Compagno di scuola

Compagno di scuola

25 Ottobre 2018 0 Di giuseppe perpiglia

Qualche giorno fa ero in macchina ed ascoltavo l’autoradio sintonizzata su una stazione che trasmette canzoni di qualche anno addietro. Assorto nei miei pensieri, non prestavo molta attenzione ai testi, ma mi facevo cullare dalla sola melodia. Ad un certo punto la mia attenzione è stata catturata dalla voce calda di Antonello Venditti che proponeva uno dei suoi pezzi migliori: “Compagno di scuola”. Si tratta di un testo che mi piace molto ed in cui trovo sempre nuovi spunti di riflessione, come in altri brani contenuti nello stesso album Lilly del 1975. Trasportato dalla voce di Venditti mi sono soffermato a riflettere sulla strofa che dice:

Le otto e mezza tutti in piedi
il presidente, la croce e il professore
che ti legge sempre la stessa storia
sullo stesso libro, nello stesso modo,
con le stesse parole da quarant’anni di onesta professione.
Ma le domande non hanno mai avuto
una risposta chiara.

Con poche parole, Antonello Venditti ha dipinto, come graffiti che scalfiscono il nostro animo ed il nostro intelletto, alcune criticità della scuola. Prima fra tutte, quella più pericolosa: la ripetitività di parole e di gesti. Poi anche la mancanza di sostanza, di risposte adeguate alle domande contingenti e pressanti dei giovani. La ripetitività e la standardizzazione irrazionale sono l’antitesi della vision che dovrebbe essere del docente e dell’educatore. Quando un docente entra in classe con un cliché già pronto e confezionato, che si ripete sempre uguale a se stesso per quarant’anni di onesta professione vuol dire che ha disatteso il contratto implicito che ha sottoscritto nel momento in cui ha deciso, qualunque ne sia stata la ragione, di dedicarsi all’insegnamento.

Essere docente, lo abbiamo detto e sentito infinite volte, pretende che ci si metta in gioco ogni giorno, ogni ora, con ogni alunno. Vuol dire essere duttile e malleabile come l’argilla per adattarsi alle esigenze degli alunni. Gli alunni, però, cambiano in ogni classe, cambiano in ogni anno, cambiano anche da un momento all’altro perché il ragazzo che abbiamo davanti è una persona in formazione, alla ricerca del suo percorso di vita. Questo doversi adattare, però, non significa certo non avere un pensiero proprio, un modo personale di vedere la vita. La malleabilità e la duttilità dei comportamenti e tutto il proprio agire devono essere sempre e comunque basati ed essere colorati dalla personalità dell’insegnante, che proprio per questo deve essere ben forte. Il docente deve essere consapevole delle proprie potenzialità così come delle proprie criticità e li deve sfruttare entrambi al meglio per poter essere un valido riferimento per i suoi alunni.

La persona che è alla ricerca della sua propria identità e dimensione ha bisogno di un modello al quale rifarsi e con il quale confrontarsi. Sappiamo tutti che il bambino nel suo percorso verso la gioventù si lascia dietro, disconoscendolo, il modello genitoriale che, addirittura, nell’adolescenza, addirittura rifiuta e combatte. Egli vuole spingersi, perché deve, spingersi oltre, deve superare le sue colonne d’Ercole per avventurarsi nell’oceano sconosciuto dell’adultità[1] e della maturazione personale. Il docente, in questa particolare fase della crescita di ognuno, svolge un ruolo di primaria importanza, in grado di segnare profondamente, in un senso o nell’altro, lo sviluppo del ragazzo. Tutti noi, anche se non più giovanissimi, almeno nel corpo, ricordiamo ancora molti dei nostri maestri per qualche loro caratteristica. È una prova, sicuramente non scientifica, del segno che hanno lasciato dentro di noi.

Nel presidente, nella croce ed anche nel professore ci vedo le ancore, i punti fermi, che pure ci devono essere in questo particolare momento della crescita, molto fluido. Quello che bisogna evitare è che le domande non abbiano una risposta. Il docente non deve presentarsi, qualunque sia il livello scolastico in cui opera, con risposte preconfezionate, con la verità in tasca, ma deve spingere e pungolare i propri allievi a porre ed a porsi delle domande a cui dar, insieme a tutto il gruppo, risposte che abbiano un senso. Non è indispensabile che le risposte siano corrette. È indispensabile, invece, che siano caratterizzate dalla logica e dalla corrispondenza alla domanda posta.

L’età dei perché e delle domande non si ferma alla prima infanzia, ma prosegue, con connotazioni ovviamente diverse, per tutto il percorso di crescita. Auspicabilmente, dovrebbe durare per tutta la vita perché è solo in questo modo che si persegue quello spirito critico che ci rende liberi ed unici. E questo è compito del docente.

[1] Termine coniato recentemente, che sta ad indicare l’insieme delle caratteristiche ma soprattutto delle condizioni che definiscono e caratterizzano l’adulto.