
La relazione educativa
La mission del docente, e dell’educatore in generale, si realizza nella relazione educativa, rappresentandone la caratteristica distintiva. La relazione educativa permette di trasformare le intenzioni didattiche in attività e risultati educativi. Per questo bisogna prestare molta attenzione a costruirla in modo accurato ed efficace. Ed a mantenerla tale.
La relazione educativa viene influenzata dal luogo in cui viene esperita. Una cosa, infatti, è l’incontro in luoghi strutturati e ad essa finalizzati, quali l’aula scolastica, ben altra cosa è quando l’incontro avviene in luoghi aperti o, comunque, molto meno strutturati.
La relazione educativa intercetta diverse linee prospettiche:
- La globalità, cioè deve considerare la persona nel suo insieme, nella sua interezza.
- L’operatività, che deve tener conto del futuro.
- L’integrazione individuo-società nella direzione dell’autoeducazione, stimolando l’autonomia personale.
- Il principio di realtà, perché l’educazione deve aiutare a comprendere i propri punti di forza, ma anche i propri limiti.
La relazione educativa che si svolge in luoghi strutturati risente in modo significativo dei vincoli del contesto, essendo condizionata da procedure e dalla programmazione pre-relazione, ma è più prevedibile sul piano dei contenuti.
Alcune variabili caratterizzano la relazione educativa più di altre:
- L’asimmetria
- Il pre-giudizio
- Il coinvolgimento emotivo
- I valori
L’asimmetria
Il compito dell’educatore è quello di intervenire quando vi è una carenza educativa per facilitare il percorso di crescita verso la condizione adulta. Ne segue che nella relazione educativa c’è sempre un soggetto che deve trasmettere qualche cosa ad un’altra persona. È proprio la disparità delle funzioni e delle aspettative tra educatore ed educando a giustificare l’instaurarsi della relazione educativa. A chi è chiamato ad educare è richiesta una maggiore e più specifica capacità di anticipare, progettare e proporre. Questo è il focus della relazione educativa. Oggi, d’altro canto, non è difficile il verificarsi di un’asimmetria parziale a favore dell’educando. È abbastanza facile rendersene conto nel caso dell’educazione degli adulti, ma può verificarsi anche con i ragazzi, in special modo nel campo dell’informatica e dell’utilizzo dei social.
Il pregiudizio
L’educatore deve porsi di fronte alla relazione educativa nel modo più neutro possibile. Deve mettere da parte convincimenti che potrebbero far deviare la relazione educativa dal suo naturale percorso, cioè dal percorso impresso dalle esigenze, dalle richieste e dalle necessità dell’educando. L’educatore deve essere innanzi tutto un ascoltatore che fa dell’empatia la sua caratteristica primaria ed irrinunciabile. È il mondo dell’educando che deve essere messo in primo piano ed esplorato e non deve essere messo in ombra da quello dell’educatore.
Il coinvolgimento emotivo
Una qualsivoglia relazione educativa non può e non deve prescindere dalle emozioni, da una dimensione affettiva che coinvolga pensieri e sentimenti. La dimensione affettiva, però, non deve certo prevaricare la dimensione educativa. D’altra parte, essa, però, non deve essere considerata un ostacolo da eliminare, ma solo una variabile in grado di interagire con la riflessione e con l’azione educativa. Una relazione educativa senza il coinvolgimento emotivo sarebbe una relazione fredda che trasformerebbe l’asimmetria educativa in un mero dislivello di potere tra educatore ed educando. Il punto importante è mantenere la giusta distanza tra educatore ed educando per cogliere i particolari (vicinanza) senza perdere di vista l’insieme (lontananza).
I valori
I valori cono costituiti dalle qualità morali ed intellettuali che rappresentano i fondamenti della vita umana e della società. Nell’espletare la sua attività, l’educatore non può non proporre dei valori, magari anche solo nello stile relazionale, nella scelta del linguaggio o nel comportamento. Come per i pregiudizi, il problema non è quello di evitare i valori nella relazione educativa in nome di un’illusoria e presunta neutralità, ma di conoscerli, sottoporli ad una costante analisi critica e, quando reputato necessario, esplicitarli per consentire all’altro di capire meglio da quali considerazioni sono ispirati i comportamenti dell’educatore.
L’accanimento educativo
Come in campo medico, anche in campo educativo qualcuno ha parlato di accanimento. Non sempre gli esiti dell’azione educativa sono quelli sperati. In questo caso le strade percorribili sono due. La prima, quella più semplice, è lasciar perdere e darsi per vinti. In questo caso si sceglie il disinvestimento e l’arrendevolezza. La seconda, che qualcuno ha, appunto, denominato accanimento educativo, è il tentativo di non dichiarare la propria sconfitta o di rimandare tale dichiarazione il più avanti possibile nel tempo. Non tutti gli insuccessi educativi, però, sono uguali o riconoscono una stessa causa. In alcuni casi, prima di dichiararsi sconfitti, basta ripensare l’intero percorso educativo proposto per definire i punti nodali da migliorare. L’insuccesso presenta, però, anche un punto positivo. Infatti, può portare ad un ridimensionamento del senso di onnipotenza che spesso accompagna il lavoro del docente e dell’educatore, come se tutto dipendesse esclusivamente dal proprio lavoro e dal proprio operato. Si dimentica, in questo caso, che una qualsiasi relazione, quindi anche quella educativa, prevede al minimo due soggetti. Potrebbe anche verificarsi che l’altro soggetto coinvolto, nella fattispecie l’educando, per un senso di autonomia faccia valere la sua capacità di dissentire dagli obiettivi programmati e, di conseguenza, sfuggire la relazione.
Il burnout
Con tale termine si indica una sindrome da esaurimento emotivo che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto forti. È, quindi, probabile che capiti anche ai docenti. In questo caso, vengono meno le motivazioni e le energie per delineare progetti di cambiamento, che stanno alla base dell’educazione e della didattica. Per cercare di prevenire il burnout, è consigliabile affrontare la professione dell’educatore o del docente, con una leggerezza di spirito che renda leggero, o almeno meno pesante, le molte incombenze, normate o meno, legate al proprio ruolo. Se il docente riesce a creare ed a mantenere, nella propria classe, un clima relazionale rilassato magari condito anche da un po’ di allegria, i risultati potrebbero essere molto più soddisfacenti. Da ricerche scientifiche, infatti, sappiamo che il sorriso è uno dei meccanismi innati di join connection, cioè di attenzione condivisa tra figure significative, insieme al guardarsi negli occhi. Da una complessa ricerca americana, che valutava proprio l’importanza del sorriso nella plasticità della funzione docente, è emerso che nella relazione educatore/educando, chi aveva utilizzato il sorriso come mediatore nelle diverse azioni educative (incoraggiare, rimproverare, accompagnare) aveva sollecitato nei propri studenti una più efficace maturazione delle competenze programmate.