
Un duro lavoro
Quella del docente è da annoverare tra le professioni più usuranti per una serie di motivi di natura diversa.
Oltre venti anni fa, seguendo un corso di aggiornamento, sono rimasto molto colpito da un’affermazione del relatore: «Quella del docente è una professione che deve essere considerata tra i mestieri più usuranti». Sul momento sono rimasto un po’ interdetto. Pensavo ad un atto di mera captatio benevolentiae nei confronti dell’uditorio. Mi sono sentito paragonato ad uno di quei lavoratori che svolgono mansioni che logorano il fisico e la cosa non mi sembrava corretta nei confronti dei metalmeccanici, dei minatori e di tanti altri. Però questa affermazione continuava a ritornarmi in mente anche negli anni successivi.
Io mi sentivo, e tuttora ne sono convinto, di essere un fortunato perché ho potuto svolgere un lavoro che mi piaceva. Mi basta pensare ai ragazzi che mi sono passati davanti perché un sorriso mi illumini il volto.
Non riuscivo a pensare al lavoro del docente come una mansione usurante. Ma non riuscivo a dimenticare quella frase. Man mano che il tempo passava accrescendo l’età e gli anni di servizio, aumentavano i dubbi e le certezze cominciavano a diventare sempre meno granitiche. Inoltre, sempre circa venti anni fa, sono iniziati due percorsi che si sono rafforzati a vicenda e che forse sono solo le due facce di una stessa medaglia.
Il primo percorso riguarda l’assetto normativo. L’avvio è stato dato dal ministro Giovanni Berlinguer con il famigerato concorsone e l’ipotesi di smantellare la scuola media, oggi scuola secondaria di primo grado. Da allora tutti i ministri che si sono succeduti al dicastero di viale Trastevere si sono sentiti in diritto di modificare l’assetto normativo, spesso con filosofie molto divergenti se non addirittura contrapposte, appesantendo i compiti di una professione, già impegnativa di per sé stessa, con impegni burocratici non sempre chiari e non sempre strumentali per rendere più efficace il processo di insegnamento-apprendimento.
L’altro percorso, invece, ha un taglio più sociologico. La politica italiana, come quella dell’intero mondo occidentale, ha cominciato a nutrire un senso, se non di vera e propria antipatia almeno di malcelata sopportazione per la scuola ed ancora di più per la cultura fine a sé stessa. La cultura intesa come fine e non come mezzo. Il diritto alla cultura non immediatamente ed esclusivamente finalizzata all’introduzione nel mondo del lavoro è considerata sempre più un lusso, una perdita di tempo e di risorse che allontana dal mondo reale. Ai miei tempi alle medie si studiava il latino!
La scuola, per i moderni politici, non deve produrre teste pensanti, ma solo esecutori e tecnici. Si sta cercando di eliminare l’istruzione per favorire la formazione professionale.
La professione docente, in effetti, è una professione impegnativa. Infatti, ogni insegnante vive quotidianamente la tensione umana dovuta al contatto continuo con persone in formazione, persone che cercano un loro ruolo nella vita ed una loro dimensione. È un contatto che implica e richiede la necessità, etica e morale prima che professionale, di soddisfare i loro bisogni, spesso non manifestati in modo palese, prima personali e poi formativi. Questo comporta la necessità di mettersi continuamente in gioco, ma anche la necessità di una formazione e di un aggiornamento continui. Prova ne è l’introduzione dei crediti formativi anche per gli insegnanti. Questa esigenza di essere al passo con i tempi e con i nuovi orizzonti pedagogici erode il tempo che è possibile dedicare a sé stessi, alla famiglia ed ai propri interessi.
Questa marginalizzazione della sfera privata rappresenta già di per sé stessa un vulnus all’equilibrio psico-fisico di non secondaria importanza. Il docente è tale 24 ore al giorno.
È facile dire che bisogna separare la scuola dalla famiglia, molto più difficile metterlo in pratica. Il fatto è che quando si ha un problema o una preoccupazione a scuola spesso li si porta a casa; quando, invece, qualche grattacapo insorge in famiglia, il dovere e l’etica ci impongono di lasciarlo al di fuori del cancello della scuola. E questo è un altro colpo al nostro equilibrio psichico, un altro colpo in grado di indurre stress.
Tale situazione negativa è rafforzata dalla costante attenzione alle esigenze educative e formative di ogni ragazzo. Esigenze e bisogni molto cangianti, in special modo nella delicata fase di passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza che caratterizza la scuola secondaria di primo grado. Questa particolare ed impegnativa funzione non è certo quantificata o quantificabile nel contratto di lavoro. Ben si capisce, però, come sia quella più importante, la vera condizione che deve essere necessariamente presente nel rapporto docente-alunno.
L’insegnamento è un’attività basata primariamente su un rapporto affettivo, per cui bisogna creare una relazione basata sul rispetto reciproco e profondamente empatica, altrimenti il tutto diventa solo un atto burocratico. E questo costa fatica.
Poi c’è la questione burocratico-gestionale. Le relazioni, i verbali, i progetti di tutti i tipi richiedono grande dispendio di tempo e di risorse mentali. Ma la cosa che molto di più crea demotivazione è che molti di questi documenti devono essere compilati solo per mettere a posto le carte. L’inutilità del proprio fare mina anche la propria autostima, portando a disaffezione per il proprio lavoro. Il risultato è che quella che era una professione diventa una fatica. Ed è la cosa più brutta per una persona.
Lo stesso effetto hanno anche quelle riunioni-fiume, mal gestite, inutili, che non portano a nulla. È l’occasione per scambiare qualche chiacchiera con il vicino di sedia e magari anche qualche pettegolezzo mentre il dirigente scolastico continua come un treno sul so binario senza richiedere e accendere l’attenzione dell’uditorio. Alla fine si stila un verbale che nessuno mai leggerà e l’impegno burocratico è assolto! L’obiettivo primario della scuola, invece, un po’ meno.
Tutte queste evenienze negative potrebbero essere superate con le opportune e necessarie gratificazioni.
Sul fronte stipendiale, il corpo docente italiano è il peggio pagato in tutta Europa, mentre in Italia i docenti sono i laureati con lo stipendio più basso.
La nuova figura del dirigente scolastico, che ha preso il posto del Preside, è nata ope legis, per cui non gli è stata richiesta alcuna conoscenza specifica e nessuna competenza manageriale adeguata alla bisogna. Questo comporta una gestione non sempre efficace del personale, soprattutto dal punto di vista umano. È ben difficile che un dirigente scolastico faccia un’opportuna, quanto necessaria, distinzione tra chi lavora e chi, nella migliore delle ipotesi, tira a campare. La mancanza di riconoscimento per il proprio lavoro ben oltre l’impegno contrattuale richiesto, e l’essere assimilato a chi si limita a timbrare il cartellino, a lungo andare fa sì che più di qualcuno abbandoni, pensando, ed è comprensibile, “ma chi me lo fa fare?”. Non sono rari i dirigenti che non vogliono prendersi le loro responsabilità ed erogano il bonus docenti a pioggia o quasi.
Non si tratta di pietire qualche euro in più, ma solo di veder riconosciuti i propri sforzi ed i propri meriti.
Tra colleghi, inoltre, ben difficilmente si riesce ad instaurare un rapporto di amicizia e di collaborazione, per cui ci si trova da soli a combattere contro la mancanza di senso, contro una comunicazione interna spesso contradditoria e deficitaria, contro alcuni atteggiamenti discutibili del dirigente scolastico senza avere la possibilità di confrontarsi e di sfogarsi con una persona amica.
A tutto questo, per concludere, si aggiunge l’atteggiamento estremamente critico, a volte addirittura ostile, delle famiglie e la considerazione negativa che i politici, proprio loro!, esplicitano pubblicamente nei vari talk show che servono loro da vetrine in una perenne campagna elettorale. Un simile comportamento rende ancora più difficoltosi e problematici i rapporti tra scuola e famiglia, minando la considerazione della comunità verso la classe docente.
È chiaro che alla fine un docente, dopo un congruo numero di anni di servizio, comincia a non reggere più il peso.
Qualcuno degli episodi che sentiamo circa i maltrattamenti subiti da bambini e ragazzi potrebbero, forse, trovare una spiegazione nei fatti appena esposti. Per carità, nessuna giustificazione, ma a tutto ci deve essere un limite.
Il mondo della scuola ed il lavoro degli insegnanti risentono dell’influenza di una miriade di variabili e di una molteplicità di soggetti, ognuno dei quali è chiamato a fare il proprio dovere. Un proverbio africano recita “Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio” e questo ben rende l’idea di quanto ho appena affermato. Ogni soggetto coinvolto, direttamente o indirettamente nell’istruzione dei bambini e dei ragazzi, dovrebbe giudicare con spirito critico. e nessuno dovrebbe permettersi di gridare all’untore quando si parla di scuola.
È richiesto, anzi è necessario, maggior rispetto per una categoria di lavoratori cui è stato demandato il delicato compito di costruire il futuro del Paese.
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