La povertà culturale

La povertà culturale

26 Luglio 2019 0 Di giuseppe perpiglia

Sembra un contro senso, ma è un’amara quanto drammatica realtà. Nell’era della comunicazione in tempo reale resiste, ed in alcuni casi tende addirittura ad aumentare, la povertà culturale ed educativa.

L’Agenda ONU 2030, tra i suoi 17 obiettivi, mette al primo posto “Porre fine alla povertà in tutte le sue forme”, compresa, quindi, anche la povertà culturale ed educativa. Il concetto viene meglio esplicitato dall’obiettivo 4: “Offrire un’educazione di qualità, inclusiva, e paritaria e promuovere le opportunità di apprendimento durante la vita per tutti”. L’interessare e l’attenzione riservata a tale problema dall’ONU, sta ad indicarne la gravità e la diffusione. Sarebbe, però, fuorviante pensare solo ai Paesi in via di sviluppo. La povertà culturale, infatti, riguarda anche i Paesi cosiddetti civili. Anche nel nord del mondo residuano delle sacche più o meno ampie in cui sono presenti condizioni in grado di indurre povertà culturale ed educativa.

Per definizione, un soggetto è in condizione di povertà culturale quando il suo diritto ad apprendere, a formarsi, a sviluppare capacità e competenze, a coltivare le proprie aspirazioni e talenti è disatteso o compromesso. Come si vede, quindi, non si tratta solo del diritto allo studio, ma della mancanza di opportunità, siano esse connesse allo studio, al gioco o alle attività sportive. In generale, si tratta di tutte quelle opportunità in grado di incidere sullo sviluppo e sulla crescita del minore.

Con il termine povertà educativa si intende un fenomeno complesso. Infatti, presenta dimensioni diverse, quali quelle relative ad opportunità culturali e scolastiche, alle relazioni sociali o ad opportunità formative che devono interagire tra di loro.

In Italia, il 12,5% dei minori di 18 anni vive in condizioni di povertà assoluta. Questo vuol dire che circa 1,2 milioni di ragazzi e di giovani, di cui 500.000 solo al sud, vive in una famiglia che non può permettersi una vita accettabile. Va da sé che il divario economico si traduce in divario educativo e culturale.

Uno studio dell’università Tor Vergata di Roma, condotto per conto di Save the children sui dati OCSE-PISA, ha rilevato come i ragazzi appartenenti alle famiglie più povere abbiano fatto registrare, in lettura e matematica, risultati inferiori a quelli fatti registrare dai loro coetanei che vivono in condizioni economiche migliori.

La nozione di povertà educativa è stata introdotta negli anni ’90 Dello scorso secolo come fenomeno multidimensionale. Nel caso della povertà economica, l’ideale è mettere tutti nelle stesse condizioni. Con tale nozione si intende sottolineare che anche le disuguaglianze nelle competenze e nelle conoscenze devono essere contenute entro limiti accettabili. Tale concetto è anche affermato dalla nostra Costituzione all’art. 3, “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Dal momento che l’apprendimento è un fenomeno cumulativo, il contrasto alla povertà educativa deve iniziare dai primi anni di vita. Ne segue che l’accesso ai servizi, di buon livello qualitativo, per l’infanzia svolge un ruolo importante, anzi essenziale, nello sviluppo delle competenze di base. Ma questo comporta, a sua volta, un potenziamento delle competenze e delle motivazioni delle famiglie di base.

Altro punto importante è il sostegno precoce e personalizzato agli allievi in difficoltà, mentre nelle scuole secondarie di secondo grado diventa dirimente l’offerta di attività che favoriscano l’(auto)orientamento.

Dalla teoria alla pratica, però, intervengono troppe variabili ed il risultato non è certo scontato.

Nel tentativo di contrasto alla povertà, la strada migliore, quella in grado di portare con maggiore probabilità di successo a risultati più o meno soddisfacenti, è senza dubbio il pragmatismo. Imparare, cioè, dagli errori propri ed altrui, il che vuol dire anche riflettere su cosa non ha funzionato. E questo ci porta al concetto di valutazione.

Soprattutto nelle strutture istituzionali, la valutazione viene spesso assimilata ad una mera rendicontazione di tipo preminentemente economico-finanziaria.  In altri termini, la valutazione si traduce nel dire come e se si siano spesi tutti i soldi a disposizione. Come se spendere tutte le risorse economiche a disposizione coincidesse con lo spenderle bene. Bisogna, invece, porre sotto la lente d’ingrandimento l’efficacia delle varie attività intraprese e per fare ciò dobbiamo a monte, fissare obiettivi chiari e che non permettano l’ingenerarsi di errori interpretativi. Come al solito, bisogna confrontare la situazione finale, quella dopo l’intervento, con la situazione iniziale ed apprezzarne le differenze, magari utilizzando, se e quando possibile, un gruppo di controllo. Quindi, l’unico modo per sapere se l’intervento messo in campo ha funzionato è fissare obiettivi chiari e misurabili e confrontare due gruppi nel tempo. Bisogna assicurarsi, anche, che i due gruppi siano stati formati con estrazione casuale (sperimentazione randomizzata).

Un fattore molto importante, poi, è la condivisone dei dati raccolti, delle riflessioni e delle conclusioni a cui si è giunti, affinché divengano patrimonio condiviso di conoscenze.

Ma come combattere, in pratica, la povertà culturale ed educativa? Con quali attività? Alcuni esempi potrebbero essere:

  • Migliorare le competenze matematiche;
  • Ridurre la dispersione scolastica;
  • Facilitare l’integrazione degli alunni stranieri.

È compito istituzionale della scuola mettere in atto interventi mirati al contrasto o, almeno, alla minimizzazione dei casi di povertà educativa e culturale presenti al suo interno. E non sono pochi. Risulta sicuramente molto più facile addossare tutta la colpa al ragazzo che non studia, non si impegna, è sempre distratto e così via. Ben più difficile, ma sicuramente più etico e più gratificante, impegnarsi per fare in modo di dare a tutti le stesse possibilità e le stesse opportunità.

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