
Dei diritti e dei doveri
Educare è come seminare:
il frutto non è garantito e non è immediato,
ma se non si semina è certo che non ci sarà frutto.
Pochi giorni fa mi è capitato di leggere tre articoli che vanno ad alimentare la lunga catena di episodi, non certo edificanti, che coinvolgono la scuola. In una classe terza di un istituto professionale di Vimercate (MB), gli alunni, approfittando del fatto che l’insegnate voltava loro le spalle per spiegare alla LIM, quindi in condizioni di luminosità ridotta a causa delle tapparelle abbassate, hanno pensato bene di spegnere le luci e lanciare sedie nella sua direzione. Una di queste ha colpito la docente procurandogli una lesione per la quale i medici hanno previsto una prognosi di cinque giorni. L’articolo è stato stampato su La Repubblica del 31 ottobre 2018.
Il Giorno del 28 ottobre 2018, invece, ha riportato un altro episodio, ancora più inquietante. Un bambino di sette anni (!), frequentante la classe seconda di una scuola primaria di Coverciano (Fi) è ancor più che vivace, tanto da diventare l’incubo di alunni e docenti. Infatti, una volta si è avventato contro un suo compagno di scuola con intenzioni che poco lasciavano all’immaginazione o ad interpretazioni diverse. Un’altra volta, nei locali della mensa, ha lanciato un coltello contro un altro alunno. Per chiudere in bellezza, infine, ha dato una testata all’insegnante, rompendole il naso e procurandole una prognosi di sei giorni.
Come consuetudine, l’articolista si appresta a dire che “il dito non è puntato contro il bambino, si difficile, ma non incorreggibile, del quale il sistema scuola non deve fare altro che prendersene cura”. Al solito alla scuola si chiede tutto ed il contrario di tutto ma, non solo non le si forniscono i mezzi e gli strumenti necessari, quanto si persegue nella miope tendenza alla riduzione degli investimenti. Anche il nostro articolista è scivolato sulla buccia di banana, per quanto ben visibile, della iper-responsabilizzazione della scuola alla quale corrisponde una completa deresponsabilizzazione della famiglia.
L’educazione è un percorso che inizia con la nascita, anzi, secondo alcuni studiosi, addirittura nell’utero materno e non ha fine se non con la morte. Il solco che guida questo faticoso percorso di conquista deve essere tracciato dalla famiglia, mentre alla scuola spetta solo il compito di aiutare il ragazzo a potenziare ed a transitare le competenze comportamentali e relazionali dal ristretto ambito familiare verso la comunità sociale di appartenenza. In altri termini, alla famiglia spetta l’educazione della persona, metre alla scuola spetta il compito, parimenti gravoso, di educare i cittadini. La famiglia spesso delega il suo compito alla scuola. Molte volte ai colloqui con le famiglie mi sono sentito dire «Noi non ce la facciamo, professore ci pensi lei». E no, cari signori! I figli sono vostri e ci dovete pensare voi all’educazione. È un ben preciso obbligo-dovere scritto anche nella Costituzione. Il mio ruolo di docente è quello di istruire, di aiutare i ragazzi che mi vengono affidati ad acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per entrare, adeguatamente forniti e culturalmente equipaggiati, nel mondo degli adulti. L’educazione è un corollario al quale nessun docente si sottrae, ma in poche ore settimanali non si possono certo fare miracoli. E poi, per cortesia, non diamo la colpa alla società, questa massa informe ed acefala di individui, tenuti insieme da legami sempre più deboli. La società siamo ognuno di noi. Tutti vogliono cambiare la società, ma nessuno è disposto a cambiare sé stesso.
Altro problema che caratterizza il nostro tempo, oltre la cultura della delega, è quello di un frainteso garantismo, strettamente legato alla deresponsabilizzazione. Si cercano sempre scappatoie e sotterfugi per non affrontare le proprie responsabilità. La colpa è sempre di qualcun altro. L’esame di coscienza è metodica sconosciuta a piccoli ed a grandi, a giovani e ad adulti. La consapevolezza delle proprie azioni è straniera in tutti gli ambienti, politica compresa. A conferma di ciò riporto il terzo articolo, apparso su Il Giorno del 28 ottobre 2018. I genitori di un ragazzetto frequentante la classe prima della scuola secondaria di primo grado, hanno fatto ricorso al TAR di Parma contro la bocciatura del proprio pargolo. Il TAR ha respinto il ricorso. I genitori, sempre più sindacalisti e protettori ad oltranza dei propri adorati figlioli, hanno pensato bene di ricorrere al Consiglio di Stato. Questa importante istituzione ha ribaltato la sentenza del TAR affermando che, in special modo in una classe prima della secondaria di primo grado, va evitata la bocciatura. Se reputata necessaria, la bocciatura la si potrà sempre somministrare al secondo anno. Tra le motivazioni addotte dal Consiglio di Stato, almeno così riporta l’articolista, i brutti voti riportati sarebbero conseguenza delle difficoltà di inserimento nella nuova scuola e, quindi, nel passaggio tra la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado. Mi torna alla mente una circolare dell’allora ministro della Pubblica Istruzione (attuale MIUR), onorevole Riccardo Misasi, in cui si caldeggiava vivamente, quasi si imponeva, la promozione d’ufficio dalla prima alla seconda classe della scuola secondaria (odierna scuola secondaria id secondo grado). Quello del Consiglio di Stato è un altro episodio che mi conferma nella convinzione di una deresponsabilizzazione nemmeno tanto strisciante, anzi addirittura eclatante. I ragazzi, sin da piccoli, ovviamente con la dovuta gradualità, devono comprendere che lo stare insieme in una comunità prevede sicuramente dei diritti, ma altrettanto sicuramente prevede anche dei doveri. Ed i primi non possono essere reclamati senza ottemperare ai secondi. È questa, a parer mio, la strada maestra da percorrere, insieme famiglia e scuola, per raggiungere la necessaria maturità personale e sociale.