
Progetti: si o no?
In questi giorni su riviste di settore è scoppiata una querelle sulla presenza eccessiva di progetti nelle scuole e sulla loro reale efficacia, polemica che fa il paio con quella che, tempo fa, ha contrapposto conoscenze e competenze. Su LA TECNICA DELLA SCUOLA Alvaro Belardinelli firma l’articolo Tutti promossi, la Scuola finta che sforna analfabeti futuri operai pubblicato il 26 agosto 2018. Si tratta di un’ampia riflessione sulla scarsa efficacia del sistema scolastico italiano e la colpa, tra tante altre motivazioni, viene data anche alla massiccia presenza di progetti didattico-educativi.
Sempre nella stessa data del 26 agosto 2018, sul sito della rivista ORIZZONTE SCUOLA, è stata pubblicata la lettera di un lettore dal titolo Eliminiamo i progetti dalle scuole, torniamo alla didattica tradizionale, a firma di Mario Bocola . Ho letto con attenzione entrambi i contributi e l’impressione che ne ho riportato è quella del si stava meglio quando si stava peggio. Entrambi i contributi, ed in particolare la lettera, mi sembrano imbevuti di un revanscismo culturale anacronistico, fuori dal tempo. Tutto il rispetto dovuto alle persone ed alle idee degli autori, ma non sono affatto d’accordo. Bisogna inquadrare la discussione in un corretto frame work e solo dopo andare a ragionare nel merito. Bollare come perdite di tempo e depistaggi operativi e culturali i progetti in toto mi sembra quanto meno un pensiero azzardato ed assolutista. Lo stesso PTOF, infatti, nucleo fondante delle attività didattico-formative, altro non è se non un progetto, un impegno operativo formalizzato per raggiungere mete ben precise.
Certo, quando si fanno i progetti per acquietare i docenti e non per formare gli studenti, le tesi esposte non possono non trovarmi concorde. Quando i progetti attivati per una stessa classe sono in numero non congruo, è un dovere sfoltirli. Ma, come dicevano i nostri antenati, in medio stat virtus. L’eccesso, in un senso o nell’altro, non è cosa buona. Il buono, la virtù, sta nell’equilibrio. I troppi progetti ed i progetti mal mirati, in buona o in cattiva fede, sicuramente sono un danno per il sistema scuola e nuocciono ai risultati che esso dovrebbe far registrare.
Negli articoli citati si parla di riscoperta del valore vero, autentico e reale della didattica, di quella didattica, cioè, che trasmette saperi e conoscenze da tradursi in abilità e si ammoniscono i docenti di non lasciarsi naufragare nella marea di progetti che ogni giorno viene diramata alle scuole.
Si parla, inoltre, di scuola come luogo di conoscenze. È una posizione insostenibile perché in questo campo internet surclassa la scuola di numerose lunghezze. La scuola deve configurarsi come quel luogo dove le conoscenze vengono strutturate in un percorso logico e coerente con la meta prefissata. È questa attività si sostanzia in un progetto!
Le persone contrarie ai progetti, nella loro accorata difesa della scuola gentiliana, dimenticano un breve costrutto da loro sbandierato come prova a favore: la riforma Gentile è stata ottima per settanta anni. Ed è proprio questo il punto che costituisce il vulnus di tutto il ragionamento. In settanta anni la società è cambiata ed anche di parecchio. È facilmente condivisibile quanto possa essere inefficace ed inadeguato rimanere ancorati a modi di fare antichi che non possono più dare risposte alle nuove esigenze ed alle nuove richieste. Si tratta di principi che non possono più avere cittadinanza. Nei documenti citati si invoca una scuola che prepari al lavoro. Bene! Mentre ai tempi di Gentile si otteneva, più o meno facilmente, il lavoro per tutta la vita, oggi esso cambia di giorno in giorno, quindi la scuola non può dare conoscenze, bensì deve fornire gli strumenti per leggere il presente e aiutare il ragazzo a guidare il cambiamento per prepararsi adeguatamente al futuro.
Alcuni punti di vista ed alcune considerazioni sono senz’altro condivisibili. A volte il dirigente, o magari qualche docente, spinge un progetto, soprattutto quando questo è adeguatamente finanziato (PON, POR, …) senza curarsi troppo di avere un reale e fattivo coinvolgimento dei docenti. Ne viene fuori un’attività burocraticamente ineccepibile ma didatticamente ben poco efficace. Lo stesso deleterio effetto hanno tutti quei progetti fatti senza una visione olistica che dovrebbe essere scritta a chiare lettere nel PTOF e, si spera, anche nel bilancio sociale.
Tappe importanti di ogni progetto devono essere, prima, il monitoraggio, poi la riflessione sugli esiti. È un valore aggiunto che permette di perseguire gli obiettivi in modo più efficace. La didattica tradizionale si avvale anch’essa delle verifiche iniziali, intermedie e finali, ma scorre su un binario molto più rigido.
Come nella vita, anche nell’istruzione la felicità non sta nell’accumulare conoscenze ma nell’avere e nel raggiungere quello che serve quando serve e nel sapere utilizzare quello che si ha.
A supporto della valenza del progetto basti pensare al priore di Barbiana, quel don Lorenzo Milani riabilitato anche da papa Francesco. Nella sua scuola non venivano trasmesse conoscenze sic et simpliciter. Bensì egli invitava e guidava i suoi ragazzi a ragionare sulla vita, basandosi sulle conoscenze stesse. Più che il possesso di una nozione, ne veniva privilegiato l’utilizzo in contesti reali, non certo situazioni teoriche riportate sui testi scolastici che i suoi ragazzi neanche possedevano. Ritorna il dilemma tra conoscenze e competenze. A costo di correre il rischio di sembrare banale, il dilemma non si pone perché sono a entrambe necessarie, a patto di bilanciarle efficacemente. Le conoscenze rappresentano l’humus necessario ed ineludibile su cui far attecchire le competenze. Pensare di poter fare a meno delle une o delle altre è solo una pia, quanto fuorviante, intenzione che non porterebbe a nessun risultato positivo.
La scuola basata sulle sole conoscenze poteva andare bene fino a qualche decennio fa, oggi c’è bisogno di una cultura viva, flessibile, che si adegui con prontezza alle dinamiche della società. Il posto fisso, anzi, la mansione cristallizzata nel tempo fa parte di un passato che non è più.
È chiaro, d’altronde, che il progetto in quanto tale non è la panacea di tutti i mali, a meno che non venga esperito in modo adeguato.
Quando l’istituzione scolastica decide di attivare un progetto, è necessario che i docenti coinvolti lo accettino pienamente e lo sentano proprio. In caso contrario si tratterà di un mero esercizio burocratico.
In un qualsiasi progetto possiamo distinguere tre stadi o fasi:
a) La fase ideativa o creativa
b) La fase operativa o esecutiva
c) La fase della riflessione o di debriefing
La fase meno importante è sicuramente quella operativa, perché rappresenta solo l’esecuzione di quanto concepito nella fase più importante.
La fase ideativa e creativa, per esprimere tutta la sua validità, deve essere condivisa: condivisa tra i docenti, condivisa con le famiglie, condivisa con gli studenti. La condivisione crea senso di appartenenza e promuove la motivazione. Quando docenti e studenti, insieme alle famiglie, condividono un percorso comune ed hanno le stesse finalità si crea quella comunità educanda che è una finalità primaria della scuola, e quest’ultima ha raggiunto lo scopo supremo del suo essere: creare cultura!
Non è da sottovalutare, inoltre, la fase della riflessione, quella che gli anglofoni indicano con il termine debriefing. Questa fase permette alle acquisizioni conseguite nella fase creativa ed in quella operativa/esecutiva di sedimentarsi e di diventare patrimonio culturale personale. Le conoscenze, le abilità e le competenze acquisite, analizzate in tutti i loro aspetti, vengono introiettati nel bagaglio culturale individuale costituendo il punto di partenza per un nuovo progetto.
Per concludere. I progetti cotti e mangiati, quelle scatole nere che ragazzi e docenti possono solo mettere in pratica tal quali, quelli che permettono o richiedono la sola fase operativa ed esecutiva, possono benissimo essere eliminati per ottimizzare il tempo-scuola. I progetti, invece, che coinvolgono profondamente docenti, famiglie e studenti sono da perseguire e da potenziare perché rappresentano un’importante spinta propulsiva alla crescita personale di tutti gli attori coinvolti. La progettazione in tal modo intesa porta alla promozione di diverse competenze, in particolare:
• IMPARARE AD IMPARARE, perché la cultura viene creata nella fase ideativa e viene sedimentata in quella di riflessione
• COMPETENZE SOCIALI E CIVICHE, in quanto la buona riuscita del progetto è legata ad un efficace lavoro di gruppo
SPIRITO DI INIZIATIVA ED IMPRENDITORIALITÀ che si manifesta principalmente nella fase ideativa, ma che interviene anche in quella operativa e di riflessione.