho già accennato, riguarda l’insicurezza delle persone più esperte. Queste, infatti, sono propense a sottostimare le proprie abilità e competenze. In questo caso si parla di sindrome dell’impostore. Tali individui, infatti, si sentono sempre nella condizione di usurpare il ruolo che ricoprono perché non si sentono di essere all’altezza.
Ma a cosa sono dovuti questi due effetti? Quale è la loro causa?
Si tratta di un bias cognitivo, cioè la distorsione della capacità di valutare e di valutarsi in modo razionale e realistico. Questo comporta il ricorso a meccanismi frettolosi e basati su pregiudizi, fraintendimenti o dati inadeguati. I bias cognitivi sono automatismi che ci portano a prendere decisioni frettolose e che non richiedono fatica. Tutti noi usiamo, per non essere sopraffatti dalla complessità sempre maggiore della vita moderna, dei procedimenti mentali intuitivi e sbrigativi che ci permettono di farci un’idea senza dedicare molto tempo al ragionamento ed alla riflessione. Questi procedimenti, in generale, prendono il nome di euristiche. Ebbene, i bias sono euristiche inefficaci, vicoli ciechi nei quali ci addentriamo fino a sbattere contro il muro del non senso.
Dopo tutte queste parole, qualcuno tra quelli che hanno avuto la pazienza e la bontà di leggere fin qui potrebbe chiedersi cosa tutto questo abbia a che fare con la scuola e la didattica. È presto detto. Due sono le mete da raggiungere, le mete che un docente che abbia voglia di fare il suo lavoro fino in fondo, deve porsi: l’amore per lo studio ed un corretto e razionale modo di valutare sé stessi e gli altri.
L’amore per lo studio, la voglia di conoscere e di apprendere sempre cose nuove presuppone la consapevolezza dei propri limiti, la limitatezza delle nostre conoscenze e la sempre più sconfinata grandezza dello scibile, per quanto tentiamo di arginarla occupandoci di argomenti e di tematiche più o meno specialistici.
Per quanto riguarda la competenza del valutare sé stessi, gli altri e, in generale, la realtà che ci circonda è, senza dubbio, una competenza complessa e trasversale. Complessa perché rende necessario possedere altre competenze. Valutare, infatti, vuol dire conoscere e saper leggere il contesto perché elemento necessario, ma non sempre sufficiente, di ogni valutazione. Prima di valutare è necessario conoscere bene il contesto in cui l’oggetto della nostra valutazione è inserito. Semplicemente, è inimmaginabile effettuare una valutazione estraniandosi dal contesto.
Le attività umane hanno significato e valenza diversi in contesti diversi. Valutare, ancora, vuol dire dare valore, il che, a sua volta, richiede avere una propria scala di valori entro cui collocare l’oggetto della valutazione. La semplice conseguenza è che, per portare i ragazzi a valutare in maniera efficace, dobbiamo, come insegnanti e come adulti, mettere i ragazzi in condizione di acquisire una scala i valori adeguata. Dovremmo dar loro la possibilità di apprezzare valori universali e universalmente condivisi e creare le condizioni più opportune affinché li acquisiscono e li facciano propri.
Promuovere nei ragazzi la capacità di valutare in maniera corretta ed oggettiva il proprio lavoro e le proprie attività, inoltre, farebbe diminuire drasticamente la frequenza di contrasti con i genitori, spesso ossessionati dal voto del proprio figlio.
Il saper valutare, ancora, richiede spirito critico, caratteristica, anche questa, trasversale ed utile, e non solo all’interno dell’aula.
Combattere l’effetto Dunning-Kruger o la sindrome dell’impostore quanto prima possibile dovrebbe essere componente integrante degli obiettivi di ogni istituzione scolastica e di ogni docente per la grande valenza di tale finalità
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