L’educazione alla cittadinanza

L’educazione alla cittadinanza

19 Agosto 2019 0 Di giuseppe perpiglia

L’educazione alla cittadinanza è legge! Ed anche questa è fatta! Un altro tassello è stato aggiunto ad un puzzle senza fine. Ma soprattutto senza finalità ben precise, senza un obiettivo razionale, senza costrutto, senza condivisione di un progetto comune, senza una visione.

Questa vicenda, per molti versi ben triste, dovrebbe far riflettere chi lavora nel mondo della scuola. Infatti, finalità della scuola pubblica, del sistema scolastico italiano, dovrebbe essere quello di formare cittadini bene inseriti nel contesto sociale e civile. È, questa, una finalità scritta nella nostra Costituzione all’art. 2 (“… doveri inderogabili della solidarietà politica, economica e sociale…”), nell’art. 3 (“… pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese…”) per concludere con l’art. 4 (“… ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società…”).

Il sistema nazionale di istruzione e formazione ha fatto registrare una grave involuzione tralasciando, o non potenziando a dovere, le competenze sociali e civiche che oggi si tende a rivalutare, almeno formalmente, con la legge che riesuma l’educazione civica o educazione alla cittadinanza che dir si voglia.

Il sistema formativo, venendo meno alla sua missione primaria, complici anche i tempi, ha preferito puntare sulle conoscenze e sulle nozioni, provocando la perdita di senso del processo di formazione e facendo venir meno, anche, l’attenzione e la motivazione degli alunni.

Continuano, in tal modo, processi già in atto, non abbastanza stigmatizzati e non presi nella giusta considerazione. Mi riferisco al processo di delegittimazione della scuola ed al processo di delega, sempre più marcata, da parte della società e, ancor di più, da parte della famiglia. Quest’ultima, in particolare, sempre più spesso ed in modo sempre più marcato, ha abdicato al suo ruolo naturale, sociale e normativo. Basta ricordare, infatti, l’art. 30 della nostra Costituzione, vero vangelo laico che la società nella sua interezza dovrebbe avere come stella cometa, che recita testualmente: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio […]». Sono sempre più le coppie che, sostanzialmente anche se non formalmente, decidono di non avvalersi di tale diritto. Ma rimane pur sempre l’obbligo di adempiere ad uno specifico dovere. Come rovescio della medaglia, però, non tollerano nessuna, per quanto piccola e razionalmente necessaria, avversità che possa responsabilizzare i propri figli.

La colpa, o la responsabilità, però, non è solo della scuola e men che meno dei docenti. La responsabilità è più facile trovarla in una classe politica, la famigerata casta, sempre più lontana dalla corretta e razionale gestione della cosa pubblica e sempre più affaccendata a battibeccare su argomenti futili ed a gestire poltrone e centri di potere. Una classe politica che non parte più dalle esigenze dei cittadini e del Paese al fine di perseguirne il miglioramento. Una classe politica incapace di guardare lontano focalizzando la sua attenzione sul contingente e sull’immediato senza nessun anelito verso il futuro.

Una classe politica che dimostra un orizzonte temporale e culturale che non va oltre una serie molto ristretta di interessi immanentemente tangibili e che non è capace di percepire il giusto significato del termine investimento.

La scuola e l’istruzione, nel so significato più ampio, dovrebbero essere intese come investimenti a lungo termine, come affermato in altro articolo (A fondo perduto) perché i risultati del lavoro della scuola si vedono nel tempo e non certo nell’immediato.

Ed è proprio questa caratteristica che dovrebbe far capire a chi ci amministra che le politiche circa la scuola devono essere politiche di largo respiro. Politiche bipartisan e slegate dagli interessi di parte e di partito che nascono, e muoiono, nell’oggi.

A parte tutte le considerazioni che è possibile fare, rimane il dato di fatto. Il 2 agosto 2019 è stato approvato il Decreto di Legge n. 1264 che reca Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica. Il dettato normativo si compone di 13 articoli. Il ministro Bussetti ha salutato l’evento affermando «Oggi è una giornata storica!». A quanto sembra si accontenta di poco, o si autoincensa.

In base a quanto sopra affermato, sono convinto che ogni docente, per reputarsi tale, deve aiutare il ragazzo a diventare, in un domani molto prossimo, un buon cittadino, non deve limitarsi a riempire delle teste, reputate vuote, con le sole conoscenze o con fatue nozioni. Per tali finalità la rete è molto meglio attrezzata e molto più efficace di qualsivoglia istituzione scolastica.

Ma vediamo un po’ da vicino cosa dice questo tanto decantato decreto.

Per quanto riguarda i contenuti non propone niente di rivoluzionario. È, infatti, chiaramente detto, all’art. 3, che i traguardi di sviluppo delle competenze e gli obiettivi specifici di apprendimento devono essere coerenti “con le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’Infanzia e del primo ciclo di istruzione, nonché con il documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari, ed anche con le indicazioni nazionali per i licei e le linee guida per gli istituti tecnici e professionali vigenti”.

Nell’art. 1, oltre a principi di portata generale, c’è un implicito richiamo all’agenda ONU 2030, in special modo quando si parla di sviluppo sostenibile. L’agenda 2030 è, inoltre, esplicitamente richiamata al punto b) del comma 1 dell’art. 3.

A proposito dei principi di legalità, della cittadinanza attiva e del diritto alla salute, si tratta di principi che il volontariato del dono, e l’Avis in particolare, propugnano da decenni, per cui le associazioni che perseguono il fine del dono potrebbero rivelarsi risorse importanti in tale ambito.

All’art. 2, comma 1, viene specificato, puntualizzazione pressoché inutile data la sua ovvietà, che l’insegnamento dell’educazione civica deve essere un insegnamento trasversale. Il successivo comma 3 dello stesso articolo dà qualche nota operativa. L’insegnamento dell’educazione civica deve essere previsto nel curricolo di istituto per non meno di 33 ore annuali, pari ad un’ora settimanale. Per adeguare il curricolo ci si può avvalere della quota dell’autonomia. Il comma 4 indica i soggetti che dovranno erogare tale insegnamento. Nelle scuole del primo ciclo l’insegnamento dell’educazione civica sarà affidato in contitolarità ai docenti della classe sulla base del curricolo, utilizzando le risorse dell’organico dell’autonomia. Nelle scuole del secondo ciclo l’insegnamento sarà affidato ai docenti abilitati all’insegnamento di discipline giuridiche ed economiche, se disponibili. Il comma 5 specifica che, tra i docenti della classe a cui è affidato l’insegnamento di educazione civica, deve essere individuato un coordinatore. E qui cominciano le critiche.

La parcellizzazione dell’insegnamento è facile che porti alla deresponsabilizzazione, un po’ come è avvenuto con l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione. E poi, come dovrebbe essere messa in pratica tale contitolarità? Una settimana ne parla un docente la settimana successiva un altro? Bisognerebbe stilare una specie di sub-orario su cadenza mensile? Oppure i contitolari erogano il loro contributo in frazioni di ora? E nelle scuole secondarie, nel caso in cui non siano disponibili docenti abilitati all’insegnamento di discipline giuridiche ed economiche, a chi sarà demandato tale compito?

Il comma 6 specifica che l’insegnamento di educazione civica è oggetto di valutazioni periodiche e finali a carico del docente coordinatore, dopo aver acquisito elementi conoscitivi dai docenti contitolari. Si presuppone che nelle scuole del secondo ciclo, la valutazione, anche in questo caso in decimi?, sia affidata al solo docente titolare.

La grande indeterminatezza e la grande aleatorietà che caratterizzano e pervadono la fase relativa all’insegnamento ed alla valutazione, scompaiono, come d’incanto, nel comma 8. In questo comma, infatti, è scritto in modo chiaro ed inequivocabile che non vi deve essere alcun aggravio di organico, di ore di insegnamento e, quindi, di spesa. A diradare anche il benché minimo alone di dubbio, viene altresì aggiunto che nulla è previsto per il compito di coordinamento, fatte salve eventuali decisioni scaturite dalla contrattazione di istituto. Al solito, si vuole fare un bel matrimonio con i fichi secchi, anzi, questa volta, neanche con quelli.

In genere i vari governi che si sono succeduti, ed in particolare questo che è ormai pronto ad esalare l’ultimo respiro, sono sempre prodighi nell’elargire fondi per attività ed iniziative che possano portare un qualche vantaggio in termini di suffragi personali o almeno di partito. Hanno, però, il braccino corto quando si tratta di questioni importanti, questioni di largo respiro i cui risultati si vedranno nei tempi lunghi. È la società del contingente che vuole vedere subito i risultati del proprio fare, senza preoccuparsi di costruire un futuro migliore. La nostra classe politica non vuole recepire la differenza, profonda e netta, tra spesa ed investimento. Differenza molto importante in special modo in ambito di salute e di istruzione.

seconda parte