
Studenti felici?
Giuseppe PASCHETTO è l’unico docente italiano tra i 50 reputati i migliori al mondo. Insegna matematica e scienze nella provincia biellese, presso una scuola secondaria di primo grado in un paese che conta meno di 1.500 abitanti.
Nella sua classe ha eliminato la cattedra e i compiti a casa ed ha convinto i colleghi a misurare il “Fil” della scuola (Felicità interna lorda). È pleonastico aggiungere che ha rinunciato ai libri di testo.
La sua filosofia l’ha illustrata lui stesso in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: «Per la matematica, niente regole o formule; faccio sì che siano gli studenti a scoprire le cose: che progettino giochi da tavolo, siano impegnati in attività motorie o in attività sul territorio, applicando magari il teorema di Talete per misurare edifici…».
Il segreto è semplice, basta rendere i ragazzi i veri protagonisti del loro percorso formativo. È una cosa che sappiamo tutti, ma ricadiamo nel libro di testo da pagina a pagina e negli esercizi dal numero al numero. Il suo insegnamento si basa sul metodo deduttivo applicato a esperienze che a volte propone lui a volte vengono proposte dagli stessi ragazzi.
La sua attività parte da un presupposto banale secondo cui la scuola dovrebbe essere il luogo da cui “ci si aspetta di uscire migliori rispetto a come si è entrati”. E chi potrebbe professarsi contrario a tale principio?
La molla che ha spinto il nostro ad inventarsi un metodo attivo e coinvolgente è stata la costatazione che a scuola ci si annoiava, di qua e di là dalla cattedra. Per insegnare divertendo ha agito sulla motivazione, infatti ammette che lui è partito dagli stimoli e non dalle regole. La regola deve essere il punto di arrivo, la scoperta della conoscenza come conseguenza delle esperienze fatte dall’allievo, che così è gratificato dal suo impegno. Se l’acquisizione della conoscenza, invece, la si prende come punto di partenza diventa un’imposizione di cui spesso non si capisce neanche il senso ed il significato. Con queste premesse, non la si riuscirà nemmeno a utilizzarla in modo strumentale, per cui non si acquisiscono le competenze previste dal nostro sistema di scolastico.
Sono pronto a scommettere qualsiasi cosa che tutti i colleghi, almeno una volta nella loro vita lavorativa, si saranno lamentanti di non avere mezzi e strutture. Non conosco la scuola di Mosso, il paese in cui insegna Moschetto. ma, a naso, non dovrebbe essere una scuola che non possa lamentare qualche mancanza o almeno una carenza di materiali e di strumenti. Altra lamentela ricorrente è lo stipendio non adeguato alla mole di lavoro che viene richiesta, e non mi riferisco solo al tempo trascorso con gli alunni. Il fatto è che se si vuole raggiungere obiettivi ambiziosi bisogna impegnarsi nella ricerca di strade nuove e non pensare alle ore di lavoro o al salario. Certo le rivendicazioni sindacali sono sacrosante, ma fare il docente vuol dire essere anche un po’ volontario. D’altro canto un aiuto, nel senso di una maggiore considerazione, da parte della politica non guasterebbe di certo, alcune attività possono essere esperite solo con classi dai numeri piccoli, massimo 20÷22 alunni, non di più. Se il docente, come suo dovere etico e contrattuale, vuole seguire ogni alunno a lui affidato, deve avere il tempo materiale per farlo. Sarebbe ora che la politica facesse il suo, passando dai vuoti proclami ai fatti concreti. Quante volte abbiamo sentito dire che bisogna dare maggiore attenzione e strumenti più adeguati alla scuola, salvo poi operare tagli netti, togliendo, spesso, anche l’essenziale? Un vecchio proverbio dice che non si possono fare i matrimoni con i fichi secchi, ma a volte gli insegnanti non hanno neanche quelli! Gli insegnanti, dal canto loro, devono entrare nella logica che fare il docente è, senza retorica, una missione che deve guardare direttamente all’uomo, alla persona in formazione che gli sta davanti e prendere consapevolezza della grande responsabilità che ha accettato firmando il contratto di lavoro.