
Quando società non fa rima con legalità
È sicuramente di grande impatto emotivo la notizia, apparsa sulla stampa il 13 gennaio 2018, di un uomo che entra in una casa con la pistola in pugno e spara quattro colpi su un ragazzo appena diciottenne, sotto gli occhi della madre e dei fratelli più piccoli solo perché, a suo dire, si sentiva controllato.
È sicuramente emotivamente devastante l’esplosione del fenomeno delle baby gang, così dette perché formate da ragazzini, anche al di sotto dei 13 anni, il cui passatempo consiste nel compiere azioni molto violente, senza ragione alcuna. Ammesso che una qualsiasi ragione possa mai giustificare la violenza.
Passa, invece, sotto silenzio come fatto acquisito, l’illegalità diffusa, l’illegalità di ogni giorno. Quell’illegalità diffusa che fa da substrato e che alimenta gli episodi prima citati. Non viene stigmatizzata la violenza profusa a piene mani dai diversi politici, nazionali e stranieri, che, non avendo la capacità e le competenze, e forse neanche la voglia, di impegnarsi in un confronto serio e fattivo sulle problematiche, e sono tante, che affliggono quella stessa società che hanno sgomitato e continuano a sgomitare per amministrare, fanno ricorso a frasi ad effetto. In questa loro attività, per la loro pochezza, non riescono a trovare niente di meglio se non offendere e additare capri espiatori nei soggetti più deboli.
È, ancora, diventato tratto comune ed acquisito del comportamento della massa il non rispetto delle regole, anche le più semplici, della convivenza civile. Basti pensare a quanti parcheggiano in doppia fila o, magari, occupano un posto dedicato ai portatori di handicap, a quanti buttano i rifiuti fuori dal cassonetto, a quanti fumano in posti dove è vietato.
Alcuni politici, in perenne campagna elettorale, cavalcano la tigre del malcontento generato dal continuo stato di crisi con atteggiamenti populisti e gli effetti sono, immediati, sono sotto gli occhi di tutti. Ormai sparare agli immigrati ed ai ROM è diventato uno sport nazionale, aggredire verbalmente, ma anche fisicamente, un ragazzo che lavora onestamente solo perchè ha la pelle più scura viene considerato, da alcuni, un atto quasi dovuto, un’azione di cui andare fieri. Rincorrere, pestare a sangue ed uccidere un marocchino perché, forse, stava cercando di rubare è legittima difesa. Ma la cosa che colpisce maggiormente è il silenzio assordante del Ministro dell’Interno. L’unica risposta è stata quella di dare qualche soldo ad alcuni comuni per avere le “spiagge pulite”, che tradotto vuol dire tenere lontano i venditori ambulanti. Bisognerebbe, invece, che una così alta istituzione prendesse una posizione netta, decisa, ferma e chiara su tali fatti, stigmatizzandoli nei modi e nelle forme più congrue e più efficaci.
Di converso siamo subito pronti ad additare i vari colpevoli, veri o presunti che avrebbero otiginato tale stato di cose. Tra questi un bersaglio comune è, oltre la famiglia, la scuola, vista, di volta in volta, come un’istituzione il cui immancabile destino sia quello di sanare e di prevenire tutti i mali della società o come un pozzo senza fondo istituito solo per dare uno stipendio immeritato a persone senza voglia di lavorare. Altro bersaglio, sicuramente di stampo più qualunquista, è la società. Come se la società fosse un’entità altra da noi, da ognuno di noi. Questo atteggiamento è figlio prediletto di quella cultura della delega e del disinteresse che tanto successo sta riscuotendo in questa nostra epoca caratterizzata dal pensiero debole e dal ripudio di valori forti ed universali.Stiamo assistendo, passivamente, ad una deriva che non è degna di un Paese civile.