
A fondo perduto
L’insegnamento non può inseguire il facile guadagno, il risultato immediato.
Se c’è, ben venga, ma non deve certo diventare un’esigenza irrinunciabile. L’insegnamento deve essere a fondo perduto, nel senso che la molla principale, il motore motivazionale di ogni docente, deve essere la fede e la convinzione profonda in quello che fa. Il docente non si fa, docente ci si deve essere. Da sempre, l’essere docente non deve significare dare delle risposte a domande mai poste, cosa ancora molto comune nel modo di fare di molti docenti ed educatori. Karl Popper, infatti, ebbe ad affermare che «La nostra pedagogia consiste nel riversare sui fanciulli risposte senza che essi abbiano posto domande, e alle domande che pongono non si dà ascolto». Mentre, il vero scopo della scuola dovrebbe essere quello di mettere i ragazzi nella condizione di porre e di porsi continue domande.
I bambini non nascono con la verità in tasca, ma con un mucchio di domande che dovrebbero mettere genitori ed insegnanti in una condizione di ricerca continua. E così facendo i bambini permettono la crescita di genitori ed insegnanti. Ma spesso tutte le loro domande sono disattese dal mondo adulto che pensa di sapere come stanno le cose, e perciò non presta attenzione alle loro domande facendo sì che rimangano lettera morta perché disattese, mentre potrebbero mettere in crisi le risposte che gli adulti si sono dati. Rispondendo alle domande dei ragazzi, invece, l’adulto potrebbe cambiare punto di vista rispetto ai numerosi problemi che la vita ci pone davanti e, in tal modo, cambiare la visione del mondo.
Un anonimo ha scritto che la stupidità dell’adulto deriva dall’avere una risposta per ogni cosa. La saggezza del bambino deriva dall’avere una domanda per ogni cosa. La caratteristica principale del buon docente dovrebbe essere l’umiltà, infatti solo così può apprendere dai propri alunni.
Se il docente vuole ottenere dei risultati, seppure sul lungo periodo, deve far nascere nei ragazzi la curiosità verso quanto accade fuori dall’aula. Andare a scuola dovrebbe voler dire affacciarsi alla realtà del mondo, non rimanere chiusi ad ammuffire insieme ai libri di testo. Andare a scuola non deve significare solo ricevere un’istruzione, affastellare contenuti. Deve significare imparare a riflettere sulle nozioni apprese per capire il vero senso delle cose.
Andare a scuola, però, anche voler dire uscire dalla scuola stessa, saper «vedere» cosa succede attorno, cercando di capirne il senso. Il copro docente dovrebbe far sì che i ragazzi siano in grado di inquietarsi di ogni cosa del mondo che, per loro, è sbagliata. La frase da elevare a ero e proprio motto di riferimento dovrebbe essere “inquietatevi di non inquietarvi”. Il quieto vivere dovrebbe essere bandito dalle aule, e non solo dalle aule. Ogni docente dovrebbe insegnare ai propri alunni a schierarsi, a prender posizione sui problemi del mondo, così come sulle piccole cose, su ogni, seppur apparentemente insignificante, accadimento quotidiano.
Schierarsi, prendere posizione, deve essere susseguente al capire la cause che sottostanno al problema, alle motivazioni che lo hanno causato, e deve portare a riflettere ed a fare ipotesi plausibili e giustificate sulle eventuali conseguenze.
La scuola deve smettere di essere l’avamposto di una cultura informativa per prendere, una volta per tutte, coscienza del suo ruolo formativo e culturale. Cultura e formazione sono tali se riescono ad incidere sui comportamenti, modificandoli. In caso contrario non sono, trattandosi solo di mera informazione. Ma per agire sui comportamenti c’è bisogno di tempo, tanto tempo. Ma anche di dedizione e di pazienza, cioè di convinzione critica nel proprio lavoro e nella propria missione. Si, perché fare scuola, fuor di retorica, è una missione.
È facile addossare alla scuola tutte le colpe della nostra società, salvo poi delegittimarla ad ogni piè sospinto. Ad iniziare dalla politica i cui protagonisti non sempre e non tutti sembrano essere all’altezza del proprio compito, per cui diventa molto opportuno, dal loro punto di vista, addossare le proprie colpe ad altri. Il docente, così come la politica, quella vera, dovrebbe avere lo sguardo lungo. Dovrebbe avere cognizione profonda del passato, per vivere criticamente il presente e costruire un futuro possibile e sostenibile per sé e per le generazioni future.
Essere docente vuol dire mettersi in discussione ogni giorno, vuol dire essere sempre pronto a nuove acquisizioni, a vedere la realtà da punti di vista diversi, vuol dire confrontarsi con gli altri, in particolare con gli alunni, senza pregiudizi, senza maschere, senza corazze e senza infingimenti. Sui ragazzi due cose fanno molta presa: la coerenza dell’educatore e l’esempio. Se un docente riesce a tener conto di queste due caratteristiche il risultato sarà assicurato.