Educare al dono

Educare al dono

20 Gennaio 2019 0 Di giuseppe perpiglia

Educare al dono vuol dire educare all’altro, alla diversità e promuovere una crescita personale i cui positivi effetti si ripercuotono efficacemente anche nel quotidiano lavoro in aula.

Le attività umane sono caratterizzate da una grande diversificazione ma, in estrema e forse forzata approssimazione, sono tutte rivolte al dare: tempo, attenzione, competenze, disponibilità, amore, … E non potrebbe essere diversamente dal momento che l’uomo è un animale sociale, che si realizza solo nel gruppo.

Non tutto quello che si dà, però, ha la stessa finalità e lo stesso valore. Nella maggioranza dei casi, infatti, vige la legge del do ut des, la legge del dare per ricevere. Un baratto in cui quanto si scambia non necessariamente ha lo stesso valore. Quello che prevale, però, e che, quando si dà qualche cosa, ci si aspetta qualcos’altro in cambio, una vera e propria contro partita.

A volte, invece, si dona senza aspettarsi niente altro in cambio, si dona per il solo piacere di dare, per soddisfare un proprio intimo bisogno. Si sta parlando di dono, da non confondere con regalo. Infatti, tra i due termini vi è una netta differenza. Il regalare è un atto materiale e spesso dettato dalla spinta consumistica che pervade la nostra società. Le grandi ricorrenze della cristianità, Natale e Pasqua, sono diventate occasioni per fare e ricevere regali, e poi c’è la festa della mamma, quella del papà, dei fidanzati, dei nonni, …  Il dono, invece, è oggetto di una necessità che nasce dal cuore per incontrare il cuore dell’altro.

All’azione del donare viene spontaneo associare i termini volontariato e volontario. In realtà si tratta di due termini eccessivamente abusati e, come tali, hanno assunto significati diversi che possono ingenerare confusione. Volontari, ad esempio, sono quei soldati, a cui va tutto il rispetto e la stima che meritano, che decidono di prendere parte ad azioni di pacificazione in tante zone del nostro martoriato pianeta. Volontario è colui che decide, tra tanti altri colleghi, di svolgere una certa mansione che, probabilmente, non verrà neanche riconosciuta adeguatamente. Ed anche questo merita rispetto, se non altro per l’elevato senso etico dimostrato. E gli esempi potrebbero continuare. In tutti questi casi, però, la scelta volontaria si accompagna, per quanto non ne sia necessariamente la spinta preminente, ad un riconoscimento economico, rilevante o meno poco importa. In tutti gli esempi sopra elencati, gli individui svolgono un servizio per la società, ma ne traggono un vantaggio personale.

Poi c’è il Terzo Settore. È detto terzo perché viene dopo lo Stato ed il mercato. Anche nel Terzo Settore, però, bisogna fare dei distinguo, fermo restando il rispetto per tutti coloro che operano nella legalità per il miglioramento della società senza mettere il profitto al primo posto. Vi sono infatti le imprese sociali e le cooperative sociali che, è vero, svolgono un servizio di pubblica utilità, ma lo fanno a fronte di un corrispettivo, per quanto contenuto esso possa essere. Esse, inoltre, perseguono l’utile di bilancio perché devono, ovviamente, sostenersi e sopravvivere, ma avere anche la possibilità di migliorarsi ed ampliarsi. Comunque, per fortuna che ci sono perché riescono a tappare molte delle lacune lasciate dal pubblico, per necessità o per inadempienze varie. Vi sono poi le associazioni di promozione sociale e le associazioni sportive dilettantistische. In questo caso, a fronte della loro grande utilità nei relativi campi, bisogna far presente che le loro attività sono rivolte solo ai rispettivi associati. Vi sono, infine, ultime solo per elencazione, le associazioni di volontariato che svolgono i loro servizi a beneficio di tutta la comunità, della società nel suo insieme. Tra queste ultime, un caso particolare è quello relativo alle associazioni del dono: AVIS, AIDO, ADMO, …

Il donatore di sangue o di midollo non conosce e non conoscerà mai chi ha fruito del suo dono. E questo rende ancora più nobile il suo gesto. Un gesto che supporta un processo di maturazione personale molto deciso. Donare una parte di sé ad una persona che non si conosce e che, per questo, non potrà neanche ringraziarti poggia le sue basi sull’accettazione completa dell’altro. Non si va a vedere il colore della pelle, o i suoi orientamenti sessuali o altre caratteristiche utilizzate per categorizzare e, quindi, dividere, perché le categorie sono spesso utilizzate per stilare gerarchie in base a criteri cervellotici in quanto non hanno giustificazione alcuna.

Vedere l’altro solo come un soggetto che potrebbe avere bisogno di te ed adoperarsi nell’aiutarlo è un insegnamento che nessuna scuola può dare. La scuola, però, può senza dubbio promuovere ed incoraggiare l’incontro dei ragazzi con il volontariato per far sì che il ragazzo veda e si renda conto che esiste anche una faccia buona, un lato positivo, della società alla quale può rivolgersi, grazie alla sua ingenua fede nella vita, per crescere in modo sano e propositivo per sé stesso e per tutta la società.