Il percorso educativo

Il percorso educativo

18 Giugno 2019 0 Di giuseppe perpiglia

L’educazione è un processo continuo che va alimentato tutti i giorni. Allo stesso tempo, essa alimenta e sostiene la nostra maturazione personale con la stessa frequenza. Proprio come si alimenta il corpo, allo stesso modo si deve alimentare lo spirito.

Questo tragitto, verso un traguardo che non potrà mai dirsi completamente raggiunto, può essere assimilato ad una corsa ciclistica in cui a volte si pedala con andatura costante, a volte bisogna rallentare il ritmo per le asperità del terreno, altre volte, infine, si preferisce accelerare per raggiungere qualche traguardo intermedio. Si tratta di un movimento fatto di continui strappi, in cui momenti di continuità educativa si alternano necessariamente a momenti di discontinuità educativa. Procedere verso la conoscenza e la maturazione personale è una continua transumanza tra territori culturali, anche molto diversi tra loro.

Il motore principale che permette di percorrere con speditezza il nostro personale tragitto è la motivazione. È proprio su questa, nelle sue componenti intrinseca ed estrinseca, che ogni educatore deve puntare con decisione. La motivazione dello studente è, ad un tempo, causa ed effetto della motivazione dell’educatore. Questo circolo virtuoso è ancora più marcato e dagli effetti maggiormente apprezzabili nell’istruzione istituzionalizzata, nel rapporto docente-discente.

Il percorso educativo, come qualunque altro tragitto, ha bisogno di una meta ben precisa a cui tendere, deve essere finalizzato per vere senso. In questo delicato momento storico, l’obiettivo è senza ombra di dubbio quello relativo alle competenze trasversali, quelle che, con termine inglese, sono dette softskill.

La scuola, la famiglia e le altre agenzie educative devono puntare, devono fare rotta, verso le competenze afferenti a Cittadinanza e Costituzione. Ce lo richiedono i fatti che si verificano quotidianamente nelle aule ed al di fuori di esse e che sono accomunati nelle categorie del bullismo e del cyber bullismo. Ce lo richiedono con ancora maggior forza i danni provocati all’ambiente ed al pianeta terra da un consumo senza regole, un consumo che sta portando il nostro mondo al collasso, come dimostrato dai cambiamenti climatici sempre meno prevedibili e sempre più estremi. Ce lo chiede l’Europa con le competenze chiave, nella forma rivista ed adeguata alle mutate contingenze socio-politico-economiche, così come pubblicate il 22 maggio 2018. Anche l’ONU ha preso atto di una situazione divenuta insostenibile ed ha stilato, nel settembre 2015, un programma d’azione per il prossimo decennio e che si è sostanziato nella cosiddetta Agenda 2030. Tale agenda prevede 17 obiettivi principali (SDG = Sustainable Development Goal), declinati in 169 target o traguardi. La Chiesa, con l’Enciclica Laudato sì, si è occupata essa pure dello sviluppo sostenibile, ovviamente con un’ottica prettamente etica e cristiana.

Va da sé che anche l’istruzione formale istituzionalizzata, cioè la scuola, deve cambiare rotta ed occuparsi di tali tematiche.

È ormai ben lontana la scuola del programma, vero e proprio totem e tabu di numerose generazioni di docenti e di studenti. Oggi siamo, tutti, chiamati ad abbandonare la tranquilla consequenzialità del libro di testo e ad avventurarci nel complesso labirinto della vita reale, con tutta la sua complessità quotidiana.

La scuola deve vivificarsi, affrontando i problemi reali, quei problemi che i ragazzi vivono e vivranno al di fuori delle aule. La scuola deve incontrare la politica, ma cambiando ottica e, soprattutto, il rapporto di influenza reciproca. Finora scuola e politica si sono incontrate in modo nettamente asimmetrico. Infatti, la politica ha dettato le leggi, che spesso hanno peccato di razionalità, e che la scuola, a cui spetta il compito di applicarle e rispettarle, lo ha fatto quasi sempre in modo meccanico, burocratico, senza il minimo spirito critico. Su alcune riforme il mondo della scuola si sarebbe dovuto inquietare e far sentire forte la sua voce per manifestare il suo dissenso. Invece, il silenzio! Nel migliore dei casi, qualche mugugno amorfo ed improduttivo, neanche percepibile dai politici e dall’opinione pubblica.

Il cambio di rotta auspicato prevede che la scuola “si occupi di politica”, dove al termine politica dobbiamo assiciare il significato lessicale di “scienza ed arte del governare”. Precisamente, sarebbe opportuno che la scuola si attivasse per promuovere negli allievi la scienza e l’arte del governare o, almeno, di capire a fondo le numerose variabili che influenzano la vita sociale e, quindi, anche quella individuale, in questa nostra società di volta in volta definita complessa, liquida, disgregata.

Questo modo di far politica da parte della scuola deve però poggiare su solide basi critiche, su competenze che siano slegate dalle discipline e che, quindi, possono far sentire la loro positiva influenza su uno spettro di problemi molto ampio. Mi riferisco, ovviamente, alle competenze trasversali ed alle competenze civiche o di cittadinanza. Esempi di tematiche su cui si potrebbe, o si dovrebbe, imparare a riflettere potrebbero essere le seguenti:

  • Le migrazioni di milioni di persone alla ricerca di condizioni di vita migliori o, almeno, degne di essere vissute, cecando di comprenderne le cause e gli effetti.
  • L’aumento dell’età media, cioè l’invecchiamento della popolazione, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
  • I cambiamenti climatici, le loro cause ed i loro effetti.
  • Le fonti di energia rinnovabili e non rinnovabili, ragionando sulle eventuali scelte razionali e programmate per il lungo periodo.
  • L’inquinamento dei terreni e delle acque, in special modo quello dovuto all’eccessivo utilizzo di plastiche e di sostanze non biodegradabili o degradabili in tempi molto lunghi.
  • I problemi connessi all’eccessivo traffico su gomma.
  • Il problema sempre più pressante dei rifiuti.
  • La necessità di un’istruzione di qualità per tutti e per ognuno, come base irrinunciabile per vincere la povertà culturale e la schiavitù legata alla sopraffazione culturale ed alle disuguaglianze tra generi ed etnie.
  • La disoccupazione giovanile e non solo.
  • La mancanza della possibilità di controllare le fonti di informazione, il che produce la manipolazione del pensiero comune.
  • La depredazione selvaggia del territorio naturale con le tragiche conseguenze che ben conosciamo.
  • Il passaggio, lento ma inesorabile, da una società monoculturale ad una società multiculturale e multietnica.
  • La degradazione dei rapporti relazionali e sociali e la pericolosa deriva verso il populismo ed il sovranismo.

Ci vuole molta buona volontà e molta determinazione per attuare un simile cambiamento di rotta, ma gli effetti saranno in grado di ripagare ampiamente lo sforzo psico-fisico richiesto. I ragazzi ne trarranno beneficio perché saranno più motivati in quanto si sentiranno parte integrante, protagonisti effettivi, della società.

Il docente, dal canto suo, acquisirà quella dimensione di senso, quella consapevolezza del proprio ruolo, che le norme attuali e la considerazione di cui (non) godono tendono ad annullare. Questo non può se non avere una ricaduta positiva sulla propria autostima e sulla gratificazione che viene dal proprio lavoro.

 

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