Creatività & C

Creatività & C

16 Agosto 2018 0 Di giuseppe perpiglia

Tutte le persone che si occupano di istruzione e formazione si sono imbattute con una certa frequenza in costrutti che spesso sono stati assimilati. Sto pensando al pensiero convergente e divergente, al pensiero laterale ed alla creatività. Questi costrutti hanno caratterizzazioni solo in parte sovrapponibili, ma tutti vengono richiamati con sempre maggiore frequenza perché la società nella quale viviamo è in rapido e continuo mutamento, cosa che ne costituisce la cifra distintiva.

Per stare al passo con i tempi è necessario saper leggere il presente ma anche ipotizzare il futuro. Per essere efficaci in tali attività è necessario saper fare ipotesi diverse, saper guardare il problema, che di volta in volta ci troviamo ad affrontare, da più punti di vista. Usare la sola logica sequenziale, per quanto importante, oramai non basta più.

Allora, per proseguire focalizziamo la nostra attenzione su tre punti:

  • Pensiero divergente,
  • Pensiero laterale,
  • Creatività.

Il pensiero divergente è la capacità di riuscire ad ipotizzare più soluzioni alternative per uno stesso problema. Esso è strettamente correlato al pensiero creativo ed alla creatività. Secondo Joy Paul Guilford (psicologo statunitense nato Marquette, nel Nebraska, nel 1897 e deceduto nel 1987) il pensiero divergente è valutabile tramite tre indici:

  • La fluidità è un parametro quantitativo che valuta la numerosità delle idee prodotte;
  • La flessibilità cioè la capacità di adottare strategie diverse, ma anche l’elasticità di passare più o meno agevolmente da un compito ad un altro che richieda un impegno differente;
  • L’originalità che è l’attitudine a formulare idee uniche e personali, differenti da quelle prodotte dalla maggioranza.

Il pensiero divergente trova il suo complementare nel pensiero convergente. La maggiore o minore adeguatezza dell’uno o dell’altro dipende dal problema da affrontare. Per valutare il pensiero si fa ricorso ai test strutturati a risposta chiusa. Il pensiero divergente, invece, può essere indagato e valutato solo con problemi che prevedano una risposta aperta. Studi statistici hanno dimostrato che gli alunni che prediligono e si trovano a proprio agio con il pensiero divergente saranno portati a scegliere indirizzi di studio di tipo artistico. Al contrario, coloro che tendono a privilegiare il pensiero convergente saranno più propensi ad abbracciare studi scientifici.

Altro termine usato ed abusato nelle nostre scuole è creatività. Con tale termine si indica genericamente l’arte o la capacità cognitiva di creare o di inventare, ma esso si presta anche ad altre interpretazioni. Per meglio rendere l’idea, riporto le citazioni di tre grandi personaggi. Secondo Sigmund Freud la creatività sarebbe il tentativo di risolvere i conflitti generati da pulsioni istintive biologiche che non si riesce a scaricare. Per Albert Einstein, invece, la creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte. Infine, Steve Jobs ha affermato che la creatività è mettere in relazione le cose. Ebbene, tutti e tre questi influenti personaggi, ognuno dal suo punto di vista, hanno centrato il problema. La definizione di creatività è una definizione pluriprospettica che le racchiude tutte.

Il pensiero laterale è quella modalità di approccio ai problemi che riesce a prescindere dalle apparenze, da quella che, ad una prima istintiva analisi, potrebbe sembrare l’unica soluzione possibile, quella dettata dalla logica sequenziale. Il pensiero laterale si esplica osservando il problema da un punto di vista diverso, laterale appunto, alla ricerca di strade non convenzionali che sfuggano a quella che potrebbe sembrare l’unica soluzione, perché quella più logica.

Numerosi sono gli esempi, posti sotto forma di rompicapo o di indovinelli, per spiegare il pensiero laterale. Il più famoso, forse, è quello dell’elettricista pigro. In una stanza è posta una lampadina ad incandescenza, mentre in una seconda stanza, che non comunica visivamente con la prima, vi sono tre interruttori, uno solo dei quali accende la lampadina posta nella prima stanza. Come può fare l’elettricista a sapere quale dei tre interruttori accenda la lampadina andando dalla seconda alla prima stanza una sola volta?

Con la logica sequenziale il problema non avrebbe soluzione se non quella legata alla causalità: accendere un interruttore e sperare che sia quello giusto, con una probabilità di 1:3. Basta, però, affrontare il problema in modo diverso, richiamando una variabile che sfugge alla logica sequenziale: il calore prodotto da una lampadina ad incandescenza. Le condizioni iniziali sono lampadina spenta e tutti e tre gli interruttori spenti anch’essi. L’elettricista pigro accende due interruttori e dopo poco ne spegne uno e va nella prima stanza. Supponiamo che abbia acceso gli interruttori 1 e 2, quindi abbia spento l’interruttore 2.  I casi che gli si possono presentare sono tre:

  • La lampadina è accesa, per cui l’interruttore giusto è il numero 1;
  • La lampadina è spenta ma calda, ed in questo caso l’interruttore giusto è il numero 2;
  • Infine, la lampadina è spenta e fredda, per cui se ne deduce che l’interruttore corretto era il numero 3.

Anche i test INVALSI sono orientati, in buona misura, allo sfruttamento del pensiero laterale e del pensiero divergente. E proprio questo mette in ambasce i nostri studenti, abituati molto di più alla logica sequenziale. La società attuale è sempre più configurata come una società complessa che, come tale, propone problemi complessi, che non è possibile risolvere con soluzioni banali. Problemi difficili, o addirittura impossibili, da risolvere con quella logica sequenziale che ha guidato le nostre vite dall’inizio dei tempi. La logica sequenziale è una conquista evolutiva che, però, oggi si ritorce spesso contro di noi. Oggi la caratteristica più richiesta dal mercato e dalla società in genere è quella connessa con il pensiero laterale, con il pensiero divergente e con la creatività. Oggi ha successo l’imprenditore di sé stesso. Basti pensare all’esplosione delle startup. Solo per fare qualche esempio che sconfina nella banalità, si pensi a Steve Jobs, già citato, a Bill Gates, a Mark Zuckenberg, rispettivamente fondatore di Apple, di Microsoft e di Facebook. Anche noi, molto più modestamente, dovremmo lasciare sempre meno spazio alla lezione frontale da pagina 148 a pagina 163 per passare ai nuclei fondanti ed all’epistemologia delle discipline, attivando brain storming e facendo realizzare mappe mentali e mappe concettuali. Dobbiamo, cioè, a portare i ragazzi a ragionare su argomenti e temi di largo respiro promuovendo i punti di vista personali da suffragare con dati di fatto o con ragionamenti logici in grado di supportarli. La logica sequenziale è ancora necessaria, ma non è più sufficiente per la società che ci siamo cuciti addosso. Ogni soluzione trovata con la logica sequenziale si può sostanziare e tradurre in un algoritmo che, come tale, può essere implementato su uno strumento automatizzabile: il robot. Per cui un imprenditore preferirà spendere per un robot che lavora in modo veloce ed efficace per 24 ore al giorno senza alcuna rivendicazione, piuttosto che investire in un operaio, per quanto specializzato e scrupoloso possa essere, con tutti i problemi annessi, malattia compresa. È chiaro che ai lavoratori si chiederanno funzioni e ruoli che non possono essere implementati in un robot.

Di fronte ad un problema siamo portati a seguire le piste battute, cioè ci affidiamo all’esperienza diretta o indiretta. Questa scelta, però, non è sempre garanza di successo. Con sempre maggiore frequenza dobbiamo cercare un approccio diverso. Davanti ad una situazione problematica, il nostro cervello, basandosi su aspetti dati per acquisiti, cioè scontati, che spesso tali non sono, elabora una possibile soluzione. Bene, dobbiamo abituarci a non dare nulla per scontato perché, se una volta può andarci bene, la volta successiva, in base alla natura del problema, potrebbe accadere di trovarci in un cul de sac. Non riusciremo, cioè, a trovare la soluzione. In genere, siamo schiavi dei cosiddetti bias cognitivi, molto più di quanto crediamo. I bias cognitivi sono quei modi con cui il nostro cervello distorce la realtà. Per renderci conto di come funziona il nostro cervello, ogni volta che ci troviamo ad affrontare una situazione problematica, per quanto semplice possa essere, proviamo a fare una lista dettagliata di tutto ciò che diamo per scontato, cioè di tutte quelle ipotesi che facciamo senza rendercene conto e che reputiamo veritiere.

Un altro errore in cui spesso incappiamo è quello di fossilizzaci sul problema perdendo di vista quale sia la meta da raggiungere.

Un’ottima strategia di pensiero laterale consiste dunque nell’iniziare dalla fine:

  • Definire in modo puntuale il risultato finaleche si vuole raggiungere.
  • Immaginare quello che dovrebbe essere il passoche precede immediatamente il traguardo.
  • Continuare a regredire, un passo alla volta, finché non si sarà raggiunta la situazione di partenza.

Il termine pensiero laterale è stato coniato dal maltese Edward De Bono, che consigliava, anche, di fare un po’ di po. Il po indica un’idea, spesso bizzarra e poco attuabile, che consente però alla mente di non rimanere bloccata all’interno di schemi di pensiero tradizionali, di esplorare terre nuove, terre fertili per soluzioni davvero innovative. Ad ispirare De Bono sono state parole come: ipotesi, supposizione, possibile, poesia. Ma anche e soprattutto l’espressione della lingua maori “Po”, che indica il brodo primordiale da cui è nato l’intero universo. Se ci si ritrova bloccati e incapaci di raggiungere i propri obiettivi, un’ottima strategia consiste dunque nello stilare una lista di idee apparentemente assurde. È importante che questa lista sia molto lunga. All’inizio infatti le idee saranno piuttosto banali. Costringendoci, però, a generare continuamente nuovi “po”, ci si accorgerà che una volta liberi dai condizionamenti sociali inizieremmo a sfruttare davvero la nostra creatività e fantasia.

L’ultima strategia per migliorare il proprio pensiero laterale consiste nel riformulare la domanda. Lo psicologo americano John Dewey una volta disse che “un problema ben formulato e già per metà risolto”. Come dargli torto? Riformulare le domande che ci poniamo è una delle tecniche di pensiero laterale più efficaci per risolvere un problema.

Ecco come applicarla nella pratica: prendere le varie componenti di una domanda ed iniziare a giocarci. Togliere degli elementi, riordinarli, aggiungerne di nuovi. Un indovinello utilizzato per spiegare il pensiero laterale è quello delle due porte. Ci si ritrova in una stanza con due porte, tra le quali scegliere. Se si sceglie la prima, una grande lente che convoglia tutti i raggi del sole in un punto ci incenerirà all’istante, se si sceglie la seconda saremmo investiti dalle fiamme prodotte da un drago. La domanda posta dall’indovinello è “quale delle due porte scegli?”. Sembra un problema senza risposta, avendosi, qualunque sia la scelta, una fine infausta. Per risolvere l’enigma si sarebbe potuto iniziare a modificare il quesito, domandandosi cose del tipo: “devo scegliere per forza una delle due porte?”, “devo sceglierla ora?”, “esiste una finestra?”, “la lente mi ucciderà all’istante, sempre?”, “il drago mi ucciderà all’istante sempre?”, e così via. Giocando con la domanda iniziale si apriranno nuove possibilità.

Come riconoscere quella giusta? È spesso la soluzione più semplice ed elegante, e quella che richiede il numero minore di condizioni al contorno per essere realizzata. Questo vale negli indovinelli, come nella vita reale.