Grembiule: il nuovo che avanza…

Grembiule: il nuovo che avanza…

12 Maggio 2019 0 Di giuseppe perpiglia

Ci risiamo. Neanche il ministro Salvini ha saputo resistere al richiamo ancestrale di mettere mani alla scuola. È un vezzo che è diventato trasversale, bipartisan. L’attenzione vera ed efficace alla scuola, questa sì che dovrebbe essere trasversale. Essa dovrebbe avere, però, uno sguardo lungo per mettere i giovani nelle condizioni più idonee e più efficaci per costruire un futuro migliore per loro, quindi, per l’intera società.
Anche il ministro Bussetti ha voluto dire la sua affermando che lui pure ha indossato il grembiule. Caro ministro, negli anni ’60 del secolo scorso, quando presumibilmente lei frequentava la scuola elementare, oggi primaria, la società era leggermente diversa. Si era nel pieno di quel movimento controverso, ma comunque in grado di segnare un’epoca ed il periodo successivo, un movimento generalizzato volto al cambiamento, quello vero. Volto a scrollarsi di dosso gli anacronismi che ancora permeavano la società. Tra le altre cose, i docenti e la scuola godevano di ben altra considerazione da parte delle famiglie e, di conseguenza, anche da parte degli alunni. Sul fronte della politica, invece, già da allora la scuola ed i docenti erano visti come un male di cui non era possibile liberarsi, ma tale giudizio sulla scuola e sui docenti non veniva estremizzata e, soprattutto, divulgata.
Caro ministro Salvini, penso che la maggior parte degli italiani sia concorde nel desiderare una scuola in cui regni «ordine e disciplina», per quanto questo binomio riporti alla mente altri tempi ed altre situazioni. Se andiamo indietro nel tempo, diciamo a poco meno di un secolo fa, quando tutto cominciò proprio con il richiamo a questi concetti, l’ordine e la disciplina avevano il malcelato intento di tappare la bocca a coloro che volevano stare al di fuori del coro, a coloro che ostinavano a pensare con la loro testa. A coloro che erano convinti che nessun “uomo della Provvidenza” fosse necessario, né allora né mai. Se il ricorso al binomio ordine e disciplina vuol dire mettere il bavaglio alla libera espressione di ognuno, allora le cose assumono tutto un altro aspetto. Però, e mi scuso dell’ardire, non penso basti un grembiulino per ottenere né l’ordine né la disciplina. Bisognerebbe, probabilmente, partire dall’alto, utilizzando un linguaggio, un tono ed un atteggiamento che siano più consoni rispetto al ruolo cui si è stati chiamati. Anzi, per dirla tutta, che si è sgomitato per ottenere.
In Italia si sta diffondendo, per cause diverse non ascrivibili esclusivamente alla scuola, una povertà culturale che dovrebbe allertare chi è chiamato a gestire la cosa pubblica. E la risposta non può certo essere il grembiule.
Il ministro Bussetti, inoltre, aggiunge che «li ho indossati anche io, li ho portati e credo che permettano, dal punto di vista dell’inclusione sociale, di far sì che tutti gli studenti ed i nostri alunni possano sentirsi a miglior agio all’interno delle classi». Questo è un virgolettato ripreso da una pagina on line del giornale LA REPUBBLICA (www.repubblica.it)
Mi rendo conto che la mia voce non può certo competere con la vostra, però permettetemi di esprimere il mio modesto pensiero. Oggi, il grembiule sarebbe un tornare indietro di decenni, sarebbe un volersi ostinare ad utilizzare strumenti superati, desueti, inadeguati ed inidonei. Oltretutto, più che favorire l’inclusione, caro Bussetti, e men che meno promuovere l’ordine e la disciplina, caro Salvini, promuoverebbero, al massimo, una massificazione già promossa, e molto bene, dalla globalizzazione in atto. Se proprio ci si vuole fermare all’apparire, vedrei molto più indicato l’uso di una felpa distintiva della singola istituzione scolastica. È una sintesi accettabile tra senso di appartenenza ad un gruppo, di cui ci si riconosce membri, e il necessario spazio alla creatività individuale. I ragazzi hanno bisogno di un gruppo che dia loro sicurezza, ma rifuggono la massa in cui non possono costruire ed affermare la propria identità.
La scuola ha bisogno di interventi strutturali che abbiano un orizzonte temporale piuttosto ampio, di luoghi fisici molto più adeguati alle mutate esigenze sociali, di classi poco numerose per esperire al meglio il necessario rapporto personale ed empatico tra docente e discente, di strumenti didattici maggiormente in linea con le esigenze e le potenzialità dei nativi digitali, di docenti più preparati che vedano l’esercizio della loro professione come una conquista e non come un ripiego.
Certo, il ministro Salvini ama molto le divise: appena ne vede una non resiste e deve indossarla. Ma le divise come concetto possono assumere significati diversi. Infatti, possono essere un simbolo in cui riconoscersi. Ed in questo caso una felpa con il logo dell’istituzione scolastica potrebbe assolvere egregiamente il compito. Le divise, però, possono anche rappresentare un modo per nascondere, per ammantare le differenze, che comunque permangono. Un politico che voglia nascondere le differenze sotto una divisa, come si fa con la polvere sotto il tappeto, sarebbe meglio si mettesse da parte. Un politico, ancor di più se a livello nazionale, deve essere in grado di affrontare le situazioni problematiche con uno sguardo olistico e saperle superare proponendo soluzioni efficaci, soluzioni che tengano in debito conto le innumerevoli reti di connessioni di cui quel problema fa parte.
Posso anche essere d’accordo con il ministro Salvini nell’usare il termine ordine. Ma l’ordine che intendo io è l’ordine inteso come gerarchia di valori. La gerarchia di valori etici che la scuola deve proporre ai propri alunni, ed è un compito difficilissimo. È un compito che va ad affiancarsi ad altri compiti altrettanto impegnativi, quali passare messaggi positivi e prosociali, ma anche costruire relazioni di qualità. In altre parole, non è questione di ordine e disciplina, ma di fiducia reciproca, condizione necessaria e sufficiente perché si instauri una promozione vera ed efficace delle capacità e delle potenzialità di ognuno, come richiesto dalla nostra Costituzione, con relativa acquisizione di valori, ma anche di cultura. Ma tutto questo il docente non può farlo da solo. La classe docente, infatti, non è mai stata abbandonata a sé stessa come oggi. Non ha, infatti, l’appoggio delle famiglie e la società propone solo valori effimeri e superficiali: successo, ricchezza e ricerca spasmodica dell’apparire.
Allora, signori ministri, prima di aprire bocca e proporre soluzioni cervellotiche, intrise fino all’osso di populismo e qualunquismo culturale prima che politico, sedetevi attorno ad un tavolo, chiamate persone in grado di potervi illuminare sull’argomento e poi prendete decisioni che abbiano un senso e che siano veramente efficaci per risollevare la situazione del sistema dell’istruzione in Italia.