Bulli e grembiule o diritti e doveri?

Bulli e grembiule o diritti e doveri?

6 Giugno 2019 0 Di giuseppe perpiglia

I fatti quotidiani chi dicono chiaramente che esiste un’emergenza educativa e che essa si protrae ormai da anni.

È facile, oltre che comodo e rassicurante, addossare tutte le colpe ad un capro espiatorio, e la scuola è il soggetto che meglio si presta a tale ruolo. I primi a ricorrere alla scappatoia del capro espiatorio sono proprio quelle persone che predicano il lavoro di rete e che abusano del termine sinergie. Quando l’ipocrisia sale in cattedra e la fa da padrona! Infatti, come dice un vecchio adagio, «Tra il dire ed il fare, c’è di mezzo il mare». In special modo i signori politici, dai loro scranni, pontificano sull’importanza dell’istruzione e, di conseguenza, della scuola, salvo poi lasciar marcire migliaia di supplenti, sempre meno giovani, in un precariato senza fine e ancor più studenti senza docenti che possano garantire loro una continuità educativa e didattica che è un cardine fondamentale per aggiungere risultati efficaci. I soloni della politica si riempiono la bocca sull’importanza della cultura, della preminenza di cui dovrebbe godere la scuola, della necessità di sinergie, di reti e di condivisione di obiettivi, salvo poi non far seguire alle parole i fatti. Anzi, i fatti che seguono sono improntati a tagli lineari, ben lungi dal portare ad una razionalizzazione delle spese e ad un’efficacia degli obiettivi, hanno il solo scopo di ridurre le spese, riducendo, però, molto di più i servizi resi alla comunità. È un modo miope di gestire la politica e le risorse. Forse non hanno ben chiaro il concetto che sottostà al termine investimento.

Questa premessa per parlare della situazione di un’istruzione spesso mancata e sempre carente e che genera vergognosi episodi di bullismo e di cyber bullismo, ma anche la considerazione deviata che si ha della scuola e dei docenti.

Il ministro degli Interni, onorevole Matteo Salvini, con il suo eloquio pacato e forbito ad un tempo, ha buttato lì una soluzione: ritorno al grembiule, insieme ad ordine e disciplina. Ma chi educa di più? Chi impone il grembiulino o chi insegna ai ragazzi il rispetto per le persone e per le cose? Chi riesce a contrastare in modo più efficace l’inciviltà ed il disordine? Chi, affacciato da un balcone, impartisce ordini e semina paure o chi, con pazienza ed amore si prende cura delle relazioni, dell’ambiente, degli altri? Chi è in grado di meglio contrastare il bullismo? Chi fa la voce grossa, semina discordia e si fa forte con i deboli? Oppure chi segue, nel suo cuore e nella sua mente, il motto di don Lorenzo Milani: I care?

Un’altra bella trovata è quella delle telecamere in ogni aula. Con grande soddisfazione di George Orwell che aveva previsto tutto nel suo famoso romanzo 1984, edito nel 1949.

La sfida dell’educazione e della civiltà non si vince con il grembiule o con la forza e nemmeno con l’imposizione. È una sfida che si gioca e si vince sul terreno dei diritti e dei doveri. Si vince tralasciando l’io e promuovendo il noi.

Ogni persona, in quanto cittadino, deve avere piena consapevolezza di essere portatore di diritti, ma non deve dimenticare che tali diritti portano ad avere dei doveri da cui non bisogna derogare, doveri verso sé stesso e verso gli altri. Il dovere del rispetto della dignità altrui, ad esempio. Ma anche doveri mediati o indiretti. Si pensi al rispetto dell’ambiente. Una corretta educazione ambientale vuol dire rispettare sé stessi e gli altri, anche quelli che devono ancora nascere.

La società degli adulti è una società basata esclusivamente sui propri diritti, dimenticando completamente i diritti altrui che diventano, ovviamente, nostri doveri. L’incrocio ed il rispetto tra diritti e doveri propri ed altrui costituisce quella coesione sociale oggi messa in serio pericolo da linguaggi e comportamenti di coloro che ne dovrebbero essere i custodi ed i promotori.

Un caso che, in questi ultimi giorni, ha profondamente colpito l’opinione pubblica è stato quello che si è verificato a Manduria, in provincia di Taranto. Lo sfortunato protagonista è stato un uomo poco meno che settantenne, forse anche affetto da qualche piccolo problema psichico, è stato fatto oggetto delle brutali e reiterate attenzioni di una baby gang. Sembra che la morte dello sfortunato anziano sia stata dovuta proprio alle conseguenze delle angherie fisiche e psichiche protrattesi forse per anni.

L’articolista di un’autorevole testata giornalistica ha scritto che i dodici minorenni ed i due maggiorenni coinvolti nel brutto episodio avrebbero agito per noia o per goliardia. È semplicemente aberrante. E se fosse vero sarebbe ancora più aberrante. È un episodio che ci interroga tutti, che ci mette sul banco degli imputati. Nessuno può sentirsi escluso o tirarsene fuori.

Una società che non è in grado di dare un senso ai giovani è una società che ha fallito il suo obiettivo principale!

Ha fallito perché non è stata in grado di riempire gli animi dei suoi giovani di ideali e di valori, in grado di non fare allignare noia e goliardia deviata. Ad esempio quegli ideali e quei valori così bene esplicitati nella nostra Costituzione.

È certo che la scuola deve attivarsi in questa direzione, e ben venga l’ora di educazione civica con il suo bel voto e la sua valutazione. Ma non basta!

La scuola, infatti, non può essere lasciata sola in quella che si trasformerebbe in una battaglia senza possibilità di vittoria.

Se si vuole puntare alla vittoria bisogna unire le forze, bisogna parlare con voce univoca. Questo vuol dire, molto semplicisticamente, perseguire gli stessi obiettivi, condividere identiche finalità. La scuola, la famiglia, gli enti pubblici e, non dimentichiamolo, il volontariato, devono interloquire costantemente e proporre comportamenti corretti ed altrettanto corretti stili di vita. Non è pensabile che la scuola debba, prima di operare in base al suo ruolo ed alle sue finalità istituzionali, disperdere le sue energie per combattere e distruggere quanto creato al di fuori di essa.

Se la società, famiglia compresa, fa passare per furbi i disonesti ed i corrotti, mentre gli onesti e chi opera coerentemente con i valori del civismo e della cittadinanza attiva vengono guardati dall’alto in basso, con uno sguardo di commiserazione, come si potrebbe guardare un povero idiota che non ha capito nulla della vita, non ci potrà mai essere vero progresso.

Tutte le agenzie educative, formali e non formali, in particolare la scuola, che è l’istituzione espressamente deputata a tale scopo, devono indirizzare tutti i loro sforzi nella direzione dell’acquisizione della consapevolezza che ognuno di noi è portatore di diritti ma anche soggetto di doveri. Tanto ai diritti quanto ai doveri dobbiamo riconoscere la stessa importanza. Diritti e doveri che sono le due facce di quella stessa medaglia che chiamiamo dignità umana.

L’istruzione può essere impartita in modi diversi ma, senza voler stilare gerarchia alcuna, la pedagogia dell’esempio è forse quella più pervasiva, più pregnante e, quindi, più efficace. Ma l’esempio ci coinvolge tutti: docenti, genitori, parenti e qualunque altro soggetto sociale, enti compresi. È molto difficile fare da modello e da esempio credibile, ma è l’unica strada in grado di portare frutti sicuri e copiosi.

I valori connessi ai diritti ed ai doveri sono valori assoluti che uniscono tutti in un afflato inclusivo che ci rende tutti uguali nelle nostre diversità. Anzi, i tratti caratterizzanti di ognuno, lungi dall’essere elementi di discriminazioni, di divisioni, di contrasti e di paure, diventano risorse da promuovere e coltivare. Ogni persona diventa complementare a tutte le altre, ogni uomo, con le sue precipue e peculiari competenze, capacità e abilità, diventa bene comune al servizio della collettività in un interscambio che rifugge la cultura del do ut des e persegue quella dell’i care.

La cultura della cura e della vicinanza empatica all’altro è la cultura del rispetto e del civismo che si oppone e che combatte la non-cultura del sospetto, dell’esclusione e della marginalizzazione, ma anche la non-cultura della prevaricazione e dell’oratoria magniloquente intrisa di retorica populista e guerrafondaia.

A tutti, ma ai giovani in particolare, bisogna parlare in modo semplice ma pregnante, le parole devono essere generative di nuove conoscenze e di positive modificazioni del comportamento. Ogni parola deve essere rivolta a quella singola persona non alle folle oceaniche che tanto affascinano coloro che straparlano solo per aizzare il popolo ed enfatizzarne gli istinti più bassi.

Riprendere in mano la Costituzione, leggerla in classe, ma anche a casa, e stimolare la riflessione sui vari articoli è senza dubbio un esercizio importante e molto raccomandabile.

Non nascondiamoci, come docenti, dietro il falso paravento del docente incaricato perché l’insegnamento dell’educazione civica, dell’educazione ai diritti ed ai doveri è un’educazione trasversale che interpella tutti, sia come docenti, sia come persone e cittadini.

La famiglia, da parte sua, non può delegare sempre e tutto alle diverse agenzie educative del territorio, ma deve vivere fino in fondo il suo ruolo di agenzia formativa primaria, quella sola in grado di dare un’impronta forte e decisa al processo di crescita personale.

Istruire e formare i ragazzi a comportamenti corretti verso sé stessi e verso gli altri non è cosa semplice né per i genitori né per i docenti, ma bisogna attrezzarsi perché è un’attività della massima rilevanza per il bene dell’individuo e della collettività.

Essere buoni genitori o buoni docenti non si può imparare dai libri o da un corso per corrispondenza. È un’abilità, anzi una competenza, che si apprende giorno per giorno, per tentativi ed errori, con approssimazioni successive, a patto, però, di operare sempre con il cuore aperto all’altro, con un continuo atteggiamento di ascolto attivo.

Bisogna essere in grado di promuovere e potenziare le capacità, le abilità, le tendenze di ognuno in modo da promuovere il pieno sviluppo della persona umana. E se bisogna correggere, bisogna farlo con polso fermo e deciso, ma con modi gentili, spiegando il perché di alcune decisioni che al discente potrebbero sembrare ingiuste. Sarebbe opportuno, soprattutto da parte della famiglia, ripristinare la pedagogia del limite e la pedagogia del no che tanto bene possono fare allo sviluppo di bambini e ragazzi.

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