
Ancora sulle competenze
Il concetto di competenza è un concetto sfuggente ed in grado di assumere significati diversi a seconda da quale punto di vista lo si consideri. In questo articolo, basato su un lavoro del professore Andrea Porcarelli, cerco di mettere a fuoco alcune caratteristiche relative alle competenze personali. Di quelle competenze, cioè, che vanno oltre la semplice sfera delle conoscenze e delle abilità legate alle discipline.
Le diverse dimensioni delle competenze personali possono essere espunte dalla lettura attenta del profilo dello studente, atteso alla fine del primo e del secondo ciclo di istruzione.
Una competenza personale è tale se conferisce senso alla vita e permette al ragazzo di elaborare un progetto personale.
Quanto appena detto ci legittima ad affermare che è ben difficile standardizzare le competenze perché il senso della vita non è uniforme, uguale per tutti, non è possibile stabilirlo a monte, ma ogni individuo vede la vita a suo modo e la riempie di significati e di senso in base al suo vissuto ed alla sua struttura caratteriale. Alla stessa maniera ogni persona elabora, in modo altrettanto variabile e creativo, il proprio progetto personale. Diventa molto impegnativo per il docente capire e seguire ogni suo alunno nel rispettivo percorso di maturazione e di ricerca del senso della vita e di costruzione del suo progetto personale. Ma è una sfida che deve affrontare con serietà e dedizione, mettendo in pratica la dimensione etica dell’insegnamento. Il docente deve farne il suo senso di vita, almeno di quella lavorativa, ed il suo progetto personale, almeno nella sfera dedicata alla professione. In tal modo aumenterà la propria motivazione, ma anche la propria gratificazione ed autostima.
Il ragazzo che intraprende un percorso formativo con queste premesse deve essere aiutato a selezionare le conoscenze significative, ma anche a comprendere la complessità culturale. Deve essere guidato ad essere autonomo nell’effettuare collegamenti tra nozioni apparentemente slegate e distanti perché afferenti a discipline diverse per crearsi una propria cultura, cioè una cultura che rispecchi il suo essere unico ed irripetibile.
Questo porta lo studente ad essere capace di affrontare con una certa sicurezza problemi concreti e complessi e, nel contempo, lo mette in condizione di poterli risolvere o, comunque, di ipotizzare strategie risolutive.
Il termine problemi va inteso nella sua accezione più ampia di situazione problematica. Con questo voglio semplicemente dire che uno studente che possiede le caratteristiche appena elencate riesce ad ideare piani operativi adeguati e corredati di progetto e di programma.
Lo studioso, lo scienziato chiuso nella sua torre d’avorio, il genio solitario, è solo un retaggio del passato, un personaggio romantico che non ha cittadinanza nella società attuale. Oggi è necessario lavorare in team. Bisogna collaborare il che richiede il possesso di competenze sociali e civiche. Infatti, bisogna sapere interagire positivamente ed efficacemente con l’ambiente e con gli altri. Interagire con l’ambiente vuol dire saper leggere il presente per progettare il futuro. Saper leggere il presente per essere sempre a proprio agio in una società che cambia molto velocemente. Essere al passo con i tempi, però, vuol dire anche interagire in modo indiretto, per esempio lavorando ed assumendo atteggiamenti e comportamenti che vadano nella direzione di uno sviluppo sostenibile.
L’integrazione con gli altri, però, ha anche un altro risvolto. Essere disposto, quando serve o quando richiesto, non solo ad aiutare ma anche a chiedere aiuto. Non bisogna lasciarsi condizionare dall’orgoglio. Al contrario, bisogna essere consapevole dei propri limiti ed adoperarsi per superarli.
Interagire con gli altri vuol dire anche prendersi delle responsabilità, sia come singolo sia come componente di un gruppo. Vuol dire, inoltre, partecipare attivamente alla vita ed alle attività del gruppo. Questo a sua volta comporta la piena consapevolezza delle proprie capacità, dei propri punti di forza e dei propri punti di criticità, nonché delle proprie, eventuali, carenze.
Un simile atteggiamento rafforza la consapevolezza dell’utilità del lavoro collaborativo non solo come semplice scambio di favori, quasi un do ut des, un baratto di conoscenze, ma come momento empatico ed inclusivo in cui una persona incontra un’altra persona ed entrambe percorrono lo stesso tragitto in vista di uno stesso traguardo.
Essere parte di un gruppo e partecipare attivamente comporta il coinvolgimento nelle scelte del gruppo stesso. Ciò richiede conoscenza delle varie opzioni sul tappeto e, soprattutto, il diritto/dovere di esprimere le proprie posizioni ed i propri punti di vista. Tale atteggiamento ovviamente, non deve limitarsi a dire la propria in modo svogliatamente superficiale e distratto, giusto per poter affermare di aver partecipato. Le posizioni che si esprimono e che si mettono a disposizione del gruppo devono essere frutto di un serio lavoro di riflessione personale, devono essere criticamente vagliate, devono essere corredate da spiegazioni a favore così come da eventuali criticità. Non si deve trattare di una sfida a chi ha ragione e chi ha torto, al contrario ognuno deve portare il proprio contributo per costruire un lavoro unitario che deve arricchire, culturalmente e nella dimensione delle relazioni umane, il singolo ed ogni componente del gruppo.
Mettendo in pratica tali atteggiamenti e tali disponibilità d’animo si finisce con il coltivare, anche, finalità non necessariamente previste. Infatti, l’alunno, e non solo lui, matura il senso del vero e del bene, quindi il senso del bello. In tal modo si promuove e si potenzia il senso estetico della vita, cioè quel senso in grado di far sembrare tutto una sfida da affrontare e, perché no, da vivere sapendo di poter contare sull’aiuto del gruppo. Sapendo di non essere soli, di non essere una monade che vaga nell’universo, ma una persona in continua relazione con altre persone.