W la scuola unica!

W la scuola unica!

29 Luglio 2019 0 Di giuseppe perpiglia

17 marzo 1861 – Vittorio Emanuele II proclama l’unità d’Italia.

I vincitori si trovarono tra le mani una patata molto bollente. Numerosi erano i problemi da risolvere. Forse un solo popolo, ma sicuramente molte culture da mettere insieme. Non per niente venne pronunciata la famosa frase “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Questa frase, associata dai più a Massimo D’Azeglio, stava a significare che, per quanto l’Italia geograficamente e politicamente nel 1861 risultasse unita, in essa permanevano pur sempre culture, tradizioni e lingue molto diverse tra loro.

Nonostante si tratti di una frase espressa un secolo e mezzo fa, non è del tutto estranea al contesto attuale. Basti pensare alle rivalità che sono ancora presenti tra nord e sud nel nostro Paese. Il percorso dell’unità d’Italia, infatti, è tuttora in corso, gli anglosassoni direbbero in progress. Numerose ed enormi sono, infatti, le disuguaglianze che perdurano e che caratterizzano il nord ed il sud del Paese. Il diverso stato in cui versano le infrastrutture, ad esempio. Mentre al nord polemizzano se sia giusto o meno costruire la TAV verso la Francia per guadagnare una manciata di minuti su un percorso già abbastanza agevole, mentre altre linee ferroviarie veloci e numerose autostrade a tre o quattro corsie per ogni senso di marcia percorrono tutto il settentrione da oriente ad occidente e dall’altro in basso, almeno fino a Roma, al sud per fare qualche decina di chilometri ci si impiega ben più di un’ora, con una velocità reale che difficilmente supera i 40 Km/h. Strade strette, mal tenute e risalenti a tempi in cui le auto erano di gran lunga meno numerose di oggi. Sono ancora in auge ponti costruiti nel famigerato ventennio in cui bisogna transitare a senso unico alternato datasi la loro limitata larghezza.

E, se possibile, la situazione è ancora peggiore se si guarda ai collegamenti stradali, ferroviari ed aerei con il resto del Paese. Ci stanno lentamente ma inesorabilmente trasformando in un’enclave mal sopportata.

Ed i nostri baldi politici cosa fanno?

Vogliono, non già tentare di unire la nazione promuovendo servizi simili su tutto il territorio nazionale o, almeno, dare pari opportunità a tutti i cittadini, come richiesto dalla Costituzione e dal buon senso. Al contrario, vogliono tornare all’Italia dei Comuni battendosi per le autonomie regionali. Ovviamente, di quelle regioni che stanno meglio e che vorrebbero rinchiudersi nel loro angusto territorio per paura di perdere quanto hanno accumulato, magari sulle spalle dei tanto deprecati e disprezzati meridionali, anzi terùn, perché rende meglio l’idea. La solidarietà, pietra angolare della nostra Costituzione, lo stesso documento su cui hanno giurato al momento della tanto agognata investitura, viene bellamente dimenticata, messa da parte.

L’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, invece di un’enunciazione di principio con cui attuare e promuovere il valore universale della solidarietà, è stata declassata a semplice frase ad effetto, senza alcuna ricaduta pratica.

Come a conoscenza di tutti, è di questi giorni l’altra brillante uscita del nostro super-ministro degli Interni: regionalizzare la scuola. Qualche anno addietro si strombazzava la possibilità, con l’autonomia scolastica, di ricevere, da parte delle istituzioni scolastiche, finanziamenti anche dai privati per progetti specifici. Sicuramente una bella cosa. Le varie industrie e le varie fabbriche presenti sul territorio, se adeguatamente stimolate e pungolate con progetti e proposte serie, potevano, e possono tuttora, mettere a disposizione delle stesse istituzioni risorse economiche e non solo. Altra grande conquista, anche se non mancano le critiche in proposito, è l’alternanza scuola-lavoro. Permettere ai ragazzi di confrontarsi con il mondo del lavoro in modalità protetta potrebbe anche essere un fatto positivo. In tal modo, infatti, lo studente potrebbe rendersi conto, in maniera diretta, di cosa offra il mercato del lavoro e quindi scegliere la sua strada partendo da dati di fatto.

Piccolo particolare, piccolo ma non insignificante. Industrie, fabbriche, lavoro, al sud non ce ne sono! Allora, chi potrebbe finanziare le scuole? Il negozietto al dettaglio che può chiudere da un giorno all’altro? Dove trovare soggetti commerciali in grado di collaborare nell’espletamento dell’opportunità rappresentata dall’alternanza scuola-lavoro? Questa opportunità è stata esperita da numerose istituzioni scolastiche facendo ricorso alle associazioni di volontariato e del terzo settore. Per quanto sia una cosa estremamente positiva, per la scuola e per il volontariato, non è certo la stessa cosa di una fabbrica.

La regionalizzazione della scuola non farebbe altro se non aggravare ulteriormente questi già gravi problemi. Inoltre, ogni regione, senza il controllo, necessario per una politica olistica a livello nazionale, di un’autorità centrale in grado di coordinare tutto il sistema, seguirebbe una propria deriva, avendosi, come risultato finale, una scuola diversa in ogni regione. Con titoli di studio altrettanto diversi. Questo comporterebbe, come logica conseguenza, la mancanza di omogeneità nelle opportunità da parte degli alunni che verrebbero ad essere discriminati solo sulla base del loro luogo di nascita. Ancora, la mobilità tra le varie regioni si mantiene a livelli elevati. Cosa accadrebbe quando un ragazzo, uno studente, si troverebbe costretto a passare da una regione all’altra? Deve fare esami integrativi? Deve svolgere una prova di idoneità? Deve ripetere il corso di studio per essere al pari dei suoi coetanei stanziali?

Questo discorso va ad inserirsi nella grande problematica della disintermediazione, processo in atto ormai da tempo. Si sta, lentamente ma costantemente, svuotando di potere e di significato tutti gli enti intermedi. In questo modo si svuota anche la democrazia ed il potere di rappresentanza e di scelta che la Costituzione assegna al popolo. Vige sempre il motto latino Divide et impera!

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