
Compiti per casa: si o no?
Nello scorso mese di dicembre è scoppiata una polemica a causa dell’auspicio espresso dal ministro Bussetti di alleggerire i compiti per le vacanze e, in generale, tutto l’impegno domestico.
Un sindacato è insorto parlando, addirittura ed a sproposito, di invasione di campo e di limitazione della libertà di insegnamento. A parte l’atteggiamento molto polemico richiesto dal ruolo che si è assegnato il sindacato in questione, quello dei compiti per casa è un punto su cui val la pena riflettere.
Non sono mai stato d’accordo sui compiti per casa come punizione o come ritorsione per comportamenti ritenuti non adeguati all’ambiente scolastico. Sono, invece, convinto della loro validità come strumento per riflettere e ragionare autonomamente sui contenuti proposti. Gli esercizi ripetitivi e slegati da ogni contesto reale hanno perso molto terreno negli ultimi anni, ma rimangono ancora uno strumento da utilizzare. Lo spostamento del focus dalle conoscenze alle competenze ha portato in primo piano i compiti di realtà, relegando in un angolo le batterie di esercizi reiterativi finalizzati, più che ad un apprendimento profondo, ad un mero addestramento. Il docente deve aiutare il discente a comprendere una regola, una proprietà, un evento e, per valutarne il grado di acquisizione, ne propone l’applicazione assegnando esercizi mirati. Personalmente, ho fatto sempre svolgere tali esercizi in classe, suddividendo gli alunni in piccoli gruppi di max 2-3 alunni, per favorire l’insegnamento tra pari e facilitare la collaborazione. Ho anche assegnato compiti per casa in ragione di qualche esercizio, avendo cura di differenziarli per cercare di coprire tutti gli argomenti proposti.
Quando il ragazzo si trova a casa da solo a svolgere un qualsivoglia esercizio si deve confrontare con la sua preparazione, per cui si rende conto se ha capito ed acquisito i contenuti, le regole o le proprietà ascoltate in classe. In tal modo i compiti per casa si configurano come strumento di autovalutazione e spingono anche nella direzione di un maggior senso di responsabilità per gli impegni presi. Intesi in tal modo, difendo a spada tratta i compiti per casa. Mi trova, invece, del tutto in disaccordo l’utilizzo strumentale dei compiti da svolgere a casa per fini diversi e non educativi. Sono anche contrario ad un carico di lavoro domestico eccessivo in quanto porta il ragazzo a vivere la scuola come un’imposizione insopportabile, come un obbligo che limita la sua libertà di espressione. Un carico eccessivo di compiti non permette, infatti, a coloro che vogliono essere responsabili ed ottemperare alle richieste del docente di turno, di seguire altri interessi e di avvalersi, quindi, dell’apprendimento informale legato alle diversificate attività quotidiane.
In altri casi, e penso siano la maggioranza, i ragazzi tendono a sfuggire all’impegno richiesto provocando la ritorsione del docente ed innescando un ciclo vizioso che tende a m inare un proficuo rapporto dell’alunno con la scuola.
Anche in questo caso vale il motto medioevale in medio stat virtus ed il medio, cioè l’equilibrio, va ricercato utilizzando il buon senso. Bisogna essere attenti al feedback che viene da ogni singolo alunno ed adeguare le richieste e le proposte educative alle capacità ed agli interessi degli alunni per stimolarne la motivazione e, quindi, la partecipazione quanto più attiva possibile. In tal modo si innesca un ciclo virtuoso che porta ad avere risultati soddisfacenti per docenti, alunni e famiglie. In un certo qual modo, entriamo nel campo della teoria della zona di sviluppo prossimale di Lev Vygotskij secondo la quale l’apprendimento avviene quando l’impegno richiesto non è né troppo vicino né troppo lontano dal background culturale del ragazzo. Proporre e richiedere un impegno alla giusta distanza vuol dire evitare la demotivazione, nel caso di eccessiva vicinanza, ed un atteggiamento di rinuncia, con conseguente caduta di autostima, nel caso dell’eccessiva lontananza. L’obiettivo proposto deve essere tale di richiedere un impegno ed un sforzo di applicazione ma, nello stesso tempo, deve dare l’impressione di essere raggiungibile.